00:00 12 Giugno 2013

Flusso zonale in profonda crisi da almeno 10-15 anni: ecco le possibili cause

Alla ricerca di una zonalità ormai smarrita: cosa è successo al nostro clima nell'ultimo ventennio?

Ai giovani (sempre più numerosi) ragazzi appassionati di meteorologia, la parola "zonalità" suona come qualcosa di un passato che ogni giorno pare più lontano. Col termine zonalità si intende un preciso comportamento dell’atmosfera che ha reso famoso il nostro clima nel secolo scorso.

Cosa intendiamo col termine zonalità, quali conseguenze porta la sua presenza?

Col termine zonalità intendiamo un flusso teso di correnti occidentali che scorrono ad alte quote atmosferiche. Queste correnti occidentali così forti, funzionano da "nastro trasportatore" nei confronti delle perturbazioni che dall’oceano Atlantico potevano raggiungere con relativa facilità i settori centrali ed orientali del Mediterraneo anche nel cuore della stagione estiva.

L’innesco della zonalità era da ricercare in una forte attività della depressione semipermanente d’Islanda, cioè un vasto gorgo di bassa pressione che durante l’autunno e l’inverno acquistava grande potenza sull’oceano Atlantico settentrionale. La presenza di questa grande depressione non si limitava ad influenzare soltanto il tempo della stagione invernale e delle due stagioni di transizione (primavera – autunno) ma riusciva a portare considerevoli effetti sulla circolazione atmosferica durante il periodo estivo.

Col passare degli anni la presenza di questa depressione sull’oceano Atlantico settentrionale è andata progressivamente decadendo, lasciando posto spesso e volentieri all’elevazione verso nord dell’anticiclone azzorriano.

Quali sono i nuovi standard atmosferici dell’ultimo decennio?

Col decadimento graduale e progressivo della semipermanente d’Islanda, sono cambiati anche i protagonisti del tempo atmosferico sul bacino del Mediterraneo, che ora risultano frutto di un tipo completamente diverso di circolazione. Così ad esempio, non ci si stupisce più di tanto della presenza così opprimente dell’anticiclone africano durante il periodo estivo. L’espansione verso est dell’anticiclone delle Azzorre che caratterizzava il clima dei decenni passati era infatti una conseguenza diretta della "spinta" offerta dal flusso zonale che resisteva sino al cuore della stagione estiva. La decadenza della zonalità ha portato come effetto, l’impossibilità da parte dell’anticiclone delle Azzorre, di spingersi verso est sino ad occupare il Mediterraneo.

Dal canto suo la stagione autunnale risente anch’essa della mancanza di una spinta depressionaria da ovest verso est, con un tipo di tempo che durante la seconda metà di agosto, settembre e spesso anche ottobre, risulta di fatto un prolungamento sinottico di standard tardo estivi.

La stagione invernale e quella primaverile sono invece caratterizzate da marcati scambi meridiani di masse d’aria; la presenza di temperature spesso e volentieri sopranorma sull’Atlantico settentrionale viene compensata da una anomala attività delle depressioni scandinave ricolme di aria artica che puntualmente non mancano di far visita al nostro stivale, sostituendosi alla vecchia circolazione fatta soprattutto perturbazioni miti e piovose.

Quali potrebbero essere le cause che hanno portato ad una modifica così profonda della situazione barica su Europa, oceano Atlantico e Mediterraneo?

Recenti studi mettono in correlazione il costante e graduale ritiro della banchisa artica col progressivo decadimento dell’attività ciclonica nord-atlantica. La fervente attività della semipermanente d’Islanda infatti, trovava linfa vitale proprio dalla presenza di un vasto serbatoio di aria fredda presente alle altissime latitudini atlantiche, dove la presenza della banchisa polare garantiva il mantenimento di valori termici assai più freddi rispetto a quelli attuali. Il ritiro della banchisa polare nelle ultime stagioni è diventato di proporzioni drammatiche, esso si ripercuote sull’intera circolazione generale dell’atmosfera, determinando spesso e volentieri forti anomalie termiche alle alte latitudini settentrionali.

Col passare del tempo è stato quindi osservato un decadimento dell’attività ciclonica nord-atlantica a scapito di una aumentata attività da parte delle depressioni fredde scandinave che durante l’inverno acquistano notevole vigore. Successivamente queste depressioni estendono la propria influenza all’Europa centrale ed occidentale. Da qui nascono gli inverni estremamente nevosi e rigidi che hanno caratterizzato il Regno Unito dal 2009 in avanti.

Come anticipato, questo stravolgimento alla circolazione atmosferica si ripercuote anche sulle dinamiche di fine estate, sino alla prima metà dell’autunno. Nei decenni passati infatti, il ritiro della banchisa polare risultava meno eclatante rispetto a quanto avvenuto negli ultimi anni, l’attività ciclonica nord-atlantica risultava più accentuata ma soprattutto caratterizzata da un rapido recupero in intensità col finire dell’estate. Questo portava come conseguenza, break di fine estate assai anticipati sulla tabella di marcia, con i primi intensi temporali di fine stagione che avvenivano già entro Ferragosto. Negli ultimi anni questa tendenza appare quantomai stravolta nelle tempistiche, vedendo assai dilatati i tempi di recupero da parte del Vortice Polare nel suo processo di ricompattamento autunnale.

Sino a che punto potranno spingersi questa serie di importanti modifiche alla circolazione generale atmosferica nessuno lo sa. Non è nemmeno diagnosticabile a priori una correlazione diretta tra le attività antropiche e quello che sono le modificazioni climatiche avvenute su scala globale. Emerge tuttavia la "volontà" da parte del sistema atmosferico di effettuare un riassetto delle figure bariche su nuovi standard atmosferici ancora difficilmente inquadrabili nel dettaglio.

 

Autore : William Demasi