00:00 14 Novembre 2017

Bassa attività solare e raggi cosmici: l’inverno ne viene influenzato?

Quanto conta il sole nell'economia del clima? Secondo alcuni scienziati molto, secondo altri, molto poco.

Chiaro indicatore del livello di attività solare, oltre alle macchie e alle aurore, è la concentrazione di Carbonio 14 presente negli anelli di accrescimento degli alberi; il loro spessore varia in sintonia con il ciclo undecennale delle macchie solari.

E’ il bombardamento degli atomi di azoto da parte dei raggi cosmici, un flusso di particelle cariche che proviene dallo spazio a determinarne l’accumulo negli anelli e questo avviene solo in fasi di limitata attività solare, cioè quando i raggi cosmici riescono a raggiungerà la Terra in modo più cospicuo. Durante il minimo di Maunder ad esempio la concentrazione di Carbonio 14 è da considerarsi notevole ed è in linea con la fase della piccola era glaciale.

Esistono poi molti altri cicli, oltre a quello più comune di Schwabe, c’è quello di Hall (tenuto in forte considerazione nell’ambiente), di Gleissberg che rivisita il ciclo di Schwabe, quello di Suess, di Hallstattzeit. Come vedete rischiamo di addentrarci in un ginepraio, errore da cui un divulgatore dovrebbe tenersi alla larga parlando ad un gruppo di lettori così eterogeneo.

Certo l’intervallo tra il valore minimo e massimo di irraggiamento solare è modestissimo ed è stimato nello 0,1%.
Sommando l’inerzia termica degli oceani, alle sollecitazioni inquinanti dell’uomo in termini di aumento di CO2 molti si chiedono come sia possibile che qualche anno con sole in relativa letargia, abbiano un ruolo nella modifica palese della circolazione atmosferica sull’Europa.

Eppure per i due inverni consecutivi in cui il sole ha dormicchiato tra il 2008 e il 2010, l’alta pressione è praticamente scomparsa dal palcoscenico del Vecchio Continente, il vortice polare è andato incontro ad una tale debolezza da cancellare per alcune settimane la depressione d’Islanda, si è rivisto, dopo la fugace comparsa del dicembre 2001, in grande stile l’anticiclone russo-scandinavo in grande spolvero e il freddo non ha scherzato, colpendo in modo severo molte zone dell’Emisfero Boreale.

Nel Mediterraneo è transitato in due anni un numero esagerato di perturbazioni, fino a superare il record dell’ultimo decennio appartenente alla stagione 2000-2001, due strat-warming di notevole interesse scientifico si sono riscontrati a distanza di un anno e le zone a rischio desertificazione del nostro territorio sono quelle che più di tutte hanno ricevuto pioggia, mettendo a nudo la già nota fragilità del nostro territorio.

Più sconvolgente di così direi che la situazione non poteva essere, se pensiamo solo che tipo di inverni si erano vissuti nei due anni precedenti.

Certo, negli anni successivi l’inverno ha vissuto momenti deprimenti, con il solo acuto del febbraio del 2012 e di quello più modesto ma nevoso del 2013, poi tanto anticiclone, pochissimo freddo, tanta neve alternata ad anni di magra sulle Alpi, se ci eccettua l’episodio gelido del Capodanno 2015, che ha portato i fiocchi sulle spiagge della Sicilia.

Molti scienziati comunque concordano sul fatto che un minimo del ciclo di Schwabe si accompagni ad un regime pressorio mediamente più basso e dunque mediamente più freddo.

Un basso flusso solare potrebbe anche innescare blocking atlantici tali da paralizzare per il gelo mezza Europa, lo dicono gli studi comparati di molte Università.

Inoltre quando sono presenti intensi brillamenti solari i raggi UV aumentano anche di oltre il 15 per cento, con possibile influenza sulla temperatura e le configurazioni bariche in sede troposferica, con modifiche delle posizioni della circolazione a celle.

Altissima in particolare sarebbe l’interazione tra NAO e raggi cosmici. Rilevante poi l’influenza del ciclo magnetico del sole sulla PDO, nonostante cicli caldi e freddi che hanno una durata media di circa 25 anni.

Se la fase di debolezza dell’attività solare dovesse continuare, è possibile che Nina e PDO negativa diventino più frequenti degli episodi opposti, con conseguente tendenza ad un lieve ma costante raffreddamento climatico.

Dagli studi condotti dal Centro Nazionale delle Ricerche emerge un collegamento tra il flusso di raggi cosmici provenienti dallo spazio, regolati dall’attività solare, e la formazione di nubi negli strati medio-bassi della troposfera. 

Quando i raggi cosmici risultano più numerosi, la loro interazione con l’atmosfera produrrebbe ioni. Il richiamo elettrostatico li aggregherebbe fino a fungere da nuclei di condensazione. Viene poi da sè che ad una maggiore copertura nuvolosa diurna corrisponde una flessione termica.

Autore : Alessio Grosso