00:00 18 Ottobre 2007

IMPERDIBILE! Ecco le PROVE che i modelli dell’IPCC sono “CATTIVA SCIENZA”

Riportiamo l'importante traduzione di un articolo del Dott. Hendrik Tennekes.

Diciassette anni orsono scrissi un articolo su Weather Magazine esprimendo la mia preoccupazione per la mancanza di onestà, integrità morale e umiltà di molti scienziati del clima. In particolare ricordo la frase “Mi preoccupa l’arroganza di scienziati che affermano di poter aiutare a risolvere i problemi del clima a condizione che la loro ricerca riceva massicci finanziamenti”.

Senza che io lo sapessi il mio amico Richard Lindzen stava allora lavorando al suo famoso scritto “Alcune preoccupazioni fredde sul riscaldamento globale” che in quello stesso periodo apparve sul bollettino dell’American Meteorological Society.

Eravamo allora nel 1990; oggi, nel 2007, voglio suonare un nuovo campanello d’allarme, con una differenza però: allora ero preoccupato, oggi mi sento arrabbiato. Sono arrabbiato per il catastrofismo climatico in cui politici e scienziati paiono lanciati.

Sono arrabbiato con Al Gore, sono arrabbiato con il Bulletin degli Scienziati Atomici che ha riavviato l’orologio della catastrofe. Sono arrabbiato anche con Lord Martin Rees che ha impegnato il grande peso della Royal Society a supporto delle tesi catastrofiste e sono arrabbiato con Paul Crutzen per le sue congetture su un ennesimo pasticcio tecnologico, sono arrabbiato con lo staff dell’IPCC per le sue preoccupzioni circa le emissioni di CO2 e sono arrabbiato con Jim Hansen per i suoi sforzi tesi a vendere la catastrofe dello scioglimento della grande massa glaciale groenlandese.

Parlando di Hansen, Lindzen e io abbiamo scritto una parodia da “pesce d’aprile” sulle sue preoccupazioni pubblicata sul sito internet SEPP di Fred Singer (http://www.sepp.org/Archive/NewSEPP/Greenland%20Fantasy.htm). Potrei procedere a lungo ma voglio tenere sotto controllo la mia rabbia.

Sono un pò più che preoccupato delle preoccupazioni dell’IPCC circa la CO2. La base scientifica di tale scelta è ovvia: modelli climatici sofisticati stanno lavorando da vent’anni e più ed è ormai evidente che tali modelli non possono condurci a concordare su qualcosa di più che sul possibile legame fra gas serra e lieve aumento delle temperature medie globali osservato. Il numero di nodi che debbono essere sciolti nelle parametrizzazioni del bilancio radiativo è grande, anche se risultati apparentemente realistici possono essere ottenuti senza grande forzo intellettuale.

Concordo con l’IPCC che è probabile il legame fra consumo di combustibili fossili e aumento delle temperature ma a questo punto il mio consenso finisce. Solo un esempio: i modelli non considerano il feed-back fra variazioni nell’uso e nella gestione del suolo e la circolazione atmosferica ed è in parte per questa ragione che essi non concordano sui campi di precipitazione previsti. E purtroppo accade che per la produzione mondiale di cibo sia assai più importante la variabilità delle precipitazioni che un lieve aumento della temperatura.

Debbo questa considerazione all’amico Dennis W. Thomson della Penn State University. Come me egli parla alla luce di decenni di esperienza. Dennis è il figlio maggiore di un rinomato esperto a livello mondiale in licheni artici e lui e sua moglie vivono oggi in una fattoria di 600 acri del sudovest del Wisconsin, nella Halfmoon Valley, sul fianco sudoccidentale del Bald Eagle Ridge. Come fisico – meteorologo ed ex capo del dipartimento di meteorologia della Penn State University, Denny ha seguito il cambiamento climatico per gran parte della sua vita ed allo stesso tempo è profondamente preoccupato circa la veriridicità dei modelli climatici con basi fisiche incomplete.

