00:00 5 Novembre 2008

Speciale ALLUVIONE 2002: Pordenone invasa dall’acqua

La cronaca di 48 ore di paura nel pordenonese.

MeteoLive ripercorre i drammatici momenti dell’alluvione del 2002 a Pordenone, in Friuli. L’articolo pubblicato risale al 28 novembre ed è stato prelevato dai nostri archivi di cronaca.

Pordenone
«Adesso siamo in ginocchio». Questo è stato lo sconsolato commento del sindaco di Pordenone quando pochi minuti dopo la mezzanotte ha ricevuto le ultime notizie. Villanova e Vallenoncello già sott’acqua da parecchie ore, la Santissima invasa dalla furia del Noncello, Borgomeduna a rischio e una fetta del centro città impraticabili. Come dire insomma che da qualsiasi parte si guardasse il capoluogo, si vedeva solo acqua. Il disastro. Un’alluvione talmente grave che a molti ha ricordato quella del 1965 o peggio quella dell’anno dopo. E lo stesso sindaco è stato costretto a rivedere le sue intenzioni. Nel tardo pomeriggio infatti aveva firmato un’ordinanza in cui invitava i cittadini a lasciare le abitazioni. Visti gli eventi e soprattutto il fatto che sicuramente anche oggi proseguirà l’emergenza, alle 23.30 è stato costretto invece ad ordinare lo sgombero coatto dei residenti al piano terra di una lunga serie di strade cittadine.

Autovie Venete decretava la chiusura dello svincolo autostradale di Pordenone e del centro commerciale. Anche se non tutti i cittadini interessati all’evacuazione (complessivamente circa 5 mila) hanno abbandonato le case, il Comune capoluogo ha allestito tre centri di accoglienza e altrettanto hanno fatto Prata e Pasiano. Fortunatamente non si registrano feriti, ma a Visinale un anziano si è trovato da solo nella casa allagata ed è salito sul tetto per chiedere aiuto. E stato soccorso da un mezzo anfibio.

Pordenone
Il colpo di grazia è arrivato poco dopo le 21. Nonostante il grande lavoro dei vigili del fuoco, dalla protezione civile e degli uomini del Comune, il Noncello è tracimato nella zona della Santissima. La prima parte di argine ad essere scavalcata dal fiume che oramai aveva raggiunto i 17,45 metri è stata quella a ridosso del ponte sul Noncello. Prima lentamente, poi sempre più forte la corrente ha scaraventato fuori dall’argine la prima ondata. Poco dopo si sono create delle cascate sempre più violente. Impressionate la visione dal ponte: oltre al rumore assordante dell’onda di piena, l’acqua usciva a gran velocità. Nel giro di un’ora è stato superato anche il secondo argine e a finire sotto sono stati il parco e gli scantinati del comando dei vigili urbani, mettendo quindi a repentaglio il quartire di Borgomeduna.

Qualche centinaio di metri più avanti, mentre gli uomini della Protezione civile stavano ancora riempiendo sacchetti di sabbia, l’acqua ha superato il ponte di Adamo ed Eva, oramai completamente coperto. Prima però si erano già aperte delle falle lungo l’argine a ridosso del ponte. Sono bastati pochi minuti e il fiume con una forza mostruosa ha allagato l’area golenale davanti alla trattoria al Lido. Oramai l’argine era diventato un colabrodo e in alcuni tratti il Noncello aveva spazzato anche le difese costruite con tanto lavoro nel pomeriggio. Nulla era più in grado di arginare la furia dell’acqua che in pochissimo tempo è arrivata sulla porta della chiesa della Santissima e ha raggiunto e superato i primi gradini entrando nell’edificio.

Certo, le tacche dell’alluvione del 1965 e quella dell’anno dopo sono ben visibili sul muro della chiesa molto più in alto da dove ieri notte è arrivata l’onda del Noncello, ma da allora mai si era vista un’alluvione di tale portata. E a testimonianza di ciò nell’area dell’hotel Santin l’acqua ha raggiunto in tempi brevissimi prima il manto stradale, poi le prime abitazioni arrivando a un’altezza di circa due metri. I semafori dell’incrocio erano praticamente sommersi. I vigili urbani sono stati costretti a chiudere la strada all’altezza del sottopasso, pochi metri prima della Fiera. Come dire che la città, almeno da quella zona d’accesso, era isolata.

