00:00 20 Aprile 2021

MeteoLive cult: l’eccezionale nevicata dell’11-12 aprile 1991 a Potenza!

Gennaio: no, febbraio: no, marzo nemmeno. E' Aprile il mese che mi rievoca il più bel ricordo legato alla neve, oserei definirlo un sogno, che ho deciso di rivivere e far rivivere, sottoforma di racconto. Lo scrissi a suo tempo, e l'ho ricorretto solo oggi...

Potenza, 10 Aprile 1991, un giorno come tanti. Era appena iniziata la Primavera e le settimane precedenti, tra piovaschi e sciroccate, ci avevano regalato delle giornate fantastiche, calde e profumate di fiori, dopo un inverno decisamente rigido.

Ricordo che già a fine Marzo si poteva uscire da scuola in maniche di camicia per evitare di sudare, e non solo per via gli zaini pesanti. Quella sera piovosa, umida e fresca (appena 9°C) le trasmissioni e i bollettini meteo annunciavano un deciso peggioramento per le regioni centro meridionali con piogge a carattere temporalesco, anche di forte intensità; il classico "colpo di coda" dell’inverno.

La neve, parola quasi tabù per il mese di Aprile anche a Potenza, era destinata ad altezze superiori ai 1400-1600 metri. Il giorno 13 era prevista la tanto attesa visita pastorale del Pontefice Giovanni Paolo II, un evento storico per l’intera regione e per il quale la città si stava preparando da settimane con addobbi di ogni genere come mai avevo visto prima.

Furono piantati qua e là persino degli alberi di grandi dimensioni, senza considerare gli innumerevoli impianti floreali che avevano trasformato la città in una improbabile Sanremo da festival. E pioveva. 11 Aprile, il giorno più lungo. Quando mi alzai di buon mattino pioveva a dirotto e l’aria, squarciata dai tuoni, si era decisamente raffreddata; osservai il termometro prima di andare a scuola: 6°C. Il vento durante la notte aveva soffiato abbastanza forte, ma ricordavo giorni peggiori sotto questo punto di vista, e tra l’altro era ruotato a ONO; la pressione era comunque molto bassa (992 mb) e il calo di temperatura non mi sorprendeva dato il presunto passaggio del fronte freddo annunciato la sera precedente; ma niente lasciava sospettare quello che sarebbe successo di lì a poche ore.

A scuola fui richiamato più volte da tutti i professori per via della mia testa perennemente girata, non so per quale motivo, di 90° verso la finestra. Pioveva a più non posso, ma la pioggia non mi interessava; tuonava ma non sentivo niente; il mio sguardo però si infilava, ai limiti delle mie capacità visive, fra le gocce di pioggia alla ricerca di qualcosa. L’ira funesta dei professori si abbattè alle 11:00 quando ad un tratto urlai, unico fra i presenti, la parola "Nevica!". In realtà ciò che tutti vedevano era pioggia, solamente tanta pioggia; ma io avevo fiducia dei miei occhi e novello Muzio Scevola ero pronto a sacrificare anche un intero braccio, perché i fiocchi io li avevo visti davvero.

Ormai espulso dall’aula, ma incurante della mia situazione, gioivo e fremevo, alla finestra del corridoio, per quei pochi e sparuti fiocchi che di tanto in tanto, ma solo per un attimo, incrociavano a zig zag il flusso verticale della pesante e scrosciante pioggia. Alle 11:30 il fenomeno era ahimè cessato dato che da diversi minuti non mi riusciva più di vedere altro che indistinte gocce d’acqua. E pioveva. Di ritorno a casa mi precipitai, sotto il diluvio, a leggere il termometro. delusione delle delusioni: 7°C; di corsa al barometro: 998 mb, il fronte era appena passato sulla mia testa, il tempo di regalarmi qualche fiocco e tante speranze. Queste si erano moltiplicate in un crescendo tale da rendere la mia delusione ancora più grande.

