Monitoraggio vps e possibili ripercussioni circolatorie.
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Era il 1952 quando per la prima volta si osservò un anomalo riscaldamento sopra il Polo Nord durante la prima campagna prolungata di raccolta delle temperature nella stratosfera. Nel corso dei decenni, con lo sviluppo delle tecniche osservative il fenomeno è stato studiato a fondo fino a comprenderne la dinamica di base e i suoi effetti sul clima. Al di sopra dei poli vi sono due aree di basse pressioni permanenti dette vortici polari, che nascono dalla differenza di temperatura con l’equatore.
Durante il semestre caldo il vortice polare è piuttosto debole ed è strutturato solo nella troposfera. Durante il semestre freddo l’atmosfera al di sopra dei poli si raffredda per irraggiamento e questo da impulso a un forte rafforzamento del vortice nella parte media e superiore della troposfera e allo sviluppo di una forte controparte nella stratosfera che poi va a indebolirsi fino a scomparire col progredire della primavera. Occasionalmente durante l’inverno possono però prodursi degli improvvisi riscaldamenti della stratosfera sopra il polo accompagnati da un indebolimento o disgregazione del vortice polare stratosferico, il cosiddetto stratwarming appunto. Questo indebolimento, specie se intenso, si può trasmettere in seguito anche alla componente troposferica del vortice polare influenzando così le condizioni meteorologiche sull’intero emisfero nord.
Dalla ricerca degli ultimi anni è emerso come l’innesco del fenomeno possa essere legato allo sviluppo di azioni di disturbo da parte delle ondulazioni che si formano al confine tra le massa di aria polare e quelle subtropicali. Sono queste ondulazioni a determinare il susseguirsi di alte e basse pressioni alle medie latitudini. Proprio dalle onde più grandi, quelle su scala planetaria, sembra che possa partire l’innesco degli stratwarming.
La stratosfera e la troposfera comunicano attraverso i cambiamenti nelle onde atmosferiche. Per molto tempo si è pensato che la stratosfera rispondesse in maniera solo passiva alle onde provenienti dalla troposfera. Ma nelle ultime decine di anni è diventato chiaro che la risposta della stratosfera alle onde troposferiche in seguito viene ricomunicata indietro verso la superficie. Nei tropici c’è una oscillazione discendente (QBO) di venti stratosferici orientali e occidentali che potrebbe influenzare la convezione tropicale. Ai poli la crescita e la decrescita delle onde troposferiche che si propagano verticalmente nella stratosfera può cambiare lo stato del vortice polare, cosa che può influenzare la corrente a getto delle medie latitudini e il tempo in superficie. Anche la perdita di ozono nella stratosfera nell’emisfero sud (il buco nell’ozono) ha un impatto sul clima in superficie.
Molti modelli per le previsioni meteo hanno visto miglioramenti recenti nella rappresentazione della stratosfera e dei suoi processi grazie a un aumento della risoluzione verticale e una quota limite maggiore nelle simulazioni meteo. Avere distorsioni ridotte nella rappresentazione della stratosfera fa sì che molti modelli previsionali siano ora in grado di catturare più accuratamente eventi estremi nella stratosfera polare come, per esempio, la disgregazione del vortice polare.
Comunque poiché questi eventi sono causati dal tempo nella troposfera, c’è un limite nella predizione del loro innesco che è simile al limite delle previsioni deterministiche per il meteo (10-12 giorni). Per quanto riguarda il loro impatto sulla superficie, è oggetto di ricerca il capire se le versioni più aggiornate dei modelli di previsione siano in grado di cogliere correttamente l’accoppiamento stratosfera-troposfera e se in questo modo riescano a guadagnare capacità predittiva per il clima in superficie nelle settimane che seguono questi eventi.
Di sicuro si è visto che in generale, l’accoppiamento nei modelli è più debole di quanto osservato nella realtà (ad esempio, per le condizioni medie di questo gennaio), ma dopo un evento stratosferico estremo, molti modelli di previsione riescono comunque a cogliere il corretto andamento della risposta nella troposfera. Parte della difficoltà sta nel fatto che il tempo delle medie latitudini è molto variabile e il registro delle nostre osservazioni è breve e questo può rendere difficile da rilevare ogni miglioramento nella capacita di previsione.