Perché così difficile prevedere con 50 anni d’anticipo le precipitazioni? Gran parte delle precipitazioni delle medie latitudini sono associate a sistemi depressionari che si muovono lungo traiettorie imposte della correnti a getto. I mutevolissimi meandri delle correnti a getto si sviluppano al limite esterno della grande calotta d’aria fredda che è centrata sui poli. Gli specialisti chiamano questa calotta con il nome di Vortice Polare ed hanno chiamato Oscillazione Artica il comportamento sinuoso delle correnti a getto nell’emisfero Nord.

Trent’anni fa lavorai con Mike (John M.) Wallace ed il suo dottorando N.C. Lau all’Università di Washington a Seattle su problemi relativi al mantenimento del flusso turbolento lungo il percorso delle perturbazioni del Nord Atlantico.

E’ evidente a tutti gli specialisti di turbolenza che la dinamica degli stati che evolvono molto lentamente è assai diversa a quella degli stati istantanei. Pertanto nel momento in cui ci si chiede cosa mantiene il flusso della corrente a getto ci si trova di fronte ad un tipo di problema che è al cuore di tutta la ricerca sulla turbolenza. Ma la linea di ricerca principale in meteorologia dinamica rifiuta di studiare l’evoluzione lenta della circolazione generale. E’ infatti divenuto talmente facile far girare i GCM su supercomputers che molti scienziati stanno alla larga da argomenti come lo studio di dettaglio delle interazioni fra vortice polare e oscillazione artica.

Mike Wallace mi scrisse un anno fa dicendomi che non esiste il benché minimo consenso su una teoria dell’Oscillazione Artica. Questo fu uno degli argomenti da me discussi in un corso da me tenuto lo scorso anno. Esso era annunciato come “Una tempesta nella serra” essendo in particolare riferito alla crescente asprezza dei dibattiti negli ultimi 15 anni.

Domandiamoci allora come questo problema influenza le previsioni climatiche. Se non esiste ancora una rudimentale teoria che descriva l’evoluzione nello spazio e nel tempo del vortice polare ed ancora meno una relazione definita fra concentrazioni crescenti di gas serra e variabilità nell’oscillazione artica, non esiste la possibilità di fare inferenze circa l’evoluzione futura dei campi di precipitazione.

Oggi conosciamo poco o nulla circa la variabilità spaziale della copertura nuvolosa, delle perturbazioni e dei campi di precipitazione. Lo scorso anno il Servizio Meteorologico Nazionale Olandese (KNMI) ha aggirato questo ostacolo creando scenari di cambiamento climatico con oppure senza variazioni nelle traiettorie delle perturbazioni atlantiche.

Tuttavia in quel caso i rappresentanti del KNMI non hanno purtroppo espresso con franchezza la loro mancanza di conoscenze. Essi avrebbero infatti dovuto dire: non conosciamo nulla circa possibili cambiamenti di traiettoria delle perturbazioni atlantiche e dunque non possiamo dire nulla circa le precipitazioni future; invece in modo del tutto coerente con la tradizione dell’IPCC si è preferito glissare attorno a questi argomenti.

Uno dei miei contatti nel KNMI mi ha recentemente spiegato che la loro scelta è stata basata sul crescente livello di concordanza fra la simulazioni dei diversi GCM. Gli risposi che lo spirito di consenso dell’IPCC sta evidentemente influenzando anche i loro supercomputer. E’ certo un male che le simulazioni dei computer possano essere confrontate con le situazioni reali solo dopo che le situazioni stesse si sono verificate; tuttavia in assenza di una robusta teoria stocastico-dinamica della circolazione generale non è neppure possibile confrontare le simulazioni climatiche con i caratteri fondamentali del clima.

