00:00 18 Agosto 2015

Dal Nino, all’altalena climatica, passando per le glaciazioni: cosa è successo in passato? Cosa succederà ora?

A tutto campo per capire il clima di "domani" e quello che verrà dopo...

Analizzando i vari episodi di Nino e Nina del passato si riesce a ricavare un’idea della loro possibile influenza sull’andamento stagionale sul nostro Paese.

Pensiamo solo al Nino del 1982-83 che fu (forse) la causa di ondate di caldo prolungate di matrice nord-africana sul nostro Paese, sia nel luglio 82 che nel luglio successivo.

Un’altra fase di longevità del Nino, tra il 91 ed il 95 ha influito ancora una volta sulle stagioni estive, mentre quello del 97-98 è risultato eccezionale e si dice abbia influito in maniera decisiva sulla misurazione del secondo anno più caldo del secolo sino ad allora, dopo il 1934, il 98 appunto.

Rispetto alla Nina invece subito la mente va a quelle intense degli anni 70 ma se qui possiamo trovare una rispondenza con il freddo, non possiamo certo dire che sulle Alpi sia mancata la neve, dunque i conti non tornano proprio perfettamente.

Difficile poi che la Nina modesta del 1984-85 abbia avuto riflessi sull’inverno gelido che vivemmo in quella stagione sul nostro Paese. La Nina del 2000, assai forte, sembrerebbe confermare l’evoluzione secca dell’inverno dalle nostre parti, ma se guardiamo all’inverno successivo 2000-2001, noteremo che pioggia e neve, pur in un contesto mite, non sono mancate, segnatamente al nord.

Veniamo alla questione scioglimento artico, con l’antartide che invece si mostrerebbe in discreta salute. Per dare una sommaria spiegazione del fenomeno gli scienziati chiamano in causa il meccanismo dell’altalena climatica: se un settore si riscalda, l’altro si raffredda con uno sfasamento di circa un millennio.

Il regista del meccanismo è la circolazione profonda oceanica che è ancora lontana dall’essere stata pienamente compresa e studiata. Al Polo Sud si osservano chiaramente quattro diversi episodi di glaciazione che si ripetono con un intervallo di circa 100.000 anni.

Questi corrispondono ai periodi di variazione di alcune caratteristiche dell’orbita della Terra. Negli ultimi 100.000 anni si sono riscontrati rapidissimi cambiamenti di temperatura, che si sono ripetuti a distanza di 1500 anni. (Sono le famose oscillazioni D-O, Dansgaard-Oeschger di circa 10°C).

Come l’hanno scoperto questi geofisici? Attraverso l’osservazione della concentrazione di polvere e metano.
Durante i periodi freddi è presente una quantità di polvere decisamente superiore a quella dei periodi caldi e su questo punto dobbiamo RIFLETTERE e non poco.

Da dove arriva quella polvere? Un Antartide più fredda può allora influenzare il clima della Terra su così vasta scala? Pare di si, anche se questa osservazione cozza contro la teoria dell’altalena climatica, mentre diventa assai più credibile se al freddo antartico si aggiunge quello artico e la fase di riscaldamento che stiamo vivendo può veramente preparare una fase fredda importante ma non priva di rischi.

Ma andiamo con ordine signori. Come si arriva al freddo in Europa e negli States? Semplice, lo sapete! Con il blocco della Corrente del Golfo. Già, ma questo è un passaggio piuttosto lento, perchè la crescita delle calotte polari richiede precipitazioni nevose, non certo le poche settimane raccontate nell’Alba del Giorno Dopo.

C’è però qualcosa che potrebbe accelerare questo processo: il riversamento improvviso di una GROSSA QUANTITA’ di acqua dolce nell’Oceano, come avvenne durante la piccola era glaciale con il lago Agassiz, ora lago Winnipeg.

Il ghiacciaio che lo ospitava cedette per le temperature elevate e si innestò rapidamente il processo di feedback, retroazione fredda. La cosa buffa, da raccontare a qualche ambientalista estremista, è che molto difficile provocare il processo inverso con altrettanta facilità: per farlo occorrerebbe aumentare l’energia del sole di almeno il 40 per cento o aumentare le concentrazioni di anidride di almeno 300 volte.