Il vortice polare è una normale figura della stratosfera e può essere descritto come dei venti che soffiano da ovest verso est – detti venti zonali – attorno alla calotta polare di ciascun emisfero durante l’inverno. Occasionalmente nell’emisfero nord (in media quasi ogni inverno) il vortice polare viene disgregato (spesso da onde troposferiche o eventualmente da processi interni alla stratosfera), al punto che i venti medi zonali invertono totalmente direzione. Questo fenomeno storicamente viene chiamato “sudden stratosferic warming” (riscaldamento stratosferico improvviso o SSW) perché quando la direzione dei venti cambia, la temperatura della stratosfera si riscalda rapidamente di oltre 40 °C in pochi giorni. La disgregazione del vortice polare di solito si manifesta sia con un suo ridislocamento al di fuori del polo, sia con la sua divisione in due vortici più piccoli.
In seguito a questi eventi di solito si osservano condizioni più fredde del normale in gran parte dell’Europa, dell’Asia e dell’est degli USA e più calde del normale in Groenlandia e nella fascia subtropicale di Asia e Africa. La corrente a getto nord atlantica può spostarsi più a sud portando condizioni più umide (e di solito nevose) in buona parte dell’Europa.
Durante il semestre caldo il vortice polare è piuttosto debole ed è strutturato solo nella troposfera. Durante il semestre freddo l’atmosfera al di sopra dei poli si raffredda per irraggiamento e questo da impulso a un forte rafforzamento del vortice nella parte media e superiore della troposfera e allo sviluppo di una forte controparte nella stratosfera che poi va a indebolirsi fino a scomparire col progredire della primavera. Occasionalmente durante l’inverno possono però prodursi degli improvvisi riscaldamenti della stratosfera sopra il polo accompagnati da un indebolimento o disgregazione del vortice polare stratosferico, il cosiddetto stratwarming appunto. Questo indebolimento, specie se intenso, si può trasmettere in seguito anche alla componente troposferica del vortice polare influenzando così le condizioni meteorologiche sull’intero emisfero nord.
Dalla ricerca degli ultimi anni è emerso come l’innesco del fenomeno possa essere legato allo sviluppo di azioni di disturbo da parte delle ondulazioni che si formano al confine tra le massa di aria polare e quelle subtropicali. Sono queste ondulazioni a determinare il susseguirsi di alte e basse pressioni alle medie latitudini. Proprio dalle onde più grandi, quelle su scala planetaria, sembra che possa partire l’innesco degli stratwarming.
La stratosfera e la troposfera comunicano attraverso i cambiamenti nelle onde atmosferiche. Per molto tempo si è pensato che la stratosfera rispondesse in maniera solo passiva alle onde provenienti dalla troposfera. Ma nelle ultime decine di anni è diventato chiaro che la risposta della stratosfera alle onde troposferiche in seguito viene ricomunicata indietro verso la superficie. Nei tropici c’è una oscillazione discendente (QBO) di venti stratosferici orientali e occidentali che potrebbe influenzare la convezione tropicale. Ai poli la crescita e la decrescita delle onde troposferiche che si propagano verticalmente nella stratosfera può cambiare lo stato del vortice polare, cosa che può influenzare la corrente a getto delle medie latitudini e il tempo in superficie. Anche la perdita di ozono nella stratosfera nell’emisfero sud (il buco nell’ozono) ha un impatto sul clima in superficie.
Molti modelli per le previsioni meteo hanno visto miglioramenti recenti nella rappresentazione della stratosfera e dei suoi processi grazie a un aumento della risoluzione verticale e una quota limite maggiore nelle simulazioni meteo. Avere distorsioni ridotte nella rappresentazione della stratosfera fa sì che molti modelli previsionali siano ora in grado di catturare più accuratamente eventi estremi nella stratosfera polare come, per esempio, la disgregazione del vortice polare.
