00:00 24 Giugno 2002

Genesi delle nubi convettive o temporalesche

Sono le cosiddette nubi "a sviluppo verticale" e nascono quando una massa d'aria sale rapidamente e quasi verticalmente in quanto si trova ad essere più calda dell'aria circostante e quindi tende a sollevarsi verso l'alto. (Prima parte)

Una massa d’aria calda, immersa in una zona in cui l’aria ha temperatura più bassa, tende a salire verso l’alto a causa della spinta di Archimede o “spinta di galleggiamento”, esattamente come sale una mongolfiera o come schizza verso l’alto una palla affondata in acqua e lasciata andare. Bisogna infatti tenere presente che il peso specifico della massa d’aria calda, quindi rarefatta, è minore del peso specifico dell’aria fredda circostante. Ciò significa che il suo peso è minore della spinta verso l’alto che essa riceve. La massa d’aria calda è quindi costretta a salire fintanto che essa non riesce a raggiungere zone dove l’aria circostante ha la sua stessa temperatura e quindi il suo stesso peso specifico.

L’ ascesa di queste “bolle calde” (tecnicamente chiamate “termiche” o “celle convettive”) si realizza con differenze di temperatura nella massa d’aria a contatto con il suolo; infatti il suolo non è omogeneo, per cui ci sono zone che rifletteranno più luce solare (maggior “albedo”), mentre altre ne assorbiranno la maggior parte. Le prime includono distese liquide o innevate, campi coltivati, foreste, mentre le città, i campi arati, i parcheggi e in genere tutte le superfici scure assorbono buona parte della radiazione incidente; questo è il motivo per cui nelle ben note “isole di calore” cittadine i temporali sono più frequenti ed intensi, mentre sono relativamente più rari vicino alle coste. L’eccesso di calore assorbito dalle superfici surriscaldate si propaga quindi verso l’alto, creando queste bolle che, distaccate dal suolo ad opera di venti anche molto deboli, inizialmente hanno un diametro di 50-100 m ma salendo trovano pressione minore e quindi si espandono senza interagire con l’aria circostante arrivando a 500 m di larghezza sui 1000-2000 m di altezza, dove la velocità di ascesa è già di 1-4 m/s (metri al secondo).

Questo fenomeno (massa calda che sale immersa nell’aria fredda) è tipico della goccia fredda in quota o di infiltrazioni di aria più fresca che scorrono sopra il cuscino caldo-umido della Pianura Padana, quindi in situazioni di instabilità atmosferica. Come detto, l’aria calda, essendo più leggera, sale di quota, si espande grazie alla minor pressione rispetto a quella del suolo e si raffredda. Fin quando non comincia la condensazione del vapore acqueo in goccioline di nube il raffreddamento di una massa d’aria in ascesa è sempre adiabatico (ossia senza scambio di calore con l’ambiente circostante, 1° principio della termodinamica), ciò perchè l’aria stessa ha scarse doti termiche di assorbimento e conduzione; per la precisione si parla di “raffreddamento adiabatico secco” (-1°C per ogni 100 m di salita).

Dal momento in cui il vapore contenuto nell’aria raggiunge la saturazione per il raffreddamento, il processo di ulteriore espansione e raffreddamento non può più essere considerato adiabatico secco, poichè il calore latente ceduto nel processo di condensazione (600 calorie per ogni grammo di vapore passato allo stato liquido) va in parte a riequilibrare la perdita di calore dovuta all’espansione, col risultato che da quel momento l’aria satura in ascesa si raffredda in misura minore; a questo punto si parlerà di “raffreddamento adiabatico saturo o pseudoadiabatico” che non sarà più di -1°C per ogni 100 m di salita, bensì (mediamente) di -0.5°C/100 m nei primi 5-6000 m di quota, per cui l’aria che sale nella nube sarà ulteriormente più calda di quella circostante (instabilità convettiva) e subirà un’ulteriore spinta ascensionale. E’ questo il motivo per cui il calore latente di condensazione è un robusto serbatoio di energia da fornire alla macchina temporalesca fornendo calore aggiuntivo in continuazione.

L’instabilità è la tendenza delle particelle d’aria ad accelerare verso l’alto dopo essersi sollevate dall’originaria posizione: essa è un importantissimo fattore per lo sviluppo di forti temporali, per cui grande instabilità sottintende grande potenziale per lo sviluppo dei cumulonembi. Se ne deduce che più l’aria è umida maggiore è la sua instabilità: ciò trova applicazione nel fatto che il raffreddamento adiabatico (-1°C/100 m di quota) nei caldi pomeriggi estivi si verifica di norma nei primi 800-1500 m della troposfera, quindi in questo strato atmosferico il raffreddamento dell’aria circostante è maggiore di quello che si verifica nelle termiche. Infatti a quote maggiori la temperatura scende di 0,5-0,6°C ogni 100 m di salita, mentre la bolla d’aria continua a raffreddarsi di 1°C ogni 100 m: è evidente che ben presto scomparirà la spinta di galleggiamento all’interno della bolla, ma questo inconveniente, come detto, può essere risolto dall’elevato tasso di umidità proprio della massa d’aria in ascesa che non solo equilibrerà il raffreddamento da espansione ma riporterà la temperatura della bolla su valori superiori di 1-2°C rispetto a quelli dell’aria circostante: 1 grammo di vapore che condensa in 1 kg di aria è in grado di aumentarne la temperatura di 2,5°C!

