00:00 26 Giugno 2004

Temporali marittimi e montani: quali sono i più forti?

Non c'è una classifica assoluta, ma di volta in volta vanno valutate le condizioni generali di formazione.

Quante volte in montagna durante l’estate abbiamo assistito ad un breve quanto violento temporale nelle ore centrali del pomeriggio, un diluvio che dopo pochi minuti magari diventa una pioggerella debolissima, che poi cessa del tutto con rapidità?

Probabilmente molti di voi avranno vissuto questa esperienza, così come altri che saranno dovuti scappare dalle spiagge a gambe levate a fine estate per l’arrivo improvviso di un fortunale dal mare.

Queste sono situazioni tipiche del nostro clima, che comunque non rappresentano una prerogativa dell’estate: i temporali marittimi ad esempio possono svilupparsi in qualsiasi stagione, ma chiaramente saranno più o meno intensi a seconda della temperatura del mare; i temporali montani invece si possono notare anche in primavera inoltrata, ed in autunno, fino a ottobre compreso.

Ma fra le due tipologie di manifestazioni temporalesche se ne può distinguere una più violenta dell’altra? In assoluto no, perché le condizioni della loro formazione sono molto differenti:

1) i temporali montani si sviluppano a causa dell’eccessivo riscaldamento dei crinali montani dovuto all’azione del sole, quindi non è necessario che siano presenti condizioni di pressione relativamente bassa, o correnti d’alta quota violente.
Se comunque alle alte quote è presente aria piuttosto fredda, i cumulonembi possono divenire più maestosi e duraturi, con rischio di brevi grandinate o colpi di vento.

2) I temporali marittimi invece si formano quando aria fredda e secca in arrivo entra in contatto con aria mite ed umida preesistente; occorre quindi una figura di bassa pressione che crei le correnti in grado di generare tali contrasti.

Raramente si può assistere alla formazione di temporali marittimi anche nel settore caldo della perturbazione; in tal caso si può assistere a fenomeni molto violenti e persistenti (le cosiddette cellule “autorigeneranti”), che comunque hanno bisogno di una intensa corrente a getto in quota per rimanere attivi a lungo.
Autore : Lorenzo Catania