In realtà, il monopolio dei GCM nel business della ricerca climatica è un interessante oggetto di indagine, e non solo per ragioni sociologiche. Un GCM è un modello di previsione del tempo i cui coefficienti e le cui parametrizzazioni vengono regolate in modo tale da produrre risultati a lungo termine che abbiano un’aria di realismo; non appena ciò è stato ottenuto, il modello viene fatto girare per alcune decine di anni. A tale riguardo occorre dire che non vi sono studi approfonditi circa il modo in cui piccoli errori nel software agiscano sui valori medi di alcune variabili di output fra 50 anni. Un modello previsionale a breve o medio termine (di quelli usati per le normali previsioni del tempo) può operare con parametrizzazioni relativamente rozze delle condizioni al contorno, delle nubi, della convezione e dei processi di evaporazione e condensazione; ciò in quanto l’evoluzione a breve della circolazione atmosferica è governata soprattutto dalle sue dinamiche interne.

Al contrario l’evoluzione a lungo termine della circolazione generale è in larga parte determinata dalle condizioni al contorno (boundary conditions). Tale evidenza mi ha colpito fortemente quando scoprii che un semplice algoritmo di crescita dell’inversione all’interno dello strato limite diurno che avevo messo a punto nel 1973 è ancora in uso oggi. Come si può essere sicuri che un vecchio algoritmo previsionale sia in grado di assolvere al compito assegnatogli all’interno dei modelli climatici? A volte sembra che in questa attività nessuno conosca le considerazioni filosofiche sulla “falsificazione” di Popper. Per questa ragione resto allibito di fronte ai documenti del WCRP che promuovono previsioni a tutte le scale temporali.

L’ovvio obiettivo di tale attività è la difesa del monopolio di cui i GCM hanno goduto così a lungo. Si tratta di strategia, non di scienza, fatta da scienziati che non si sono mai avvicinati alla fondamentale monografia di Lorenz sulla Circolazione Generale pubblicata dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale, da scienziati le cui facce sbiancano quando si parla di Energia potenziale disponibile o di Energia cinetica turbolenta, da scienziati che, non essendo loro offerte alternative, non possono che accodarsi a quanti affermano di avere necessità assoluta di maggiore potenza di calcolo e di maggior risoluzione dei modelli. Per costoro l’attività di pensare con la propria testa è davvero troppo difficile per essere messa in atto.

Per tutto il 2006 sono stato in corrispondenza con Tim Palmer, scienziato leader del Centro Europeo per Le Previsioni a Medio Termine (ECMWF). Obiettivo apparente delle nostre discussioni era la dinamica dei filamenti vorticosi intorno alle aree di alta pressione di blocco. Palmer intuiva che sottili strati di vorticità relativa positiva intorno a un nucleo di vorticità negativa possano servire a prolungare la vita dei sistemi di alta pressione ed io sentivo che questa poteva essere un’ipotesi valida. Per molti anni ho ridicolizzato la fraseologia per cui le alte pressioni di blocco erano considerate in grado di far divergere perturbazioni che si pongono sulla loro strada. Più di una volta avevo spiegato a un reporter che sarebbe stato ugualmente appropriato sostenere che perturbazioni che divergono sostengono l’alta pressione di blocco.

Poi arriva la difficoltà: i fini filamenti di vortici possono essere simulati solo su computers con risoluzione orizzontale di molto accresciuta. Con il corrente pixel di 40 km del modello dell’ECMWF, la simulazione della microstruttura della vorticità troposferica avrebbe, se non erro, richiesto un incremento di 10.000 volte della potenza del computer, ed io penso che questo è il modo in cui la propaganda per il “petaflop computing” che emana dal WCRP si afferma. Mille computer della generazione successiva alla prossima potrebbero comunque presentare la necessaria crescita di potenza. Ciò a sua volta dovrebbe richiedere una struttura della dimensioni di un CERN o di un ITER.

E’ questo l’obiettivo di John Houghton, Bert Bolin, Martin Rees e dello staff dell’IPCC? Ho lasciato la compagnia di questi “commercianti di potenza” molti anni fa, per cui non posso immaginare a che punto sono oggi. Palmer fortunatamente mi ha convinto di non essere un loro burattino. Abbiamo continuato la nostra corrispondenza: “Pertanto tu stai realmente mirando ad un massiccio incremento della potenza?”, gli ho scritto “stai partecipando alla stessa danza che mi ha contrariato così a lungo”. Nei miei anni trascorsi come direttore di ricerca al KNMI i ricercatori intorno a me dicevano onestamente che la mia sola attività era quella di promuovere il rapido acquisto del prossimo nuovo supercomputer.

