00:00 29 Novembre 2006

Speciale TRAGEDIA del GLENO (per riflettere)

Le cronache dei giornali dell'epoca del dicembre 1923.

MeteoLive, dopo aver ricordato i tragici eventi seguiti al parziale crollo della Diga del Gleno, grazie alla collaborazione del sito www.scalve.it, vi presenta le cronache dei giornali dell’epoca del dicembre 1923, giorni luttuosi per la Val di Scalve ma anche per tutta la nazione.

E’ chiaro che in qualche articolo troverete il sapore della propaganda fascista, ma questo non scalfisce minimamente il grande valore di questi documenti di ricostruzione storica.

Servano a tutti per capire quanto l’imperizia umana possa far pagare ad altri un prezzo altissimo, quello della vita. Di fronte ad una società sempre più votata ai vizi e al consumismo, proponiamo la dignitosa miseria di questa povera gente, così duramente colpita sia economicamente che affettivamente.
Meditate e se volete recitate una prece affinché certe tragedie non abbiano a ripetersi in futuro.

Corriere della Sera 05 dicembre 1923
Fra le rovine del disastro del Gleno
Una visita alla diga fatale – L’infaticata opera di soccorso

Dove scaturì la tragedia
Dezzo, 1 dicembre, notte.
I valligiani che salgono da Dezzo verso il Gleno tornano mormorando:”Non c’è più la nostra valle. C’è un paese nuovo”. Sono stupefatti, si sentono stranieri in casa loro. Rivedono le loro vecchie case inquadrate da una nuova cornice.
L’occhio dell’estraneo cerca e fissa lo spettacolo del dolore umano, conta le vittime, penetra nelle case fatte grigie dalla poltiglia; ma non soffre per lo strazio inflitto alla natura. Il montanaro, che ha perduto case, parenti e bestiame, sente anche questo dolore.
Sotto Dezzo la vallata si allarga per ricevere il torrente Povo che scende dalla valle di Gleno riversandosi nel torrente Dezzo, che scende dalla Val di Scalve. Il piano della conca è tutto ricoperto da una coltre compatta, bruna, quasi levigata di fango; è una crosta solida, alta un metro, che ricopre e livella i sassi del fondo e sulla quale si posano centinaia di tronchi d’albero strappati dai fianchi della valle del Gleno.
Un basso sperone, a tratti e rocce sfioranti, chiude l’entrata della valle di Gleno e lascia solo uno stretto passaggio attraverso il quale scorreva cantando il torrente. La valanga vorticosa e furiosa scendendo entrò nel passaggio e scavalcò il bastione naturale, che è ora tutto cosparso di fango, di massi, di detriti.

Paesaggi irriconoscibili
Davanti a Bueggio lo spettacolo è tristissimo. Poco sotto il paese c’erano un molino e una centrale elettrica. Nessuna traccia esiste dei due fabbricati. Un cumulo di pietre segna le loro rovine. Sulla riva sinistra i sostegni di ferro della linea aerea sono disarticolati e contorti come fili d’erba. Fra i cumuli di sassi, i primi accorsi da Vilminore hanno praticato un passaggio che attraversa la nuova valle scavata dalle acque, e con scale e tavole e si sono interpicati a Bueggio. Da questo gruppo di case, piccola frazione di Vilminore, lo sguardo si alza verso la gola del Gleno. L’acqua, che scendeva riunita in una grossa vena fra i prati, scivola ora su enormi lastroni di roccia messi a nudo. Bueggio, com’è noto, fu il primo paese che vide giungere e subì l’urto della colonna liquida, tumultuosa e ruggente entro le strette pareti che la contenevano. La chiesa, il cimitero e una casetta, che erano i più vicini all’orlo della valle, furono strappati di schianto. Del cimitero rimangono le tombe, della Chiesa, non vi sono che un gradino e le lastre del pavimento.
Fra le pietre diverte volarono via due corpi umani: quello di un giovane che era salito sul campanile per regolare l’orologio e quello di una ragazza che stava pregando nella chiesa. In un baleno tutte le case furono colmate di fango. Qualche fuggiasco stramazzò nella corsa e fu divorato. In un cascinale entro la valle stava un contadino con dodici capi di bestiame: casa, uomo e animali furono travolti insieme.
Mentre le squadre di operai svuotano le case dal fango, i pochi abitanti della frazione guardano verso l’alto e chiedono ai radi visitatori che cosa resti ancora”lassù”nel piano di Gleno, della diga fatale.