Mano mano che il tempo trascorreva il Noncello usciva dagli argini. In pochissimo tempo sono state coperte via Mestre, via Gemelli, via San Giuliano e il sottopasso. Verso le 23,30 il sindaco Sergio Bolzonello è stato costretto a riscrivere l’ordinanza e quello che prima era solo «un invito» a lasciare la case è diventato «un ordine» per i residenti al primo piano della zona della Santissima e di altre aree a rischio della città. Nella zona della Santissima tre pullman sono stati sistemati nel piazzale del Policlinico, pronti a portare ai centri di accoglienza i residenti. Problemi infine anche per il depuratore mentre l’acqua minacciava da vicino anche la Fiera.

Sempre lungo il Noncello, nella zona a Sud del ponte, è finita sott’acqua l’area dell’Olcese dove dovrà sorgere il nuovo centro commerciale. A rischio l’incrocio di Borgomeduna dove sino a tarda ora i vigili urbani hanno diretto il traffico per impedire ai tanti curiosi di attraversare in auto via San Giuliano. L’acqua oramai circondava gran parte della città. Una lunga notte per tutti e oggi sarà un’altra giornata in cui Pordenone dovrà soffrire.

Scuole chiuse in città e in diversi comuni della provincia. Il sindaco Bolzonello infatti ha firmato l’ordinanza nel tardo pomeriggio, dopo che all’alba, verso le 6 di mattina, aveva già fatto chiudere la scuola elementare e l’asilo di Valleoncello. «A causa delle condizioni meteo – ha spiegato il primo cittadino – che hanno causato le esondazioni del Meduna e del Noncello nonchè per le difficoltà di comunicazioni viarie ho ordinato che gli asili e tutte le scuole di ogni ordine e grado della città restino chiuse». Questo significa che non apriranno i battenti neppure gli istituti superiori. «Il provvedimento – è andato avanti ancora il sindaco del capoluogo – mira essenzialmente a ridurre i disagi e a prevenire per quanto possibile eventuali situazioni di rischio per gli studenti». È anche evidente che c’è la necessità che questa mattina circolino per le strade della città il minor numero di veicoli per lasciare spazio ai mezzi di soccorso.

Come ha fatto il sindaco di Pordenone, hanno fatto anche altri colleghi dei comuni limitrofi. Scuole chiuse dunque anche a Prata, Cordenons e Pasiano.
Sin dalle prime luci dell’alba, sotto una pioggia battente, tutti si sono accorti che la situazione era di vera emergenza. A Villanova il Meduna aveva già oltrepassato gli argini, mettendo sotto via Levade, Villanova di Sotto, via Del Bosco, via Nuova di Corva e via Di Vittorio. Il Meduna ha continuato a crescere per l’intera giornata. Alle 19 era arrivato a 6 metri. Un dato: al ponte sulla Pontebbana l’altezza in normalità è di un metro e mezzo.

Poi è stata la volta del Noncello che a Valle ha rotto gli argini verso le 6 di mattina. Man mano che passavano le ore la situazione peggiorava e contestualmente aumentavano le zone esondate: via Valle, via Vallenoncello, via del Passo e piano piano, ma inesorabilmente, l’acqua ha raggiunto la maggioranza del quartiere. Nel primo pomeriggio è scattata l’emergenza anche a Pordenone. Il parcheggio Marcolin è stato chiuso definitivamente verso le 16, in precedenza era stata sbarrata via Codafora, l’ex via Rivierasca, via Revedole, via Martiri Concordiesi. Poi il Noncello è tracimato al Maglio, arrivando a lambire anche la parte terminale di via Vallona. Viale Dante all’incrocio con viale Martelli ha avuto problemi verso le 17.30, mentre il Tribunale alle 18 aveva gli scantinati allagati. Gli uomini della protezione civile hanno lavorato sino a tardi per salvare gli archivi che comunque sono stati allagati. Sott’acqua anche l’archivio del Comune.

L’acqua in serata lambiva piazzetta Calderari dietro il Municipio. Già da ore però gran parte degli sforzi dell’amministrazione comunale coadiuvata dalla protezione civile e dai vigili del fuoco erano tesi nella zona della Santissima. Il fiume era al limite nell’area davanti alla trattoria al Lido e minacciava l’intero quartiere della Santissima e la zona del Policlinico. Verso le 19 l’ordinanza di evacuazione della protezione civile regionale e del sindaco Bolzonello.