Alle 16:00 la pioggia era diventata sottile fino a cessare. Alle 17:30 ricomincia a piovere di nuovo con più insistenza e tra i rumori del traffico mi sembra di sentire anche un tuono, ma sul parabrezza solo due stanchi tergicristalli e tanta acqua.

Alle 17:45 mia madre mi lascia davanti al cinema, c’è un film in lingua francese che dovrò sorbirmi con i miei compagni di scuola. Fatico ad entrare, sono distratto e pensieroso e rifletto su quel tuono che non avrebbe dovuto esserci. Piccoli segnali, come quei fiocchi della mattina, danno adito a giganteschi "se", e le enormi speranze ad essi legate, presto ti fanno andare in tilt; ma il top dello stato confusionale lo raggiunsi quando un attimo dopo che la "maschera" mi strappò il biglietto sentii tra il ciarlare della gente parole molto ambigue: "che freddo oggi!", "quando smetterà?", "l’hai vista oggi? Sembrava neve!", "macché neve! Siamo ad Aprile", "è acqua fradicia, ti dico!", "no, è solo acqua!", "mamma, ho visto un fiocco di neve", "ma dove! Dov’è, vedi?, piove".

Il film, lungo, lunghissimo, e senza intervallo, più di una notte prima degli esami. Se ci fossi andato da solo potevo uscire, ma la professoressa mi permise solo di andare in bagno e di lì purtroppo non si vedeva nulla, non si poteva vedere nulla. Il fervore si stava spegnendo a poco a poco, d’altronde era Aprile. E dopotutto pioveva. Finalmente la fine, si poteva uscire. Sulle scale dell’uscita mi sembrò di svenire quando mi accorsi di urtare gente che si fermava qua e là sbuffando ed ansimando per scuotersi. "la neve!" urlai. Senza nemmeno indossare il giubbotto mi precipitai all’ingresso e lo spettacolo che vidi avrei voluto pagarlo chissà quanti biglietti. Il vero film si stava proiettando fuori. Facevo fatica a distinguere la luce dei lampioni ed anche i fari delle macchine sembravano pallidi ed incerottati; già, le macchine, con le ruote per metà immerse nella neve, mi sembravano tutte bianche e bitorzolute come enormi dolci ricoperti di panna.

In un attimo ero pieno di neve dappertutto ed i fiocchi cadevano a falde così larghe da sembrare patatine fritte. Un lampo accecante divise in due il cielo davanti a me, ed un tuono assordante mi sconvolse le orecchie che, fino ad allora, nemmeno gli innumerevoli clacson avevano distratto dall’attenzione che avevo posto nel sentire il rumore che i fiocchi producevano nel cadere sul mio giubbotto. Nemmeno le urla di mia madre, che mi attendeva qualche metro più in là, riuscii a distinguere; il panico e la confusione erano ormai totali. Ore 20:00; sono circa 40 minuti che siamo pressoché bloccati nel traffico e spesso devo scendere a togliere la neve dal parabrezza che gli stupidi quanto impacciati tergicristalli accumulano sotto di loro sottraendosi da soli lo spazio per muoversi. Ogni volta che scendo, la neve sul tetto dell’auto è sempre di più, 20 cm, 25 e forse ad un cero punto 30! Non posso vedere oltre.

Forse siamo tra i pochi a "calzare" le gomme "termiche" e procedendo a passo d’uomo ci facciamo largo tra i pedoni impazziti e le macchine lasciate alla rinfusa. Gli autobus sono quasi irriconoscibili e comunque mestamente fermi ai lati di Viale del Basento, il motore acceso e gli autisti dentro a riscaldarsi. Non si contano i tamponamenti e le cadute; gli alberi, da tempo già folti di fogliame, inchinatisi alla pesante neve, lasciano cadere qua e la rami più o meno grandi. Ore 20:40; abbiamo fatto solo 3 km, finalmente il bivio per Pignola, ovviamente riconoscibile solo a memoria, perché persino i segnali stradali sono illeggibili, quasi imballati dalla candida coltre. Non c’è vento e l’intensità della nevicata è sempre la stessa, ma quello che ci sconvolge sono i lampi e i tuoni. Ancora un poco e imbocchiamo la strada di casa, penso, quando ad un tratto un indistinto bagliore di luci prevalentemente giallastre (quelle rosse posteriori si vedevano solo a distanze di due o tre metri) ci sbarra la strada: un TIR è finito di traverso poco prima di imboccare l’autostrada. Non si passa.

