00:00 25 Maggio 2011

Vulcano GRIMSVOTN: eruzione ferma ma traffico aereo bloccato anche in Germania

L'Islanda resta inquieta, il Grimsvotn però attenua la sua attività eruttiva.

Come già avvenuto nei secoli passati, questi titani del grande nord, affollati su un’isola estesa oltre un terzo dell’Italia, più volte hanno manifestato la loro irrequieta violenza. L’intera isola è un prodotto vulcanico, con le sue viscere incandescenti che hanno fatto la fortuna dei pochi e temerari abitanti (meno di quelli della sola Venezia).

Nell’isola del ghiaccio persino loro, i vulcani, di cui se ne contano una cinquantina attivi in tempi storici, riposano per lo più sotto immense coltri bianche. Enormi cupole di ghiaccio simili a quelle continentali della Groenlandia che, sebbene miniature di  questi, raggiungono le migliaia di km2 e svariate centinaia di metri di spessore (fino ad oltre 1000 nel Vatnajokull).

Le manifestazioni pacifiche del vulcanesimo secondario, quali geyser, sorgenti calde, fumarole e simili, sono sempre state ben gradite ma costituiscono solo ampie pause pacifiche, comprese tra improvvisi quanto pericolosi cataclismi.

Eruzioni multiple, centinaia di crateri e ferite gorgoglianti fontane di lava si aprono su territori vasti come una provincia. Spesso i ghiacciai sovrastanti o limitrofi fondono o esplodono letteralmente per le alte temperature, quando l’acqua liquida si scinde in idrogeno e ossigeno. Interi versanti si sciolgono in immense colate di fango e detriti, capaci di viaggiare anche a oltre 80 Km/h. In Islanda hanno un nome tutto loro per questo fenomeno unico  jökulhlaup, l’analogo dei lahar indonesiani, dove però i ghiacciai non esistono.
 

Questo è ciò che accade quando uno dei due margini di quella immensa cicatrice della crosta terrestre, la dorsale medio-atlantica che corre per quasi 20000 km dai mari antartici al polo nord, decide di allargarsi per consentire al mantello fluido di risalire in superficie e formare nuova crosta. In pochi altri posti al mondo come nell’Africa centro-orientale o nelle Galapagos, si può assistere ad un fenomeno analogo che non sia centinaia di metri sotto il fondo degli oceani.
 

L’attività vulcanica è pertanto quotidiana, ma la frequenza di eventi rilevanti si misura in termini di decenni; quelli del tipo che stiamo vivendo, sono dell’ordine dei 30-50 anni. Per i fenomeni catastrofici, capaci di conseguenze pesanti anche al di là delle coste dell’isola, a volte non passano che 2-3 secoli.

Il passato islandese ci parla infatti di fenomeni catastrofici come quello del vulcano Bardarbunga che, nel 1477, con i suoi oltre 20 km3 di materiale espulso, viene registrata come una delle più grandi eruzioni della storia. Oppure quella del Laki 1783 che, secondo le cronache del tempo, causò migliaia di morti per avvelenamenti e intossicazioni perfino nelle isole britanniche, Benelux e Francia.

Gas mortali come il fluoro e il monossido di carbonio fecero strage di viventi sulla grande isola, mentre cloro e zolfo, combinandosi con le acque si trasformarono in micidiali aerosol di acidi che, complici le correnti in quota, viaggiarono fin dentro il cuore dell’Europa. Le conseguenze sul clima locale e gli effetti a catena sugli equilibri climatici, specie nell’emisfero nord, si protrassero per oltre 2 anni. L’eruzione durò, tra alti e bassi, oltre 7 mesi.