Cicli storici del maltempo e ricette per uscire dall’emergenza continua: parla il professor Paolo Paronuzzi
«Disastri figli degli anni Settanta»
Il geologo: «I Piani urbanistici di quel periodo hanno permesso che si costruisse in zone non idonee»

Pordenone
Primo: piove da quando l’uomo è sulla terra. Secondo: abbiamo la memoria corta e basta che per qualche anno, come è accaduto negli anni Settanta, piova di meno, per farci pensare di poter costruire la nostra villetta in territorio altrui (del fiume) e vivere felici e contenti. Terzo: la “cultura geologica” che si è sviluppata in Friuli dagli anni Settanta è figlia del trauma del terremoto. Il che significa, sotto il profilo della prevenzione, prepararsi alla Grande Distruzione, ma trovarsi quasi del tutto indifesi di fronte a quella più piccola, ma ormai “ordinaria”.

Ruota attorno a un decennio cruciale la diagnosi di Paolo Paronuzzi, docente di geologia applicata all’università di Udine e consulente della Regione per i problemi legati al dissesto idrogeologico del territorio. I fatidici Settanta, appunto: un decennio avaro di piogge ma ricco di sviluppo, con un pullulare di piani urbanistici certamente più ottusi del semplice buon senso seguito per secoli, quello che ti sconsigliava di tirar su casa in quella che oggi con linguaggio tecnico si chiama area di pertinenza fluviale.

Ma partiamo dall’analisi dello status quo. Un’analisi che prende le mosse da alcune considerazioni “storiche”. «Da studi che stiamo facendo all’università di Udine – spiega il docente – emerge con evidenza che le parole di moda come effetto serra, scioglimento dei ghiacciai, hanno una solida base di verità scientifica. Ma ci sono anche dati più semplici desunti da una valutazione di quello che è accaduto negli ultimi 150 anni».

«Esiste un periodicità più o meno trentennale – prosegue il geologo Paolo Paronuzzi – legata a cause astronomiche. L’equazione non può essere esatta ma i periodi critici hanno più o meno questa ciclicità e partendo dall’inizio del 900 arriviamo al 1990. Da allora i fenomeni intensi sono diventati più frequenti, diciamo biennali».

Non più emergenze, ma fenomeni quasi ordinari dunque. Ed è da qui che bisogna partire per ridisegnare le “politiche” idrogeologiche, secondo l’esperto. Come? «Con la premessa che non esiste una ricetta semplice per tutti i bacini perchè ogni bacino è come un individuo fisico – spiega il geologo dell’ateneo friulano – la prima cosa da fare è passare dalla mentalità dell’emergenza a quella dell’ordinarietà. Bisogna cominciare a mettere in piedi strutture che affrontino i problemi quando non piove, in giugno, luglio, sempre. Penso per esempio a strutture organizzate a livello comunale con personale ad hoc che si occupi dei problemi legati al dissesto idrogeologico. Un altro aspetto riguarda l’organizzazione della popolazione. Per il terremoto da molti anni si fanno le simulazioni, dobbiamo preparare prove di allerta con interventi della protezione civile anche per problemi di tipo idraulico».

Nell’immediato si tratta di far funzionare i piani di bacino. Con un’agenda che parte «dagli sbarramenti sui torrenti che favoriscono la perdita di materiale». Quella degli sghiaiamenti è una ricetta adottata da tempo, sulla carta. «Ma per molti anni – spiega Paronuzzi – gli sghiaiamenti non sono stati effettuati. Per molti anni l’alveo è stato considerato una realtà intoccabile: era una norma di legge che esiste ancora, tanto che anche oggi gli sghiaiamenti vengono fatti in deroga». Un’attività importante quella della pulizia dei fiumi, ma non l’unica. Ci sono anche le casse di espansione, che tante polemiche hanno provocato in questi anni. «Non è un problema semplice: ogni intervento porta con sè anche fatti negativi e una decisione può essere presa solo quando si è certi che prevalgono quelli positivi».
Passando dal quadro generale allo specifico pordenonese che in questi giorni molte famiglie stanno drammaticamente vivendo, gli esperti registrano una crescita degli elementi di rischio nel tempo, soprattutto nelle aree “di pertinenza” fluviale dove, se non si possono abbattere tutte le case, «certamente non se ne dovrebbe più costruire nemmeno una», ammonisce il geologo.