Erano entusiasti di cospirare alle mie spalle con la cricca dell’hardware del KNMI ed i commerciali delle ditte produttrici di computer. Questo spesso si traduceva in sconti apparentemente vantaggiosi offerti nel periodo di Ottobre, proprio quando l’informazione ufficiosa relativa ad un surplus di budget che sarebbe presto stato riferito al Management Team, era giunta alle orecchie dei commerciali.

Io sarei stato solidale con le idee di Palmer se egli si fosse espresso a favore di una miglior rappresentazione dei vortici oceanici o dello strato limite atmosferico o sugli effetti climatici dei mutamenti d’uso del suolo. La dinamica dei percorsi delle perturbazioni e delle alte pressioni di blocco sono solo alcune delle molte interazioni che richiedono più ricerca ed è certamente inappropriato mirare tanta potenza su questo solo obiettivo. Infatti ciò potrebbe esser meglio ottenuto puntando su computer specializzati ed in particolare nel caso delle alte pressioni di blocco un computer per le previsioni avrebbe sicuramente raggiunto migliori risultati, poiché dedicato a dinamiche interne all’atmosfera. Secondo me il senso dell’equilibrio si era purtroppo perso nell’appello di Palmer.

Voglio impegnarmi per la decenza, la moderazione, l’onestà, l’integrità morale e l’equilibrio nella ricerca sul clima. Spero e prego che ci si liberi dall’ossessione per le previsioni climatiche. Le simulazioni del clima sono meglio utilizzabili come strumenti per esperimenti di sensibilità che come strumenti per i decisori politici. Dissi questo nel 1990 e lo ridico ora: le limitazioni imposte dall’ecosistema del pianeta richiedono continue modifiche al nostro agire e un permanente adattamento.

Le capacità previsionali sono di importanza secondaria. Dovremmo allora smettere di fornire fondamenti alle preoccupazioni per i gas serra in cui i politici indulgono. La politica energetica globale è affar loro, non nostro.

Non dovremmo allora fornire ai politici previsioni catastrofiche come copertura alle loro intenzioni reali. Se l’IPCC non si ravvede è meglio lasciarlo lì dove sta: il mondo è pieno di cose da fare.

Nel 1976 Steve (Stephen H.) Schneider pubblicò un libro intitolato “La strategia della genesi”. Esso ebbe un impatto su di me a quel tempo, in primo luogo perché Schneider non poneva al centro le difficoltà tecnologiche ma viceversa puntava su una strategia globale di ciò che oggi è chiamato adattamento, un’idea abbracciata da IPCC con riluttanza e in modo tardivo. Erano quelli i giorni dell’inverno nucleare, dei progetti di modificazione del tempo, del progetto Stormfury, della distruzione dell’ozono stratosferico e dell’idea matta di ricoprire il ghiaccio artico con polvere di carbone per prevenire una nuova era glaciale. Nella prefazione a tale libro, Schneider citava la seguente frase di Harvey Brooks, poi preside di Ingegneria a Harvard: “Gli scienziati non possono più a lungo fingersi ingenui circa gli effetti politici di opinioni scientifiche pubblicamente espresse. Se l’effetto delle loro vedute scientifiche è politicamente potente, essi hanno l’obbligo di dichiarare le loro assunzioni politiche e di valore e cercare di essere onesti con sé stessi, con i loro colleghi ed il loro pubblico circa il livello a cui le loro convinzioni hanno influenzato la loro selezione e interpretazione dell’evidenza scientifica”.

Ho terminato l’esposizione delle mie prove!
Autore : traduzione a cura di Luigi Mariani e Gabriele Cola