Persino il nostro poeta recanatese si è interessato di clima, temperature e stagioni.
Ora non crediate che egli abbia scritto un trattatello particolareggiato su questi temi, si è solo, per così dire, abbandonato a qualche dichiarazione inneggiante la situazione climatica dei suoi avi e di quella da lui stesso vissuta, con il fine precipuo di far capire al lettore un concetto ben preciso: "i vecchi avvertono i rigori del freddo più di quanto non li avvertano i giovani, e molto spesso, credono che il clima, nel corso degli anni, si sia irrigidito in maniera costante e preoccupante, non tenendo conto però che, il "cangiamento" è avvenuto in massima parte nei loro corpi e non nelle "cose"."
Mi sembrava pertanto doveroso rendervi conto di un passo siffatto, nel quale il nostro insigne poeta, sempre attento a tutto ciò che lo circondava, si scopre letterato sensibile alle problematiche climatologiche, in un tempo in cui la meteorologia, non solo non esisteva come disciplina, ma forse non esisteva neppure nelle liste dei vocabolari più illustri in qualità di sostantivo femminile singolare.
Vi cito allora il passo "incriminato", precisamente il XXXIX tratto dai Pensieri di Giacomo Leopardi:
"[.]Io credo che ognuno si ricordi avere udito da' suoi vecchi più volte, come mi ricordo io da' miei, che le annate sono divenute più fredde che non erano, e gl' inverni più lunghi; e che, al tempo loro, già verso il dì di pasqua si solevano lasciare i panni dell'inverno, e pigliare quelli della state; la qual mutazione oggi, secondo essi, appena nel mese di maggio, e talvolta di giugno, si può patire. E non ha molti anni, che fu cercata seriamente da alcuni fisici la causa di tale supposto raffreddamento delle stagioni, ed allegato da chi il diboscamento delle montagne, e da chi non so che altre cose, per ispiegare un fatto che non ha luogo: poiché anzi al contrario è cosa, a cagione d'esempio, notata da qualcuno per diversi passi d'autori antichi, che l'Italia ai tempi romani dovette essere più fredda che non è ora.
Cosa credibilissima anche perché da altra parte è manifesto per isperienza, e per ragioni naturali che la civiltà degli uomini venendo innanzi, rende l'aria, ne' paesi abitati da essi, di giorno in giorno più mite: il quale effetto è stato ed è palese singolarmente in America, dove, per così dire, a memoria nostra, una civiltà matura è succeduta parte a uno stato barbaro, e parte a mera solitudine. Ma i vecchi, riuscendo il freddo all'età loro assai più molesto che in gioventù, credono avvenuto alle cose il cangiamento che provano nello stato proprio, ed immaginano che il calore che va scemando in loro, scemi nell'aria o nella terra.
La quale immaginazione è così fondata, che quel medesimo appunto che affermano i nostri vecchi a noi, affermavano i vecchi, per non dir di più, già un secolo e mezzo addietro, ai contemporanei del Magalotti, il quale nelle Lettere familiari scriveva: " egli è pur certo che l'ordine antico delle stagioni par che vada pervertendosi. Qui in Italia è voce e querela comune che i mezzi tempi non vi sono più; e in questo smarrimento di confini, non vi è dubbio che il freddo acquista terreno. Io ho udito dire a mio padre, che in sua gioventù, a Roma, la mattina di Pasqua di resurrezione, ognuno si rivestiva da state. Adesso chi non ha bisogno di impegnar la camiciuola, vi so dire che si guarda molto bene di non alleggerirsi della minima cosa di quelle ch'ei portava nel cuor dell'inverno".
Questo scriveva il Magalotti in data del 1683. L'Italia sarebbe più fredda ormai che la Groenlandia, se da quell'anno a questo fosse venuta continuamente raffreddandosi a quella proporzione che si raccontava allora. E' quasi soverchio l'aggiungere che il raffreddamento continuo che si dice aver luogo per cagioni intrinseche nella massa terrestre, non ha interesse alcuno col presente proposito, essendo cosa, per la sua lentezza, non sensibile in decine di secoli, non che in pochi anni".