Che conclude con un invito a chi avrà il compito di definire le politiche in questo delicato settore: basta con gli interventi spalmati senza un criterio. «È chiaro tutti gli interventi idrogeologici costano e quindi bisogna stabilire delle priorità, non si possono risolvere tutte le situazioni critiche subito». «È altrettanto chiaro – conclude Paronuzzi – che ogni privato percepisce la gravità della propria situazione, ma ogni ente preposto deve stabilire delle priorità perchè i soldi sono quelli che sono».

CLAUT, PIOGGIA PRIMATO CADUTI 532 MILLIMETRI
A Claut sono caduti ben 532 millimetri di pioggia, secondo i dati forniti dalla Protezione civile. Particolarmente bagnate, sempre in provincia di Pordenone, anche Piancavallo, dove l’acqua ha raggiunto 522 millimetri e Andreis (511 mm). Per quanto riguarda la Liguria, il record spetta a Vicomorasso (Genova), con 475 millimetri, seguito da Torriglia (Ge), con 418. In Lombardia, infine, le precipitazioni più intense hanno colpito Valtorta (Bg), con 276 millimetri, seguita da Valle Dorizzo (Bs), con 233 mm. Nella sola giornata di oggi sono caduti 248 millimetri di pioggia a Claut, 217 a Piancavallo e 200 a Vicomorasso.

IL RICORDO
1965

Pordenone
(a.m.) Di alluvioni a Pordenone si è cominciato a parlare solamente da una trentina di anni. Da quelle drammatiche giornate dell’autunno 1965 e 1966, quando il Noncello è uscito dagli argini inondando campagne e paesi, interrompendo strade, provocando danni ingentissimi. Prima di allora le piene del Noncello che, con scadenza pressoché regolare allagavano i quartieri sud della città, erano chiamati con una parola quasi affettuosa, montane: questo è infatti il termine che ricorreva sino ad allora sia nella memoria popolare che nelle cronistorie cittadine.

Delle montane facevano le spese le zone al di là del ponte di Adamo ed Eva, sulla riva sinistra del Noncello. È comunque probabile che, pur mancando in proposito dati certi (fatta eccezione per la targa sullo stipite sinistro del portale della chiesa della Santissima, che indica il consistente livello raggiunto dall’acqua nel XIX secolo) che talvolta le montane siano state anche di particolare consistenza: tuttavia il fatto che le zone colpite fossero scarsamente abitate e con poche e in genere modeste attività produttive, limitava danni e disagi. Inoltre, come si diceva con un certo fatalismo: era sempre stato così. Dopo gli anni 50, però, la città ha cominciato ad espandersi anche oltre il Noncello con abitazioni, attività industriali e commerciali. È così che per la prima volta nel settembre 1965 il termine alluvione viene a sostituire quello consueto di montana: dopo un’estate particolarmente piovosa, nel settembre comincia a cadere una pioggia fitta ed insistente. Il Tagliamento si ingrossa e così anche Livenza, Meduna e, buon ultimo il Noncello, le cui acque bloccate a Tremeacque, rifluiscono verso la città, dove escono dagli argini, allagando l’intera zona sud. L’invaso di Barcis fa registrare un aumento di 4 metri sopra la media. Le strade della montagna sono interrotte da frane. Il mare, ingrossato da un forte vento di scirocco, blocca il deflusso delle acque dei fiumi che, a loro volta, sono spinte all’indietro, uscendo dagli alvei. A Latisana nella notte del 2 settembre il Tagliamento rompe gli argini proprio davanti all’abitato, che deve essere evacuato. Nella stessa giornata a Pordenone il Noncello allaga vaste zone. Villanova e Vallenoncello restano isolate. Sott’acqua anche le zone della Santissima, San Giuliano, Borgomeduna. Il Meduna allaga la Bassa pordenonese (Corva, Pasiano, Prata, Visinale). Gravissimi i danni anche a fabbriche, officine, magazzini. Il Cotonificio Veneziano accusa danni per 50 milioni (dell’epoca!), 100 il pastificio Tomadini. Secondo una valutazione del Genio civile di Pordenone (l’anno precedente era stato costituito il Circondario, primo passo verso la Provincia, che verrà nel 1968) i danni ammontano a oltre 10 miliardi.
Autore : Adriano Bianco, sintesi dei quotidiani locali