Comunque poiché questi eventi sono causati dal tempo nella troposfera, c’è un limite nella predizione del loro innesco che è simile al limite delle previsioni deterministiche per il meteo (10-12 giorni). Per quanto riguarda il loro impatto sulla superficie, è oggetto di ricerca il capire se le versioni più aggiornate dei modelli di previsione siano in grado di cogliere correttamente l’accoppiamento stratosfera-troposfera e se in questo modo riescano a guadagnare capacità predittiva per il clima in superficie nelle settimane che seguono questi eventi.
Di sicuro si è visto che in generale, l’accoppiamento nei modelli è più debole di quanto osservato nella realtà (ad esempio, per le condizioni medie di questo gennaio), ma dopo un evento stratosferico estremo, molti modelli di previsione riescono comunque a cogliere il corretto andamento della risposta nella troposfera. Parte della difficoltà sta nel fatto che il tempo delle medie latitudini è molto variabile e il registro delle nostre osservazioni è breve e questo può rendere difficile da rilevare ogni miglioramento nella capacita di previsione.
Il vortice polare è una normale figura della stratosfera e può essere descritto come dei venti che soffiano da ovest verso est – detti venti zonali – attorno alla calotta polare di ciascun emisfero durante l’inverno. Occasionalmente nell’emisfero nord (in media quasi ogni inverno) il vortice polare viene disgregato (spesso da onde troposferiche o eventualmente da processi interni alla stratosfera), al punto che i venti medi zonali invertono totalmente direzione. Questo fenomeno storicamente viene chiamato “sudden stratosferic warming” (riscaldamento stratosferico improvviso o SSW) perché quando la direzione dei venti cambia, la temperatura della stratosfera si riscalda rapidamente di oltre 40 °C in pochi giorni. La disgregazione del vortice polare di solito si manifesta sia con un suo ridislocamento al di fuori del polo, sia con la sua divisione in due vortici più piccoli.
In seguito a questi eventi di solito si osservano condizioni più fredde del normale in gran parte dell’Europa, dell’Asia e dell’est degli USA e più calde del normale in Groenlandia e nella fascia subtropicale di Asia e Africa. La corrente a getto nord atlantica può spostarsi più a sud portando condizioni più umide (e di solito nevose) in buona parte dell’Europa.
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Aggiornamenti che mostrano fino a metà mese un moto
isoentropico fino in tropopausa, poi un allentamento fino
a comunicazione inversione
no italiano
La tropopausa segna la zona di transizione tra il troposfera e la stratosfera. In generale, la tropopausa si situa intorno ai 300hPa, ed è in realtà una superficie semirigida. Cioè che non può essere spinta molto verso l'alto (a causa della stabilità verticale che si ha a questa quota, indotta dalla risalita della temperatura nella stratosfera), ma può senza troppi problemi essere risucchiata verso il basso (l'aria stratosferica fredda e secca fa in questo caso un'intrusione nella troposfera).
Queste immissioni della tropopausa verso il basso si possono individuare grazie ad un nuovo parametro meteorologico: la vorticità potenziale (VP). Non si andrà in questo caso nei dettagli, ma considereremo soltanto che questo è un parametro che permette di fare una distinzione tra aria stratosferica ed aria troposferica. La vorticità potenziale si esprime in PVU (Potential Vorticity Unit in inglese). L'aria troposferica ha generalmente una VP inferiore a 1,5PVU, mentre l'aria stratosferica ha una VP spesso in larga misura superiore a 1,5PVU. Si capisce facilmente che la tropopausa (detta dinamica) ha una TP costante di 1,5PVU.
La carta qui di seguito mostra la VP della superficie isentropica di 320K. Per semplificare la comprensione della carta, si trascureranno le variazioni d'altitudine di questa superficie isentropica, e si supporrà che l'altitudine, o piuttosto la superficie isobara alla quale si trova questa isentropica di 320K è costante = 300hPa. Applicando quindi ciò che è stato detto più su, si può capire che dove la VP è superiore a 1,5PVU, l'aria stratosferica viene inghiottita verso il suolo; dove la VP è inferiore a 1,5PVU, la tropopausa viene stata spinta verso la stratosfera, mentre dove la VP è uguale a 1,5PVU, la tropopausa rimane costante al livello di 300hPa.
