00:00 7 Gennaio 2013

Quando il freddo arriva davvero: come riconoscere il gelido sibilo della Siberia

Le irruzioni gelide arrivano da est. Aria artica o polare che sia, propongono sulla nostra Penisola un variegato ventaglio di colate con caratteristiche ed effetti differenti che impongono sostanziali distinzioni.

 Quando nel semestre freddo un anticiclone abbandona i tiepidi mari subtropicali per imbarcarsi nel suo occasionale viaggio alla ricerca di emozioni forti, si spinge solitamente ad esplorare il grande nord. La sua trasferta nella tana del lupo, alias il vortice polare, può essere cosi incisiva da modificare di sana pianta l’assetto barico di un intero continente.

La spallata al gelido oceano d’aria che ruota senza sosta sopra alla calotta polare trasforma allora il nostro anticiclone in una cinghia di trasmissione lungo la quale il gelo cola verso le medie latitudini arrecandovi la faccia cruda dell’inverno. La posizione dei massimi di pressione, unitamente alla sua natura termica o dinamica (a cuore freddo o caldo), implica conseguenze molto differenti nei tipi di aria che possono essere avvettate sul nostro Paese.

Quando un flusso raggiunge la nostra Penisola dai quadranti nord-orientali si tratta solitamente di aria polare o di aria artica, entrambe con caratteristiche continentali.
La distizione parrebbe voler spaccare in due un capello ma è invece di importanza fondamentale. La prima (polare continentale) ha origine sull’Europa orientale quindi risulta molto fredda negli strati prossimi al suolo, relativamente asciutta e alquanto stabile, porta un freddo pungente ma non estremo e può coinvolgere il versante adriatico con deboli spruzzate di neve a bassa quota a causa dell’umidificazione durante il transito sul mare.

L’aria artica continentale trae invece origine dai mari parzialmente ghiacciati all’interno del Circolo Polare Artico, come il bacino di Barents e scorre successivamente sulla Russia continentalizzandosi ma giungendo da noi con dinamiche comunque più instabili, foriere di maggiori precipitazioni lungo l’Adriatico, nevose fino in prossimità dei litorali. Si tratta di un freddo intenso che però mostra in un primo tempo una certa difficoltà ad attecchire al suolo.

Ecco infine il famoso Buran.

Esso può miscelarsi con entrambe le masse d’aria appena viste ma trae principalmente la sua origine dalle gelide e remote steppe siberiane (polare continentale-siberiana).
Si tratta di aria a sviluppo laminare (attaccata al suolo) molto stabile e secca che si riversa sul nostro Paese con venti anche forti da est generando ondate di gelo a volte di estrema intensità che possono perdurare anche diversi giorni dopo la fine dell’apporto.

Gli esempi ci riportano ai primi di gennaio 1985 e alla fine del dicembre 1996.
Spesso viene erroneamente confuso con il transito di gocce fredde in quota accompagnate da forti venti orientali che, per la diversa origine per la quale si sviluppano, non possono esere classificati come venti di Buran. In questo caso la colonna d’aria fredda è molto instabile e spiraleggia alle alte quote riversandosi poi verso il basso con bufere di neve anche intense ma di breve durata.

 

Autore : Luca Angelini