Ore 21:20; all’imboccatura della strada interpoderale che conduce a casa ci siamo arrivati con un trattore-pala meccanica davanti che faceva da apri-pista e che spesso, con qualche manovra di troppo, aveva rischiato più volte di finire in quella che ricordavo essere una scarpata. D’altronde la visuale era di tre forse quattro metri, non di più, anche quando periodicamente si scendeva a ripulire i fari. L’interpoderale, solo 1 km, ci toccò farcela a piedi! La neve aveva raggiunto pressappoco i 45-50 cm ma continuava a cadere senza sosta e senza accenno di variazione, né nell’intensità, né nelle caratteristiche; mi accorsi però che si era alzato un discreto vento settentrionale. Il cancello non si poteva aprire se non per uno spiraglio di appena un metro, ma il mio sguardo fu subito attratto e sconvolto dalla grande muraglia bianca che si stendeva fra noi e la porta di casa.

La neve era così tanta che era impossibile distinguere la siepe di cipressi che a riparo della casa era stata letteralmente seppellita. Con difficoltà raggiunsi la postazione del termometro: 0°C. Ero in estasi e ci misi del tempo ad accorgermi di mia madre che urlava. La chiave di casa le era caduta nella neve e ci mettemmo più di dieci minuti per ritrovarla. Ore 23:30; ho tanto sonno ma sono soddisfatto come non mai, ed osservo la neve che cade senza indugio in ogni dove e mi rendo conto di non averne mai vista tanta, tutta in una volta e così imperterrita.

12 Aprile, il giorno più bello. Ore 06:30; sono il primo ad alzarmi, corro in bagno. La finestra da sul piazzale e sulla destra la visuale è di solito tagliata in due dallo spiovente, completo di grondaia, del tetto dei vicini. Non si vede niente, un muro di bianco opaco al posto del vetro; "è appannata!" penso, e mi avvicino per ridarmi la vista quando, con la "coda" dell’occhio, scorgo una striscia oscura interrotta in più punti dal bianco. Riconosco il tetto dei vicini e con difficoltà scorgo il limite superiore del "pacco" di neve che lo sovrasta: "sarà un metro!" urlo, dimentico del resto della famiglia ancora immersa nel sonno. E nevica. non proprio come la sera precedente, ma con vento teso da NNE e falde più piccole ma molto fitte.

Ore 08:00; provo ad uscire fuori, ma la neve mi sbarra la porta, e con fatica riesco a spostarla. Sono fuori, mi giro intorno, guardo in alto, sposto veloce lo sguardo cercando i punti di riferimento che conosco, ma non vedo quasi niente: sono atterrato su un altro pianeta, sono l’ultimo uomo sulla terra! Il silenzio è amplificato solo dal rumore del vento e della neve che sfruscia nel cadere sull’altra neve. È un mondo bianco ed infinito dove il cielo e la terra sono dello stesso colore. Ansimo e penso: è un sogno! Ritorno dentro, guardo il calendario, i fiori che la settimana prima avevo raccolto per mia madre, la stessa che si prodiga per accendere il fuoco; mi riprecipito fuori incurante del freddo e dei dolori alle estremità, leggo il termometro: -3°C. Rientro, accendo la stufetta in camera, prendo carta e penna, mi siedo e comincio a scrivere. "Era appena iniziata la Primavera."

Autore : Giuseppe Tito