no italiano
In realtà, non sono tanto i valori di VP ad essere importanti, ma soprattutto le zone dove la VP varia abbastanza rapidamente e su brevi distanze. In queste zone, si dice che c'è uno sganciamento della tropopausa. E precisamente, un cedimento brutale della tropopausa indica un fronte in quota, che costringe l'aria che si trova appena dinanzi ad esso a salire rapidamente verso l'alto. Ciò può anche contribuire alla formazione di forti perturbazioni.
isoentropico fino in tropopausa, poi un allentamento fino
a comunicazione inversione
no italiano
La tropopausa segna la zona di transizione tra il troposfera e la stratosfera. In generale, la tropopausa si situa intorno ai 300hPa, ed è in realtà una superficie semirigida. Cioè che non può essere spinta molto verso l'alto (a causa della stabilità verticale che si ha a questa quota, indotta dalla risalita della temperatura nella stratosfera), ma può senza troppi problemi essere risucchiata verso il basso (l'aria stratosferica fredda e secca fa in questo caso un'intrusione nella troposfera).
Queste immissioni della tropopausa verso il basso si possono individuare grazie ad un nuovo parametro meteorologico: la vorticità potenziale (VP). Non si andrà in questo caso nei dettagli, ma considereremo soltanto che questo è un parametro che permette di fare una distinzione tra aria stratosferica ed aria troposferica. La vorticità potenziale si esprime in PVU (Potential Vorticity Unit in inglese). L'aria troposferica ha generalmente una VP inferiore a 1,5PVU, mentre l'aria stratosferica ha una VP spesso in larga misura superiore a 1,5PVU. Si capisce facilmente che la tropopausa (detta dinamica) ha una TP costante di 1,5PVU.
La carta qui di seguito mostra la VP della superficie isentropica di 320K. Per semplificare la comprensione della carta, si trascureranno le variazioni d'altitudine di questa superficie isentropica, e si supporrà che l'altitudine, o piuttosto la superficie isobara alla quale si trova questa isentropica di 320K è costante = 300hPa. Applicando quindi ciò che è stato detto più su, si può capire che dove la VP è superiore a 1,5PVU, l'aria stratosferica viene inghiottita verso il suolo; dove la VP è inferiore a 1,5PVU, la tropopausa viene stata spinta verso la stratosfera, mentre dove la VP è uguale a 1,5PVU, la tropopausa rimane costante al livello di 300hPa.
no italiano
In realtà, non sono tanto i valori di VP ad essere importanti, ma soprattutto le zone dove la VP varia abbastanza rapidamente e su brevi distanze. In queste zone, si dice che c'è uno sganciamento della tropopausa. E precisamente, un cedimento brutale della tropopausa indica un fronte in quota, che costringe l'aria che si trova appena dinanzi ad esso a salire rapidamente verso l'alto. Ciò può anche contribuire alla formazione di forti perturbazioni.
Ultima modifica di picchio70 il mar feb 07, 2023 6:36 pm, modificato 1 volta in totale.
Picchio e Gabriele davvero grandi nel farci scuola. GrazieGabriele_2021 ha scritto:Ed ecco che finalmente la FUB incomincia ad aggiornare qualcosa
Meglio tardi che mai...
Displacement major sul lato euro-asiatico con inversione dei venti tra 10 giorni a 10hPa
Comunque più che tropopausa l inverno da anni e' in menopausa......
speriamo di raccogliere qualcosa anche a briciole di febbraio che alle volte e la storia insegna, ha apportato nevicate storiche. Almeno dalle mie parti
-
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Stando a gfs pare che il warming sia divida in due fasi
La prima prenderebbe piede nei prossimi giorni e si affievolirebbe sull finire della seconda decade
Dalla terza decade si nota una netta ripresa dei flussi di calore sempre partire dall'area siberiana, mentre la wave 1 traslerebbe verso ovest posizionandosi tra l'alaska e la siberia orientale, riflettendo l'arretramento del ridge pacifico troposferico visto dal run 6 sulle aleutine.