Difficile invertire la rotta e tornare al caldo e altrettanto difficile sopravvivere. Intendiamoci l’uomo ce la farebbe comunque, ma probabilmente dovremmo combattere alle basse latitudini contro un nemico che noi crediamo vicino solo con il caldo, cioè con il riscaldamento globale: L’ARIDITA’, LA DESERTIFICAZIONE.

Ecco perchè prima parlavo di un aumento della concentrazione di POLVERI durante le fasi più fredde. Ma voglio che capiate meglio: le basse temperature, dopo qualche nevicata iniziale, provocherebbero un drastico cambiamento della vegetazione, la tundra verrebbe a visitare anche diverse regioni italiane, pioverebbe poco, la poca neve se ne andrebbe in estate lasciando la terra nuda e polverosa.

Le basse temperature inibirerebbero la formazione di temporali importanti. La scomparsa della civiltà della Mesopotamia secondo gli scienziati è senza dubbio collegata ad una fase di inceppamento della Corrente del Golfo. A provarlo ci sarebbero gli esami dei sedimenti marini del Golfo di Oman, la presenza abbondante di polvere è un segno tangibile di aridità.

La Terra, pur senza arrivare alle farneticazioni di Lovelock e della sua ipotesi GAIA, con il pianeta visto come un essere pensante in grado sempre di autoregolarsi, è comunque un sistema omeostatico, vale a dire che se non è seriamente perturbata, tende a mantenere una sorta di equilibrio dinamico. (che badate bene non c’entra nulla con la compensazione a livello locale rispetto a piogge che mancano o neve che non arriva).

Dunque ripercorriamo rapidamente il ciclo del carbonio così capirete meglio dove vogliamo arrivare:
1 piove. La pioggia trascina l’anidride carbonica al suolo.

2 essa a contatto con le rocce forma carbonato di calcio e silice.

3 erosione, tutto finisce nei fiumi che portano questi minerali al mare.

4 deposizione sul fondo

5 movimento delle placche li rimuove spostandolo nel mantello allo stato fuso, da dove vengono riemessi sottoforma di eruzioni vulcaniche ancora come anidride.

Veniamo alla fase attuale: molta anidride nell’aria. Aumenta la temperatura, aumenta il vapore acqueo per l’evaporazione dell’acqua oceanica, aumentano le piogge, anidride ricacciata sotto l’oceano.

E se non piovesse? Se le rocce fossero sottratte all’erosione a csusa della presenza di uno spesso strato di ghiaccio? Ci penserebbero comunque i vulcani a riportare il sistema in equilibrio, certo non in tempi brevi.

Tutto questo per dire cosa? Che il sistema non potrà mai mantenere un equilibrio costante, sarà sempre in evoluzione, uomo o non uomo. Se deforestiamo aumentiamo la concentrazione di anidride dell’aria ma contemporaneamente favoriamo anche una diminuzione della temperatura, perchè sul suolo nudo aumenterebbe l’albedo della sua superficie.

Se qualcuno, come abbiamo ipotizzato nei mesi scorsi, sollevando un polverone, si divertisse a cospargere di fuliggine l’artico per accelerarne lo scioglimento o pompando acqua calda per mettere mano alle sue risorse, sappia che potrebbe ottenere l’effetto inverso con un gigantesco iceberg che potrebbe piazzarsi proprio nel mezzo dell’Atlantico bloccando la Corrente del Golfo ed innescando un processo inverso che in pochi anni ci catapulterebbe nuovamente in una sorta di Younger Dryas 2.

Se al lieve raffreddamento artico seguisse, dopo un altro decennio di riduzione dei ghiacci, l’inceppamento della Corrente del Golfo e se il sole, come si prevede, entro il 2030 attenuasse la sua energia anche di un solo punto percentuale, ci trovereremmo a vivere un raffreddamento globale improvviso.

In altre parole la forte riduzione dell’Artico potrebbe essere il segnale di una nuova imminente piccola o grande glaciazione. Sono ovviamente supposizioni; concludo con una osservazione.

Qualcuno ritiene che più acqua dolce verrà scaricata in mare dagli uragani, più il nostro inverno sarà freddo, altri chiamano in casa la QBO, la quasi biennale oscillazione dei venti nella stratosfera tropicale e la loro inversione di marcia.

Navighiamo a vista dunque, forse è meglio, nessuno ha la verità in tasca.

 

Autore : Alessio Grosso