00:00 11 Settembre 2003

“A volte sui piani alti la neve turbinava contro le vetrate, ma in strada pioveva”

La testimonianza di un nostro fedele lettore che per un anno ha lavorato al 99° piano del "Two World Trade Center", a New York: gli effetti del vento e la sorpresa della neve mentre in strada pioveva.

Ho lavorato negli Stati Uniti per due anni, di cui uno nel più incredibile ufficio dove mai avrei pensato di avere una scrivania: al 99° piano del “Two World Trade Center”, a New York.

Le immagini delle twin towers rase al suolo, provocano in me emozioni difficili da spiegare, una parte di me spera ancora che si tratti di un brutto sogno, di una burla cinematografica.

Ogni mattina, verso le 8 e quarantacinque, entravo direttamente nella lobby, la portineria della torre, dalla sottostante stazione della metropolitana, dove i treni arrivavano sia da uptown Manhattan che dai Queens e da Brooklyn, decine di treni per migliaia di persone. Prendevo uno degli ascensori “espresso”, che senza fermate arrivava al 90° piano mettendoci (se non ricordo male) circa 40 secondi; l’accelerazione, così come la frenata, durava diversi secondi. Da li prendevo il “locale” che mi portava alla Kerr Corporation.

Molto spesso i 350 metri in altezza che separavano l’ufficio dalla strada rappresentavano anche diverse condizioni climatiche rispetto a quelle dei pedoni. A volte la neve turbinava contro le vetrate, spesso dal basso verso l’alto, ma in strada pioveva. Oppure, in certe giornate da ombrello, uggiose e piovose, nel silenzio ovattato degli uffici si era invece immersi nelle nuvole, e spariva alla vista anche la vicina torre gemella. Capitava anche che le nuvole fossero più basse, e mentre in strada c’era una foschia bagnata e fredda, una volta arrivati su, si era immersi nel sole più brillante e sotto, un mare di nuvole dalle quali spuntava solo l’Empire State Building insieme ad una altra moltitudine di grattacieli.

Insomma, la sensazione era di essere in uno straordinario osservatorio, la città sotto era incredibilmente lontana, remota. A volte si vedeva la nebbia sul mare, o le placche di ghiaccio sull’Hudson, ma le fredde giornate invernali con il gelido vento da nord-ovest, che poteva far precipitare la temperatura a 10 gradi sotto zero in poche ore, offrivano lo spettacolo più incredibile che potessi immaginare: come essere su una collina alta 350 metri, senza la collina, al suo posto una parete di vetro e acciaio perfettamente verticale. Tre stati dell’unione visibili: New York, Connecticut e New Jersey.

La cosa più incredibile era il vento, specie quando soffiava forte. Il grattacielo era fatto per flettersi, e si fletteva. Le tramezze interne, in legno e cartongesso, scricchiolavano come una vecchia nave, i quadri alle pareti si spostavano lentamente. La sensazione era strana, stranissima, e non sempre piacevole. Il contratto di lavoro prevedeva che in caso di forte vento si potesse stare a casa per “mal di mare”. Delle centinaia di ascensori, venivano chiusi quelli più esterni, mentre funzionavano solo quelli più vicini al centro della costruzione, ed andavano a velocità ridotta.

Ma anche il mal di mare in fin dei conti era un prezzo piccolissimo e per fortuna non frequente da pagare per il privilegio di lavorare in un posto così straordinario. Ora incredibilmente, assurdamente ridotto ad un cumulo di macerie.

Un nostro lettore
Autore : Redazione