00:00 9 Ottobre 2003

Vajont: il film

Il regista Renzo Martinelli alla disperata ricerca di una sintesi tra ricostruzione storica fedele, dramma umano della popolazione ed effetti speciali a sensazione per far quadrare i conti con il "botteghino".

Quando si fa un film sulla memoria di un evento tragico e complesso come quello del Vajont, è difficile fare un capolavoro se non avendo a disposizione un budget notevole, tempi di ripresa lunghissimi e l’idea di un kolossal nazional-popolare.

Il Vajont, nonostante rimanga una delle più grandi tragedie del nostro Paese, non è entrato nell’immaginario collettivo come il dramma per eccellenza e, come tale, suscita indignazione e sgomento solo in una parte ristretta della popolazione, quella che ne ha vissuto l’esperienza “sulla pelle viva” come ha scritto la coraggiosa giornalista Tina Merlin.

Provate a chiedere ad un giovane di Milano o di Roma cosa rappresenti per lui il Vajont: l’assonanza con una località russa, slava, il nome di una montagna, una battaglia di Napoleone. Questo è il vero dramma.

Ma la colpa è del giovane? Nient’affatto, la colpa è della società; si vive di pasta, soubrette, quiz, play-station, telefonini, telenovele politiche, pc e pallone.

In un universo così piatto e globalizzato, dove conosciamo ormai meglio i nomi delle città pakistane rispetto alle nostre o dove i ragazzi sanno chi è il Presidente Usa ma ricordano a malapena il nome del nostro, Martinelli compie un piccolo capolavoro.

Ricostruisce in modo credibile la tragedia, coglie il senso del disagio della popolazione, l’ambizione degli ingegneri che non si ferma nemmeno di fronte all’evidenza di un progetto irrealizzabile, riesce a coinvolgere anche lo spettatore ignaro, quello che non sapeva nemmeno dell’esistenza di una diga sospesa sulla Valle del Piave.

Certo, non si scava troppo nelle personalità dei personaggi, ma come si potrebbe in due ore di film, in cui c’è da raccontare una catastrofe? Certo, i dialoghi qualche volta appaiono un po’ confusi e scontati, ma i fatti sono raccontati con un bel ritmo narrativo, seppure con tagli talvolta inevitabili (non si accenna alla costruzione della galleria di sorpasso).

Gli effetti speciali sono notevoli ma non si gira giustamente il coltello nella piaga e si omette di mostrare crudelmente la mattanza finale dell’ondata che si abbatte su Longarone per colpire il pubblico.

L’emozione però c’è ugualmente anche se ci si vorrebbe commuovere di più, si vorrebbe assistere anche al dopo-frana, alle immagini d’epoca della solidarietà degli abitanti del Veneto, del vicino Friuli e del Trentino Alto-Adige.

La lunga storia della diga del Vajont si conclude in quattro minuti di apocalisse, muoiono duemila persone, forse sarà bene ricordarlo alle nuove generazioni, ma soprattutto sottolinearne le cause; Paolini nel suo “racconto del Vajont” c’è riuscito, Martinelli ha avuto il grande merito di provarci.

Per completezza di informazione ricordiamo che il film è stato contestato in diversi punti dal geologo Edoardo Semenza che ha recentemente pubblicato il libro: “la Storia del Vajont”: sia Martinelli che Paolini vengono accusati di faziosità politica e di aver commesso diversi errori nelle loro ricostruzioni e nei loro racconti.
Autore : Alessio Grosso