00:00 30 Luglio 2018

ICEBERG in frantumi? L’informazione televisiva distorta (Sono in calo)

Negli ultimi giorni, tra foto e riprese, si moltiplicano le notizie sullo sgretolamento della banchisa polare e delle minacce agli avamposti umani nel nord del pianeta. Qualche considerazione in merito può aiutare a ridimensionare l’ennesimo allarmismo mediatico, globale!

In questi giorni è un rincorrersi di notizie sull’avvistamento di iceberg enormi, minacciosi e pericolosi, non più e solo per la navigazione, ma anche per i centri abitati sulla terraferma.
Il termine “iceberg”, fusione (passatemi il termine n.d.r.) di due parole differenti (ice = ghiaccio in inglese, e berg = montagna in tedesco), significa letteralmente: montagna di ghiaccio. Tale è apparso agli abitanti del villaggio di Innaarsuit, nella Groenlandia occidentale, ma anche agli sfortunati passeggeri del Titanic e a tanti altri disgraziati che sono incappati in spaventosi naufragi.
I ghiacci alla deriva costituiscono da sempre una minaccia alla navigazione, specie sul lato orientale del Nord America dove, in seno alla corrente fredda del Labrador, come frammenti della banchisa polare, ma soprattutto delle fronti glaciali che si affacciano sulla baia di Baffin, si disperdono in direzione sud fino a raggiungere i banchi di Terranova e, eccezionalmente, i mari al largo della Nuova Scozia e del Maine.
I frammenti della banchisa, molto comuni nella stagione primaverile, hanno spessori ridotti, dell’ordine dei metri; solitamente sono semi-trasparenti e non stratificati, di norma tabulari e raramente si capovolgono o si raddrizzano, salvo quando sono ridotti in piccoli blocchi.
Gli iceberg più grandi, con spessori dalle decine alle centinaia di metri, come quello che si è affacciato al cospetto dell’abitato di Innaarsuit, proviene dalla frammentazione dei fronti glaciali, come quello ripreso il 22 giugno scorso da una spedizione scientifica della New York University nella Groenlandia orientale.
In questo caso si è trattato di un frammento del ghiacciaio Helheim, uno dei più meridionali ed attivi dell’isola, che sforna periodicamente piattaforme di ghiaccio simili. Le stesse sono prese in carico dalla corrente orientale della Groenlandia, e scendono verso sud-ovest ad alimentare il suddetto flusso di iceberg verso Terranova.
Tali enormi blocchi di ghiaccio, si presentano spesso variegati e stratificati, sia per le intrusioni di materiale sedimentario, ma soprattutto per gli accumuli progressivi di neve, cui si alternano periodi di ablazione / scioglimento parziale, per non parlare delle tremende frizioni e spaccature che si generano durante il lento movimento verso la “foce”, talvolta costretto in valli preesistenti o accelerato da rotture di pendenza, fenomeni di fusione subglaciale e/o carichi nevosi eccessivi. Per non parlare del momento in cui lasciano la terraferma e procedono nei bracci di mare antistanti, come piattaforme galleggianti.
Il peso specifico di queste enormi masse di ghiaccio “sporco”, fa si che la parte emersa sia decisamente ridotta, anche meno del 20% del volume. L’altro fattore degno di attenzione, che accompagna questi mostruosi blocchi galleggianti, è il rischio di capovolgimento o frammentazione, a causa di rotazioni dovute alle correnti o ai venti, urti con il fondale, ma anche spaccature improvvise che modificano la distribuzione dei pesi e la posizione del baricentro.
Gli effetti possono essere forieri di manifestazioni improvvise e violente, come insidiosi tsunami locali, amplificati dalla morfologia del fondale e dalla geografia stretta delle baie in cui a volte si vengono a trovare.
Legittima dunque, la tensione e la paura delle genti di Innaarsuit e di varie altre località della Groenlandia occidentale, che vivono di pesca, turismo ed hanno abitazioni e strutture edificate molto vicini alla costa. Come si nota però dal confronto fotografico, tra l’immagine del satellite dell’ESA Copernicus Sentinel a sinistra, e una banale immagine tratta da Google Map, più o meno dello stesso periodo, gli iceberg simili, ma anche più piccoli e più grandi, pullulano nell’area, specie tra maggio e agosto.
Il fenomeno è talmente frequente che esiste un apposito sistema di monitoraggio governativo, a cura di Istituti di Ricerca Danesi, che controllano il numero e il movimento degli iceberg nelle quattro zone più attive che circondano la grande isola, e tra queste c’è proprio la regione di Upernavik e Innarsuit.
Tra le altre cose, così come si evidenzia dai report dell’IIP – International Ice Patrol della Guardia Costiera Americana, il numero di iceberg che oltrepassano in direzione sud il 48° parallelo all’altezza dei grandi banchi di Terranova, dopo un picco negli anni ’80 e ’90, sono ora in progressivo calo, ai livelli degli anni ’70.
L’allarmismo appare dunque notevolmente esasperato e in buona parte ingiustificato, senza considerare le millantate conseguenze sull’innalzamento del livello dei mari. Sia i fronti dei ghiacciai artici ed antartici, che le piattaforme glaciali, più tipiche dell’Antartide, sono ghiacci galleggianti già in partenza, pertanto il loro scioglimento non determina nessuna variazione del livello dei mari, come qualcuno vorrebbe far credere.
 

Autore : Giuseppe Tito