00:00 8 Febbraio 2010

Quando il freddo uccideva: povertà e miseria nell’alta valle del Biois (BL)

Una testimonianza drammatica delle condizioni di povertà in cui si viveva, pur dignitosamente, all'inizio del secolo nella valle del Biois, nel Bellunese.

A Forno di Canale, oggi Canale d’Agordo, nel Bellunese, è nato Albino Luciani, il Papa del sorriso o il Parroco del Mondo come si dice anche oggi. Come ricorda lo stesso Pontefice è un vecchio sistema del Signore quello di prendere la gente dai campi e di portarla in alto, in questo caso sino alla cattedra di Pietro.

Si, i campi, o meglio i prati della valle del Biois, dove negli anni in cui l’inverno era veramente inverno e soprattutto ai tempi dell’invasione, nel 1917, anche il Papa si trovò a dover soffrire veramente la fame.

Come si viveva allora, quando era la natura a dominare e l’uomo doveva battersi ogni giorno per sopravvivere? Ce lo racconta in un saggio sul Pontefice la scrittrice tedesca Regina Kummer, che ha raccolto molte testimonianze su questi luoghi, vi riporto qualche stralcio: “percorrendo l’Agordino come turisti e lasciandosi prendere dalla magia della sua bellezza pittoresca, è difficile farsi un’idea delle fatiche e delle tribolazioni della gente che doveva lottare per sopravvivere. La vita era scandita dal lavoro nei campi e dal ritmo delle stagioni. In primavera si cominciava a curare l’orto, riparando i guasti dell’inverno, mettendo a posto le staccionate in legno d’abete, si doveva concimare la terra, quindi vangarla, lasciando poi libere le galline perchè la ripulissero dalle larve di maggiolino. Poi si seminava: lattuga, cicoria, bietole, fagioli, piselli, sedano, cavoli, spinaci, a volte anche ravanelli. Si piantavano erbe aromatiche e medicinali come la camomilla, la menta piperita o l’assenzio, che veniva somministrato ai bambini come vermifugo o si riponeva in mezzo alla biancheria per combattere le tarme”.

“Serviva a molti usi anche le peverella che, unita in piccoli mazzetti, veniva essicata per condire poi gli gnocchi o la frittata. Ma veniva anche somministrata alle donne dopo il parto, come pure alle mucche prossime a figliare. Il succo di ribes era un ottimo dissetante, che d’estate veniva portato nei campi, quando si falciava l’erba”.

“Raramente si vedevano fiori, al massimo erano quelli che crescevano spontaneamente. Troppo prezioso quel metro quadrato di terra resa fertile, strappato allo sterile suolo. L’orto era in un certo senso il magazzino per nutrire la famiglia nei lunghi mesi autunnali ed invernali. In primavera poi si doveva iniziare il lavoro nei prati e nei pascoli. Nelle odierne monocolture e soprattutto sui terreni pianeggianti, la tecnica e la chimica agevolano il lavoro. Allora invece, la cura dei prati esigeva un lavoro faticoso. Immaginate la madra di Luciani che d’autunno portava nei campi il concime con una gerla, in inverno si usava anche una cassa fissata ad una slitta. Com’era usuale a quei tempi si cospargeva della cenere sulla superficie erbosa per fertilizzare il suolo, come pure stallatico liquido, che veniva trasportato sulle spalle, in un grosso secchio. I rami degli arbusti rotti dalla neve venivano utilizzati per accendere il fornel. Anche il fogliame secco veniva portato a casa per usarlo come lettiera per le mucche”.

“Quando le margherite iniziavano a fiorire, il prato assumeva una sfumatura giallina e si doveva tagliare l’erba, la sera prima si affilavano le falci e si tagliava quando ancora era umida di rigiada, perchè poi diventava molto faticoso”.

“Prima di settembre dovevano essere già state raccolte due falciature, la terza, se c’era, si lasciava per i conigli e le capre, nelle mucche infatti provocava dolori intestinali e diarrea. Il pane bianco in valle giunse solo nel 23. In estate i ragazzi venivano mandati nelle malghe e all’inizio della stagione tremavano dal freddo sia perchè il terreno era ancora gelato, sia per non sciupare le scarpe che dovevano servire per l’inverno e andavano scalzi sino ad ottobre”.

“E l’inverno era duro: le serate trascorrevano nella stua, l’unica stanza riscaldata, i geloni erano frequenti. La neve talora cadeva abbondante e il mattino spesso nel recipiente dell’acqua per lavarsi si era costretti a rompere il ghiaccio per lavarsi il viso”.

La vita di Albino Luciani insomma sembra uscita dalle pagine di un romanzo verista di fine 800, dalla penna di Verga o di Zolà. Nella valle del Biois la vita sembrava una Quaresima, che durava quasi tutto l’anno. Durante la guerra del 15-18 a Canale ci si sfamava con i trucioli di abete, fieno, erbe, pane di crusca.

Oggi nelle Alpi le condizioni di vita sono sensibilmente migliorate e possiamo dedicarci con gioia alla tutela del paesaggio. Molti anziani però non dimenticano le sofferenze di un tempo e non disdegnano il riscaldamento del clima, le nuove tecniche agricole, il turismo che porta soldi alla comunità.
Autore : Report di Alessio Grosso