00:00 21 Ottobre 2011

Il pauroso nubifragio romano, ecco le cause

D'improvviso una violenza inaudita si abbatte sulla Capitale e nelle zone limitrofe, dove cadono quantitativi di pioggia impressionanti e per diverse ore di fila. Sviscerando le carte in post-analisi siamo risaliti alle cause sinottiche che hanno portato ai motivi di questo evento eccezionale.

 Pur stando sempre dalla parte della moderazione e della misura, questa volta ci dobbiamo sbilanciare e parlare di evento estremo. Stavolta, a dispetto di tutte le strumentalizzazioni politiche e non che ne deriveranno, non è stata l’incuria del territorio o l’urbanizzazione selvaggia che ha schiaffeggiato brutalmente Roma portandole l’acqua alla gola, ma una struttura temporalesca rigenerante di particolare intensità e centraggio. 

Tanto per sopire alla radice eventuali polemiche condotte con il senno di poi, premettiamo subito che l’evento piovoso era prevedibile, e infatti il maltempo era stato previsto da quasi tutti i centri e siti meteorologici, noi compresi. Quello che non era prevedibile, e che purtroppo si è rivelato invece determinante, è stata l’intensità della fenomenolgia. Per comprendere cosa può funzionare e cosa no nella previsione di un evento estremo vi consigliamo questa lettura di approfondimento https://www.meteolive.it/news/Considerazioni/37/Fenomeni-estremi-e-possibile-prevederli-Fin-dove-arrivano-i-limiti-della-scienza-/34727/.

Ora, a carte ferme, facciamo un passo indietro e analizziamo le cause di tutto questo.  A scala sinottica il fulcro della situazione si impernia su un centro depressionario con un minimo principale sulla regione scandinava e uno secondario mobile tra il golfo Ligure e l’alto Tirreno. Incernierato sottovento (davanti) all’asse della saccatura, è andato sviluppandosi un sistema frontale in fase di ondulazione tra Triveneto e centro Italia, il coda al quale sono andate nascendo alcune cellule temporalesche a mesoscala.

Analizzando i flussi alle varie quote si notano i tre parametri determinanti nello sviluppo del "mostro" laziale: in alta troposfera uno strappo della Corrente a Getto, con inserimento di vorticità ciclonica, ha condotto un filamento di aria secca a scorrere al di sopra di aria molto umida. Già qui si ponevano in essere condizioni di forte instabilità termodinamica verticale, con possibile formazione di cellule temporalesche ad asse inclinato.

Ma è analizzando i flussi alla quota di 850 hPa, circa 1400 metri di quota, che scopriamo il trucco: guardate la mappa allegata qui a fianco: mostra una pettinata di aria dalla miscela caldo-umida di estrazione subtropicale continentale con successivo passaggio marittimo. Il flusso è particolarmente consistente e, oltre ad esaltare ulteriormente l’instabilizzazione verticale prima citata, ha portato con sè notevoli quantitativi di energia latente, pronta ad esplodere all’impatto con i primi rilievi appenninici, posti ortogonalmente ai flussi.

Fin qui tutto chiaro, ma ora ci domandiamo: perchè proprio sul Lazio? La risposta ce la fornisce la mappa riprodotta qui a fianco e che ci mostra l’andamento dei venti al livello del mare: si nota una ben evidente linea di convergenza tra i venti meridionali che soffiavano sul basso Tirreno e quelli di Ponente è poi di Maestrale che spingevano dal comparto tirrenico settentrionale.

Proprio quella linea di convergenza ha costituito il punto di innesco di tutto il sistema. E Roma si è trovata sfortunatamente proprio lungo quella direttrice di sviluppo. La marcia in più che ha determinanto la potenza e la persistenza della fenomenologia temporalesca si è poi messa in moto tramite il classico meccanismo della rigenerazione sopravvento. In altre parole le celle temporalesche con asse proiettato dal mare verso l’Appennino, hanno rilasciato attraverso i forti rovesci aria fredda, la quale è poi tornata a confluire verso il mare a bassa quota lungo il percorso inverso, fino a incontrare nuovamente la colonna d’aria calda in ascesa poco al largo per ricominciare così un nuovo giro. Una autentica catena di montaggio che ha visto Roma proprio sotto la parte rigenerante di testa, quella più attiva.

Da qui la persistenza delle precipitazioni, lungo il punto di maggior sviluppo dell’intero sistema convettivo a mesoscala il quale, tra l’altro, assumeva la tipica e temibile conformazione a "V" (vedi immagine satellitare in alto), quasi sempre associata a fenomeni temporaleschi particolarmente intensi e ad alluvioni lampo. 

Autore : Luca Angelini