00:00 6 Giugno 2003

Lazio: la “sottile linea nera” dei temporali

Una delle regioni orograficamente più complesse d'Italia colleziona una miriade di eccezionali microclimi. E la natura dei temporali non può che adattarsi a questa tipicità.

In che modo e in che misura l’orografia e la complessità geomorfologica di un determinato territorio contribuiscano alla genesi e allo sviluppo di un temporale, non ci è dato di sapere appieno e nello specifico. Certo è che l’una e l’altra ne caratterizzano almeno parzialmente il divenire ed il concreto manifestarsi.

Accade così che in una regione di per sé variegata dal punto di vista orografico e climatico, come il Lazio, la natura dei temporali possa esprimersi in tutta la propria complessità “fenotipica” e “genotipica”, sposando in un armonioso connubbio la forma del territorio, che spesso ne determina le fattezze esaltandone le potenzialità.

Nel Lazio, ogni area può essere battuta da temporali, localmente anche di forte intensità. Molto dipende dall’interattività di diversi fattori quali le brezze marine, le correnti alle quote medie e alle quote alte, l’insolazione, i contrasti termici, l’umidità e – non ultima – l’esposizione.

In generale, possiamo dire che l’area generalmente più protetta è quella della Maremma Laziale e del litorale romano, anche se nel recente passato in questa zona non sono mancati fenomeni di rilevante intensità, che hanno provocato danni ingenti alle strutture.
Va da sé che il concetto di intensità del fenomeno temporalesco debba essere sganciato da quello della frequenza con cui il fenomeno stesso si presenta in una determinata area. Molte zone marittime, infatti, possono avere fenomeni temporaleschi alquanto rari, ma non per questo di debole intensità. Tese correnti settentrionali, nei mesi di agosto e settembre, possono innescare cellule temporalesche molto violente proprio sottocosta, in grado di provocare danni ingenti. Molto pericolose sono poi le trombe marine, come quella del 1997 a Terracina.

Il litorale romano e quello viterbese rimangono comunque abbastanza protetti, se non altro rispetto al litorale pontino, dove invece, stante la concomitante presenza di barriere montuose che arrivano – seppur con diverse interruzioni – fin sul mare (Circeo, Ausoni, Aurunci), i temporali termoconvettivi si fanno sentire con maggiore frequenza.

Altra area sufficientemente protetta è quella dei Castelli Romani, specialmente nel versante nord, dove la mancata influenza del mare e la sufficiente lontananza dalla linea dei temporali interni che corre lungo il profilo dei Monti Prenestini e Tiburtini, lasciano l’area suddetta in una sorta di “periferia temporalesca”. Qui i fenomeni non sono rari, ma quasi sempre arrivano spenti, o comunque sulla via dell’esaurimento, avendo già scaricando altrove il proprio carico di precipitazioni. Ma basta fare una manciata di chilometri verso l’interno (Colli Prenestini), che il discorso cambia completamente!

Rispetto ai Colli Albani, un po’ più esposta risulta la Tuscia interna, ma sempre sufficientemente protetta dai fenomeni più intensi, che invece si riversano qualche chilometro più ad est, con la Valle del Tevere spesso a fare da spartiacque. Ma anche qui ci sono tutte le eccezioni del caso, con la zona dei laghi (Bracciano, Bolseno, Vico) a volte tempestata da intensi temporali.

Roma vive questa situazione di casi-limite: spesso risparmiata dai temporali che si limitano a sfiorarla nei quartieri di nord-est, non di rado viene surclassata da fenomeni localmente di portata “monsonica”.

Da quanto sin detto, si deduce che le aree dove più frequente e generalmente più forte è l’effetto dei fenomeni siano quelle interne. Reatino, Cicolano, Carseolano, Monti Simbruini, Sublacense, Alta Ciociaria, Sorano e Lepini sono da considerarsi zone ad alto rischio temporali.
Qui i fenomeni spesso assumono connotazioni grandinigene, e non a caso la catena dei Simbruini, che divide il Lazio dall’Abruzzo nella zona “calda” dei temporali di tutto l’Appennino Centrale, prende il nome proprio da questa sua intrinseca natura genitrice di fenomeni temporaleschi; i Latini erano soliti indicare infatti queste zone con l’espressione “Sub imbribus”, che per l’appunto significa “sotto le acque”. E da “Sub imbribus” a “Simbruini” il passo è breve…

In molti hanno parlato di “quadrilatero dei temporali”, prendendo in esame una zona compresa tra Carsoli, Civitella Roveto, Subiaco e Passo Corese: è qui che sembra più energica l’attività che porta all’affermazione dei temporali.
In realtà ogni temporale fa testo a sé, anche perché esso va preso contestualmente al proprio divenire e dunque al proprio spostamento sul territorio. Ecco che allora la zona battuta solitamente dai temporali diventa più vasta, distendendosi su una linea immaginaria che, partendo dalla Sabina, taglia dritto sui Tiburtini, comprendendo appieno i Lucretili, fino ad incontrare i Prenestini: spesso accade che al di là (est) si verificano nubifragi, mentre al di qua (ovest) il sole domina incontrastato.
La linea dei temporali procede poi in Alta Ciociaria, con l’area valliva offerta tra Ferentino e Colleferro a fare da ponte con un’altra culla temporalesca: quella dei Lepini.

Ernici e Bassa Ciociaria risentono molto dell’influenza della vicina Val Roveto, in terra abruzzese, altra zona-madre di fenomeni termoconvettivi. Stesso dicasi per i versanti interni di Ausoni ed Aurunci, che spesso, in tarda estate, lasciano addirittura filtrare le cellule temporalesche, che in un nonnulla sfondano sul mare: eccoci arrivati a Fondi!

Con l’arrivo sulla costa pontina, il nostro “tour” del Lazio temporalesco può dirsi concluso. Ciò che se ne deduce è il grande fascino di una regione costellata da una miriade di situazioni e di interconnessioni geo-climatiche che di fatto ne decretano l’impossibile coriacea catalogazione.
Autore : Emanuele Latini