Il livello di condensazione è chiaramente indicato dalla base piatta dei cumulonembi (Cb) o dei cumuli (Cu) che sono le nubi a sviluppo verticale per eccellenza: maggiore è il contenuto in umidità dell’aria, minore sarà la quota di condensazione.

Ad un maggior tasso igrometrico corrisponde inoltre un più elevato valore della temperatura di rugiada Td (“dew point”), che è quella temperatura fino alla quale occorre raffreddare, a pressione costante, una massa d’aria a temperatura T per portarla alla saturazione. Per cui un dew point molto vicino alla temperatura reale sottintende aria molto umida. In estate valori di Td superiori a 22-23°C indicano che in loco l’aria contiene una quantità notevole di vapore. Infatti una massa d’aria che condensi a temperature superiori a 22°C contiene più di 17grv/kg (17 grammi di vapore/kg di aria umida), una quantità notevole che, in determinate condizioni, potrebbe fornire la materia prima necessaria per l’insorgere di temporali di forte intensità.

L’energia fornita dal calore latente di condensazione scalda ancor di più l’aria ascendente che accelera quindi il suo moto di salita raggiungendo velocità sempre più grandi man mano che sale verso quote più elevate: nei temporali più intensi si raggiungono anche i 30 m/s, ma solitamente le turbinose correnti ascendenti viaggiano a 6-8 m/s. Appare quindi evidente che la fase di sviluppo del cumulonembo risiede esclusivamente nell’attività delle correnti calde ascensionali. Rispetto alla nube, la termica parte da una zona al suolo spostata in avanti di 10-20 km nei confronti della direttrice seguita dal Cb e penetra all’interno dello stesso Cb con una direzione opposta a quella di spostamento del corpo nuvoloso e con un’inclinazione di circa 20° rispetto alla verticale. La nube allo stadio iniziale dello sviluppo avrà ancora un aspetto innocuo di un cumulo largo 2-3 km. Tuttavia, l’accelerazione delle correnti verticali dovuta alla condensazione origina un risucchio d’aria dall’ambiente, sia dai lati della nube sia da sotto la stessa base nuvolosa: questa corrente caldo-umida che “alimenta” dal basso la nube si chiama inflow ed è quella che poi diverrà la corrente ascensionale all’interno della nube, denominata updraft.

Ad un certo punto l’updraft una volta giunto a grandi quote (anche 12-13 km nella Pianura Padana), a causa del calore liberato nella fase di condensazione, si raffredda notevolmente, diventando così più pesante dell’aria circostante e precipita. Infatti una massa d’aria fredda, immersa in una zona dove l’aria è più calda, tende a scendere verso il basso perchè il suo peso specifico è maggiore della spinta verso l’alto che essa riceve: la massa d’aria quindi scende proprio come un sasso immerso nell’acqua: nascono così le correnti discendenti interne alla nube, denominate downdraft, all’interno delle quali l’aria è più secca; ne consegue che parte delle goccioline sopraffuse (cioè allo stato liquido pur in ambiente sottozero) in parte evaporano in quanto scendendo trovano strati d’aria sempre più caldi. Il fenomeno dell’evaporazione porta al raffreddamento della massa d’aria in cui si trovano queste goccioline: ecco quindi che l’aria fredda della corrente discendente si raffredda ancor di più, dato che essa fornisce il calore latente di evaporazione necessario perchè avvenga il passaggio di stato, e accelera così il suo moto di discesa raggiungendo le massime velocità proprio in prossimità del suolo, dove le correnti fredde si aprono a ventaglio propagandosi orizzontalmente in maniera turbinosa: questa è la corrente chiamata outflow che costituisce il gust front di un temporale, meglio conosciuto come “linea dei groppi” o “fronte delle raffiche”; questo mini fronte freddo precede un cuneo di aria fredda con uno spessore che va da qualche centinaio di metri fino a 1 km circa e che solleva bruscamente l’aria calda che sta davanti alla stessa cellula temporalesca prolungandone generalmente la durata. Nei temporali più organizzati si possono avere raffiche di grande intensità con massimi anche di 100-130 km/h o più, alle quali spesso viene erroneamente attribuita la definizione di tornado o tromba d’aria.

Per saperne di più www.fenomenitemporaleschi.it
Autore : Alberto Gobbi