Il vps menterebbe il suo core all'incirca sulla scandinavia
Il mancato appoggio della forzante rropicale, concederebbe all'anticiclone di posizionare il suo perno ancora sull'europa e non in atlantico, ma per questo aspetto occorrono ancora conferme sulla magnitudo.
La prima prenderebbe piede nei prossimi giorni e si affievolirebbe sull finire della seconda decade
Dalla terza decade si nota una netta ripresa dei flussi di calore sempre partire dall'area siberiana, mentre la wave 1 traslerebbe verso ovest posizionandosi tra l'alaska e la siberia orientale, riflettendo l'arretramento del ridge pacifico troposferico visto dal run 6 sulle aleutine.
Il vps menterebbe il suo core all'incirca sulla scandinavia
Il mancato appoggio della forzante rropicale, concederebbe all'anticiclone di posizionare il suo perno ancora sull'europa e non in atlantico, ma per questo aspetto occorrono ancora conferme sulla magnitudo.
Oggi si fa fatica a vedere un'inversione a 10hpamariof ha scritto:Picchio e Gabriele davvero grandi nel farci scuola. GrazieGabriele_2021 ha scritto:Ed ecco che finalmente la FUB incomincia ad aggiornare qualcosa
Meglio tardi che mai...
Displacement major sul lato euro-asiatico con inversione dei venti tra 10 giorni a 10hPa
Comunque più che tropopausa l inverno da anni e' in menopausa......
speriamo di raccogliere qualcosa anche a briciole di febbraio che alle volte e la storia insegna, ha apportato nevicate storiche. Almeno dalle mie parti
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Buonasera,
aggiornamenti costanti nel mostrare un Maior warming con buona ripresa di flussi
e momento.
Abbiamo già ripetuto decine di volte che non bisogna intendere i riscaldamenti
come fini previsionali. Essi ci mostrano una scarsa o nulla pressione stratosferica
che ci potrebbero indirizzare verso periodo poco zonali e fasi tendenti a meridianita'.
Se poi la troposfera avrà un setting favorevole , allora queste dinamiche
potrebbero essere esaltate. Per ora siamo in displacement
ma potremmo anche assistere ad una 2w con split, vedremo.
aggiornamenti costanti nel mostrare un Maior warming con buona ripresa di flussi
e momento.
Abbiamo già ripetuto decine di volte che non bisogna intendere i riscaldamenti
come fini previsionali. Essi ci mostrano una scarsa o nulla pressione stratosferica
che ci potrebbero indirizzare verso periodo poco zonali e fasi tendenti a meridianita'.
Se poi la troposfera avrà un setting favorevole , allora queste dinamiche
potrebbero essere esaltate. Per ora siamo in displacement
ma potremmo anche assistere ad una 2w con split, vedremo.
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Anchr secondo MERRA 2 della nasa si andrebbe verso un
stratwarming major, con inversione della zonalità fino a
10hPa, mentre ai piani isobarici inferiori, dopo il crollo, ci sarebbe una ripresa
Il riscaldamento porterebbe un notevole innalzamento
termico in stratosfera dove a 10hPa potrebbe raggiungersi valori da record
stratwarming major, con inversione della zonalità fino a
10hPa, mentre ai piani isobarici inferiori, dopo il crollo, ci sarebbe una ripresa
Il riscaldamento porterebbe un notevole innalzamento
termico in stratosfera dove a 10hPa potrebbe raggiungersi valori da record
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0 of 31 members have stronger vortex than average at the
last forecast step (2023-02-23 12:00:00)
The SSW probability in GEFS is: 94%
Gli effetti troposferici potremmo incominciare a vederli nelle
prossime code modellistiche
Si notano dal grafico le due fasi del warming, sarà da capire come si comporterà nel secondo evento il vps sotto l'influenza delle onde planetarie...
last forecast step (2023-02-23 12:00:00)
The SSW probability in GEFS is: 94%
Gli effetti troposferici potremmo incominciare a vederli nelle
prossime code modellistiche
Si notano dal grafico le due fasi del warming, sarà da capire come si comporterà nel secondo evento il vps sotto l'influenza delle onde planetarie...
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