00:00 29 Marzo 2010

“Di tempeste ne avevo incontrate tante…” riviviamo le pagine di TIFONE di Conrad

Narrazione avvincente e spettacolare, Conrad un gradino sopra tutti nella letteratura di mare.

“Di tempeste ne avevo incontrate, naturalmente. Ero nato bagnato fino all’osso, sbattuto, travagliato…Ma non aveva mai intravisto la forza incommensurabile e la collera smodata, la collera che si esaurisce senza mai placarsi, la collera e la furia del mare irritato. Egli sapeva che ciò esiste, come sappiamo che esiste il delitto e l’odio. Il Capitano Mc Whirr aveva navigato sulla distesa degli oceani così come tanti uomini scivolano sugli anni dell’esistenza per scendere dolcemente in una placida tomba, ignoranti della vita sino all’ultimo, senza aver mai avuto l’occasione di vedere tutto ciò che essa può contenere di perfidia, violenza, terrore. Ci sono in terra e sul mare uomini così fortunati, oppure così disprezzati dal destino e dal mare”.

Joseph Conrad è il più grande scrittore di letteratura marina , polacco, nato in Ucraina, divenne marinaio navigando per la marina francese ed inglese. La sua produzione letteraria è vastissima. E’ mancato nel 1924.

Tifone, scritto nei primi del 900, racconta la peripezia della nave Nan Shan colpita da un tifone nel Mar della Cina.
Spicca su tutti la straordinaria figura del Capitano Mc Whirr, in cui evidentemente Conrad ha voluto idealizzare se stesso.

Ripercorriamo brevemente alcuni momenti del romanzo, passaggi veramente di grande forza e poesia, una scrittura inarrivabile.

Il Capitano Mc Whirr si rivolge al suo primo ufficiale scettico sulla teoria che si ritrova nei libri di testo su come affrontare il maltempo in nave:
“E’ il più maledetto imbroglio Jukes -disse- se un poveruomo dovesse star dietro a tutto quello che si dice lì, non la finirebbe più di correre per i mari nel tentativo di scansare il tempo cattivo. Correre per scacciare il tempo cattivo, capite signor Jukes? Cose da pazzi! Si direbbe che sia stata una vecchia a scrivere queste cose. Non arrivo a capire. Se tutto ciò ha un significato, allora io dovrei cambiare rotta di colpo, andare a casa del diavolo e piombare su Fo-chou da nord, dietro quel brutto tempo che si suppone sia sulla nostra strada. Trecento miglia di più e un bel conto di carbone da presentare. Non farei così neanche se mi dicessero che ogni parola che è scritta là dentro è Vangelo, signor Jukes”.

Nella tempesta:
“Fu qualcosa di formidabile ed istantaneo, come l’improvviso scoppio di uno sfrenato sfogo d’ira. Sembrò esplodere tutt’intorno alla nave con un urto tremendo e un irrompere immane di acque, come se sopravvento si fosse schiantata una diga enorme. In un istante gli uomini perdettero ogni contatto fra di loro. Questo è il potere di disgregazione di un uragano: isola l’individuo dai suoi simili. Il terremoto, la frana, la valanga, colpiscono l’uomo a caso, per così dire, senza passione. La furia della tempesta invece lo assale come un nemico personale, cerca di attanagliare le sue membra, di abbarbicarglisi nella mente, tenta di mettere allo sbaraglio persino il suo animo.

E ancora:
“Nell’oscurità i marosi sembravano accorrere da ogni parte, trattenendo la nave sino alla perdizione. C’era dell’odio nel modo in cui veniva maltrattata, ferocia in quei colpi che le si abbattevano addosso, sembrava una creatura vivente gettata ad una folla inferocita, spinta con violenza, percossa, sollevata, lanciata per terra, calpestata. Il Capitano Mc Whirr e Jukes, avvinghiati fra loro, erano storditi dal frastuono, imbavagliati dal vento, e il tumultuare immenso degli elementi che si abbatteva sul corpo arrecava nell’anima un profondo turbamento, come per uno scoppio sfrenato di passione”.
Autore : Alessio Grosso