00:00 7 Aprile 2020

COVID-19: tra “scleri” e il preoccupante “caso Milano”

Certe lagnanze non si possono proprio sentire di fronte ad una tragedia che ha colpito cosi duramente il Paese.

Abbiamo fatto il sacrificio di stare in casa, alcuni hanno perso dei soldi, qualcun altro il lavoro, altri ancora qualcosa forse di più importante: la vita stessa.

In fondo stare in casa ci ha consentito e ci consente la straordinaria opportunità di stare con i figli (anche se qualcuno sembra sempre non vedere l’ora di sbarazzarsene e ci si chiede perché mai li abbia voluti), di stare con la propria compagna, di goderci la casa per la quale milioni di italiani stanno pagando il mutuo, di fare cose che non facevamo più da anni, ma soprattutto di imparare ad annoiarci, di sviluppare una cosa che è ormai rara: la virtù della pazienza.

Ci sono persone che non sopportano la clausura forzata e lo dichiarano apertamente. Finché vivo in 40m con consorte e figli piccoli che strillano in continuazione si può capire, finché vivo in condizioni di indigenza e questa azione di contenimento mi ha provocato un danno economico ancora più rilevante, è comprensibile, ho problemi di esaurimento nervoso e sono in cura, anche, ma chi vive in 80mq con terrazzo o balcone, gode di discreta salute e non ha figli, non ha problemi di lavoro, o è giovane e vive con i genitori, si deve adeguare, punto.

Sentire strepitare in televisione persone che vogliono uscire dagli "arresti domiciliari" senza se e senza me il 14 aprile non ha molto senso, se non evidenziare una volta di più che siamo un popolo viziato, schiavo del piacere, riluttante alla rinuncia, che se ne infischia dei sacrifici veri fatti dalle generazioni precedenti per arrivare al grado di benessere che abbiamo raggiunto e a cui non intendiamo rinunciare.

Oltretutto siamo ancora in piena emergenza, nazionale e mondiale. C’è una regione, la Lombardia, che sta pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane, di affetti mancati, di ansia ed angoscia infinite. A queste persone non possiamo rispondere: "che colpa avrà chi corre o va in bicicletta, perché gli si dà dell’untore?"

Il discorso è un altro: perché io dalla finestra devo vedere tu che corri e io non posso uscire? Perché tuo figlio può uscire e il mio no? Se tutti uscissero a correre insieme a te, sarebbe bello? Hai un pass di privilegiato? E’ questo che non va, è chiaro che chi corre non "unge" nessuno, ma è il principio. C’è una regola? Si rispetta, basta.

Chiaro che la cosa ha un significato diverso per i borghi di montagna dove abitano solo poche decine di persone: lì passeggiare dovrebbe essere sempre consentito, ma negli agglomerati urbani ci sono migliaia o milioni di persone, qui per rispetto nei confronti del prossimo NON devo farlo.   

Centododici morti in un giorno a Milano città. È il dato delle ultime 24 ore. È quasi tre volte sopra la media. L’onda del virus è arrivata anche nel capoluogo lombardo dopo aver colpito Bergamo e Brescia. I morti sono oltre 600 da inizio aprile. Certo che sono quasi tutti ultra 75 anni ricoverati spesso in case di cura, ma proprio in questa considerazione emerge tutto il nostro egoismo.

Questi dati in realtà sottendono il rischio che Milano sia ancora una "polveriera" pronta ad esplodere e che le misure restrittive vanno mantenute senza riserve, né dubbi.

Per quanto? Fintanto che i dati non saranno davvero rassicuranti. Ovvio che alcune aree del Paese, specie rurali o di regioni meno coinvolte, potranno sperare (e ce lo auguriamo tutti) di uscire dalla quarantena, pur con gradualità, ma strepitare in TV affinché riaprano da subito le grandi metropoli per farsi uno spritz ai tavolini del bar, non si può sentire, perlomeno NON ancora. 

Autore : Alessio Grosso