Questa grande eruzione fu preceduta da quella di un altro vulcano situato sull’ovest dell’isola, il Reykjanes (nome che rievoca quello della capitale ad esso prossima), con effetti simili a quelli attuali, che ovviamente si andarono a sommare a quelli successivi e più gravi del Laki. (leggere Apocalisse Bianca, Mursia)

Spesso infatti accade che diversi vulcani limitrofi entrino in eruzione in periodi più o meno contemporanei, proprio come nel 1783, oppure nel 1823 quando sia il Katla, il Grimsvotn nel cuore del Vatnajokull, che lo stesso Eyjafjallajokul eruttarono a più riprese e con intensità anche superiore a quella attuale. Questi collegamenti sono dovuti, in parte, anche al fatto che in Islanda la crosta è molto sottile e fratturata e le enormi spinte del mantello tendono ad avere effetti più diffusi sul territorio, con bocche eruttive che fanno da sfoghi più o meno contemporanei.

Un’altra caratteristica è la durata delle eruzioni che può protrarsi per mesi o anche anni, più o meno per lo stesso motivo; vale a dire che la fonte di alimentazione magmatica tende a permanere attiva per molto tempo, prima di esaurirsi o andare incontro a pericolose ostruzioni. Purtroppo si sa poco dalle cronache del passato, se non che alcune fasi eruttive si sono protratte anche per 2-3 anni. Molti vulcani poi, come il Grimsvotn ed altri prospicienti, entrano in eruzione più o meno ogni 10-20 anni da ormai 1000 anni; cioè da quando ce n’è memoria scritta, sebbene con effetti locali e limitati.

Altra incognita è la composizione chimica dei magmi che si fanno strada verso l’esterno. In prevalenza si tratta di magmi basici e quindi dalle caratteristiche molto fluide e poco esplosive; soprattutto in prossimità delle linee di frattura più vicine all’asse della dorsale (cicatrice principale). Già nel caso del Eyjafjallajokul si tratta di magmi più viscosi (ricchi in silice, quindi più acidi) e più avvezzi a fenomeni esplosivi notevoli. In Islanda esistono caldere simili a Thera o Krakatoa, come quella del Tindfjallajökull, la cui formazione fu dovuta ad un’eruzione catastrofica oltre 8000 anni fa; ma anche più recenti, sebbene meno distruttive (VEI – indice di esplosività vulcanica 5 – su una scala da 0 a 8 che considera la quantità del materiale espulso e la potenza con cui ciò avviene), come quella dell’Askja nel 1875.

Altre complicazioni sono dovute al fatto che molti di questi vulcani sorgono su spaccature secondarie in continuo movimento (faglie trasformi o trascorrenti), in grado di far “pescare” ai camini vulcanici magmi con caratteristiche diverse ed effetti eruttivi altrettanto diversi.  

Cosa dire poi dei vulcani prospicienti, il cui monitoraggio si è giocoforza intensificato: Il Katla è il sorvegliato numero uno, dal momento che le sue manifestazioni sono state sempre temute e potenti, come nel 1721 o nel 1755 (VEI 5 e 5+). Questo vulcano ha avuto cicli eruttivi sempre molto ravvicinati, dell’ordine dei 30-50 anni. È invece dal 1918 che non da segnali di questo tipo, se non attività secondarie di basso rilievo.

Lo stesso dicasi dell’Oraefajokull, prossimo alla costa meridionale a poche centinaia di km ad est del Eyjafjallajokul, che dopo la grande eruzione del 1727-1728 (VEI 5), sembra sia entrato in uno stato di quiescenza piuttosto sospetto.

Da oggi il Grimsvotn si è attenuato ma 500 voli sono stati annullati in Scozia e Irlanda del Nord, chiusi i due aeroporti di Berlino (dalle 9 di stamattina), di Amburgo e di Brema, le polveri della nube sorvolano ormai i cieli della Danimarca e sino a venerdì vi saranno limitazioni al volo, nel fine settimana invece, se l’eruzione non dovesse riprendere, tutto potrebbe tornare alla normalità.

Autore : Giuseppe Tito e Alessio Grosso