00:00 8 Luglio 2003

Calore sensibile e calore latente

Che differenza c’è fra i due? A cosa serve definirli?

In meteorologia si sente spesso parlare di calore latente, come quella “scintilla” che fornisce l’energia necessaria ai cumulonembi per svilupparsi fino a 10-11 km di altezza; ebbene questa non è la sola applicazione pratica riscontrabile, ma ne esistono molte altre non di minore rilievo.

Lo scopo primario di quest’articolo è però quello di capire cos’è il calore latente e cosa lo differenzia dal “calore sensibile”; vediamo allora di dare le due definizioni, cercando di capire a cosa può servire fare questa differenziazione:

1) Il calore sensibile è la quantità (di calore appunto) che, fornita ad un qualsiasi oggetto (solido, liquido o gassoso che sia), è responsabile di un suo aumento di temperatura; al contrario se tale quantità viene sottratta, la temperatura del corpo in questione diminuisce (si chiama “sensibile” appunto perché è il diretto responsabile di una variazione termica).

Ad esempio forniamo calore sensibile ad una pentola piena d’acqua quando la scaldiamo sulla fiamma, lo sottraiamo ad una bibita se la mettiamo nel congelatore.

2) Il calore latente è invece quella quantità che, fornita ad un oggetto, non provoca un suo aumento di temperatura, ma porta ad un suo cambiamento di fase, ossia da solido lo fa diventare liquido, da liquido lo fa diventare gassoso, ecc. ecc (è “latente” quindi perché si fa vivo solo in certe occasioni particolari, anche se è “inglobato” già inizialmente in un corpo, in attesa di essere utilizzato).

Un esempio semplice si può fare prendendo un cubetto di ghiaccio e mettendolo in un ambiente con temperatura elevata; il ghiaccio allora aumenta la sua temperatura fino ad arrivare a 0°C, poi comincia a sciogliersi (ossia da solido diventa liquido); durante il processo di scioglimento se andiamo a misurare con un termometro il valore termico della miscela “acqua + ghiaccio” osserviamo che la colonnina di mercurio rimane ferma a 0°C fino a che tutto il ghiaccio non si è sciolto; per quale motivo? Perché l’ambiente ha fornito calore latente al ghiaccio, per permettergli di trasformarsi in acqua liquida.

Difatti il calore è energia, e quindi può essere utilizzato da un corpo per vari scopi; sia per aumentare o diminuire la propria temperatura (allora si parla di calore sensibile), sia per rompere o generare legami fra le varie molecole che lo costituiscono, facendolo diventare solido, liquido o gassoso (siamo cioè in presenza di calore latente).

Senza rendercene conto sfruttiamo già normalmente questo principio nei modi più disparati; ad esempio nelle zone d’Italia dove si raggiungono facilmente temperature dell’ordine di 36-38°C, ma con umidità bassissima, per far diminuire la calura sui terrazzi o nei giardini spesso si gettano litri e litri d’acqua sulla superficie che si vuole raffreddare.

Difatti l’acqua liquida per evaporare (cosa che sicuramente fa con temperature così elevate) ha bisogno di sottrarre calore (e quindi energia) all’ambiente, che di conseguenza lentamente si raffredda.

In particolare la temperatura del pavimento scende di alcuni gradi, e per irraggiamento accade la stessa cosa nello strato d’aria in vicinanza del suolo; ecco dove sta l’utilità di questo espediente.

Il fenomeno opposto accade quando l’acqua passa dalla fase gassosa a quella liquida; questo è proprio l’esempio che facevamo all’inizio, ossia quello riguardo alla formazione dei cumulonembi.

Quando il vapore acqueo si condensa, infatti rilascia calore latente nell’ambiente e quindi la temperatura dell’aria tende ad aumentare, rinnovando le condizioni per la generazione di moti convettivi; in poche parole la temperatura all’interno del corpo principale di un cumulonembo è (visti i milioni di litri di acqua in gioco) di diversi gradi centigradi maggiore rispetto all’ambiente circostante.
Autore : Lorenzo Catania