00:00 14 Settembre 2020

Lo spostamento verso nord della cella di HADLEY: cosi si spiega il cambiamento climatico MA…

Le notizie più contraddittorie sul futuro climatico sbarcano su rete, radio, tv e giornali. La più gettonata riguardano le conseguenze di un reale spostamento verso nord della cella di Hadley, una delle tre circolazioni chiuse che governano il clima.

La cella di Hadley si sposta verso nord e l’Africa visita il Mediterraneo. L’abbiamo scritto molte volte e per molti anni su MeteoLive attribuendo a questo nuovo posizionamento l’innalzamento del flusso perturbato atlantico di alcuni gradi di latitudine e cercando così di motivare le frequenti ondate di calore e i lunghi periodi siccitosi o secchi che hanno caratterizzato il clima degli ultimi 30 anni.

Badate bene: non che prima che non si assistesse mai a simili condizioni, ma è innegabile che l’influenza dell’anticiclone africano sul clima del Mediterraneo sia aumentata.

Secondo una teoria sposata anche da diversi ambienti scientifici universitari lo spostamento verso nord della circolazione di Hadley rischia quindi di accentuare i processi di desertificazione delle regioni del Mediterraneo.

Dal 1979 al 2015 pare evidente uno spostamento che va dai 250 ai 500 km. Uno dei metodi usato per confermare queste ipotesi si serve dei palloni meteorologici dai quali è parso evidente un rialzo del limite della tropopausa per diverse centinaia di km in latitudine verso nord con un’altezza che si colloca ora attorno ai 15km. Nella parte equatoriale della cella sono attive le ascendenze temporalesche, mentre in quelle subtropicali, più prossime a noi, le discendenze che assicurano stabilità, cieli sereni e caldo e dando origine ai grossi anticicloni che conosciamo).

Una parte di quest’aria torna poi verso l’equatore a chiudere la cella, un’altra porzione si collega con le nostre latitudini temperate prendendo contatto con la cella di Ferrel, quella che regola il nostro clima. E’ chiaro come nella parte discendente della cella di Hadley siano presenti estese aree desertiche.

Da qui l’idea che un suo spostamento verso nord possa provocare una parziale desertificazione di alcune nostre regioni, segnatamente di alcune aree delle isole maggiori e della Puglia.

La pubblicazione della notizia che un team di scienziati sarebbe arrivato alla conclusione che la zona di convergenza intertropicale con i suoi temporali si starebbe spostando a nord di 3 km l’anno, ha scatenato i giornalisti che ne hanno subito attribuito la causa alla cella di Hadley. Ovviamente le cose NON stanno in questi termini. Semmai prima dei temporali dovrebbe arrivare la zona delle discendenze. Significherebbe rivoluzione climatica; immaginatevi che la fascia delle discendenze si collochi sulle Alpi e la fascia delle piogge equatoriale, cioè quelle delle ascendenze si organizzi all’altezza di Sicilia e Calabria.

Altro che desertificazione al sud, la vegetazione si trasformerebbe totalmente e cambierebbero anche gli equilibri economici. NO, non esiste proprio. Significherebbe cancellare la corrente a getto, il flusso perturbato atlantico, riclassificare i climi di tutto il mondo come mai accaduto prima d’ora. FOLLIE di inizio autunno!

Semmai l’unico rilievo interessante si può fare rispetto alla potenza di sviluppo dei cumulonembi. Con una tropopausa così alta queste nubi a sviluppo verticale possono diventare ancora più imponenti ed intense qualora, come già avvenuta, filtrasse dell’aria fredda in quota pronte ad innescarle.

La conseguenza sarebbero indubbiamente temporali più violenti, ma direi che al momento non è il caso di preoccuparsi. In fin dei conti il numero dei temporali negli ultimi 30 anni è complessivamente diminuito su scala nazionale e non aumentato.

E’ appena il caso di ricordare che spesso in primavera sia al nord che lungo la dorsale appenninica il temporale era un rito quotidiano nelle ore pomeridiane e questo anche nelle grandi città. Ci sono zone dove oggi questi temporali si contano sulla dita di una mano nell’arco di un’intera stagione.

Poi si dice, i danni: ma se prendessimo un quotidiano di 30 anni fa il giorno dopo un temporale, troveremmo scritte le stesse identiche cose di oggi. Sono altri gli elementi che possono portarci situazioni di svantaggio, cioè di caldo eccessivo e persistente, che ha conseguenze anche più gravi sulla salute di qualche forte temporale. Mi riferisco all’indice EA+. Negli ultimi vent’anni alla forte presenza di una zona ciclonica all’altezza delle Isole Britanniche è corrisposta la presenza di un anticiclone sulle nostre testa.

Le fasi di EA- sono invece coincidenti con circolazione dei venti stratosferici sutropicali antizonale, il cosiddetto QBO-. La persistenza dell’EA positivo va ricercata nell’alternanza delle temperature superficiali dell’Oceano Pacifico (PDO) e dell’Atlantico (AMO).

Se ad esempio l’AMO è positivo il getto polare tende ad aggirare l’anomalia positiva in senso orario, mentre procede in senso antiorario rispetto a quelle negative, Se la PDO è negativa dunque il getto entra da SW nell’area californiana, affonda poi sull’Atlantico occidentale, inviandoci di rimbalzo un’onda di alta pressione. Interessante poi notare quanto la cella di Hadley in inverno risulti più fragile del normale quando è presente il Nino. Infatti la presenza del Nino per l’Italia non è quasi mai un problema in inverno ma lo diventa in primavera-estate, quando la cella di Hadley fluttua in modo naturale verso nord con rafforzamento delle subsidenze e forti ondate di calore per noi. Badate bene però che questa interazione si verifica solo in casi di Nino particolarmente forte.

Ma non finisce qui. Le influenze possono anche essere altre. Il Centro Nazionale delle Ricerche ad esempio ritiene che nell’espansione dell’anticiclone africano nella’area mediterranea ci sia lo zampino del monsone africano. Quando è particolarmente intenso sul Mediterraneo una anomalia positiva di temperatura di circa 1°C e una vasta anomalia positiva di geopotenziale con un massimo ben localizzato che indica la penetrazione nel bacino occidentale dell’anticiclone subtropicale. Il fenomeno monsonico in Africa Occidentale produce come primo effetto il rafforzamento dell’anticiclone subtropicale sul nord Atlantico (Rodwell & Hoskins, 2001), con la conseguente deviazione del flusso occidentale verso le regioni del nord Europa e la permanenza di condizioni di stabilità sul Mediterraneo.

I venti orientali che incontrano l’orografia dei massicci dell’Atlante e dell’Ahaggar sono all’origine di un dipolo alta-bassa pressione, in cui il polo di alta pressione è noto come anticiclone Libico. Il tutto parimenti provoca un’approfondimento depressionario localizzato sulla costa occidentale dell’Africa con piogge abbondanti nell’area del Sahel. Alla siccità riscontrata nel Sahel tra gli anni 60 e 70 corrispose un periodo perturbato, fresco e spesso anche nevoso per il nostro Paese. Insomma anche il monsone come vede recita un ruolo di primissimo piano ma sulla linea di tendenza dei prossimi anni non vi è alcuna certezza al riguardo ma pare chiaro che più che dai diluvi temporaleschi bisognerà guardarsi da ondate di calore e periodi secchi eccessivamente prolungati, senza che questo suoni necessariamente come un "allarme carestia".

Autore : Alessio Grosso