Che cosa resta dell’impianto
Lassù salgono ogni giorno piccole comitive di tecnici e qualche operaio. È salito oggi uno dei titolari della ditta Viganò, che era a Vilminore quando passò sotto ai suoi occhi la paurosa ondata. Nella notte era nevicato e la grande mole squarciata era bianca sul coronamento. Intorno, un cerchio di alte cime dominate dal Gleno componeva un paesaggio invernale tutto bianco e azzurro. Dietro la grande spaccatura si intravedeva il laghetto alpino che raccoglie le acque alle quali il”tampone di fondo”impedì di precipitare.
L’alta muraglia formava un leggero arco teso fra due massicce pareti di roccia che si fronteggiavano a 180 metri di distanza. Davanti una fitta serie di piloni guardava la valle, dietro si appoggiava ai piloni una successione di grossissime volte cilindriche. Sopra i piloni si rincorrevano gli archi. L’opera industriale non mancava di solennità architettonica.
Un enorme vuoto di 70 metri interrompe ora la curva. Dal lato destro due piloni si appoggiano alla montagna, ancora intatti. La vasta ferita è stata netta: il fianco del pilone superstite è liscio e mostra le striature regolari del cemento armato. Dal lato opposto, presso il quale avvenne il primo crollo, una mezza volta è ancora in piedi, e alcuni grossi brandelli di cemento pendono dal suo fianco, trattenuti da armature di ferro. L’altro pilone che le fiancheggia è screpolato largamente.
O. Cavara

Dall’Eco di Bergamo di martedì 4 dicembre 1923
Il miracolo del salvataggio del Parroco di Bueggio
Il Parroco don Rota – ch’è stato trasportato oggi all’ospedale di Bergamo a mezzo dell’autolettiga dell’Assistenza Pubblica – è stato travolto come la chiesa ed è un mistero come si sia salvato, perché mentre il cimitero, il campanile e la chiesa precipitarono nella voragine aperta dal cataclisma, il Parroco fu trovato sui margini proprio di questa voragine, che costituisce l’estremo lembo dell’altipiano di Bueggio. Fu rinvenuto privo di sensi e trasportato all’ospedale di Vilminore dove ieri sera è stato sottoposto ad interrogatorio da parte del Pretore.
Sono in grado di riferirvi quanto don Rota ebbe a dire all’Autorità Giudiziaria:
“-La mattina del primo corrente, verso le ore 7.30, io ero rimasto ultimo in chiesa dopo d’avervi celebrato la Messa consueta.
” A un certo punto ho avuto l’impressione di un vento impetuoso dal di fuori. Mi sono precipitato verso la porta per chiuderla. Nel contempo ebbi la curiosità di dare uno sguardo all’esterno… E mi è rimasta la impressione di aver visto dalla valle superiore precipitare una specie di montagne di acqua, come rombi e boati.
” Spaventato, tentai di ritirarmi di nuovo in chiesa, ma ebbi il braccio destro chiuso fra i due battenti della porta… “.
La chiesa poi è stata travolta dall’enorme spostamento d’aria e dall’acqua, ed il povero Parroco ha perduto ogni ulteriore nozione.
Altre persone raccontano che il campanile di Bueggio nel cataclisma non s’è sfasciato, ma è scivolato, in piedi, con le campane sonanti in alto, per un centinaio di metri. Poi si è inabissato. La chiesa che fu distrutta era in istile lombardo-medioevale e conteneva una tribuna ed un’altare con della Madonna dei Piccini, allievi dei Fantoni.

La tragedia di una superstite
Insieme al parroco don Rota è stata oggi trasportata all’ospedale di Bergamo anche quella povera Fiorina Piantoni di Vilminore che è stata trovata dopo 36 ore ferita, ma ancora viva, in una stalla. La poveretta è l’unica superstite della sua famiglia: il marito è perito lungo la Via Mala, dove si trovava al momento del cataclisma; i figliuoli sono stati travolti con lei nell’acqua.
Racconta la poveretta – che sembra veramente la statua del Dolore – racconta che quando si accorse dell’acqua che la travolgeva, ha tentato di salvare i bambini. E se li è sentiti, dapprima, intorno: nel buio, palpeggiando, li ha toccati tutti, l’uno dopo l’altro… Ma poco dopo l’uno è scomparso, l’altro non lo ha sentito più. Quando le parve che anche il più piccino stesse per sfuggirle, disperata, lo ha afferrato per i capelli. E neanche questo l’è valso a salvare l’ultima sua creatura!
Poi svenne e fu portata alla ventura là dove poi veniva trovata.
Verso le 16.30 apposito carro funebre a trasportata Bergamo la salma del Cattaneo Bernardo, capo-officina della Centrale di Dezzo.
Otto o nove orfani di Dezzo sono stati trasportati all’azione presso famiglie volenterose e caritatevole; altri due sono stati ritirati l’uno da una famiglia di Gazzaniga e l’altro da una famiglia di Leffe.
Quanto alle salme dei poveri morti, esse verranno inumate nel piccolo, deserto cimitero del Dezzo, dove pure l’acqua a schiantato il cancello e penetrandovi ne ha asportato quasi tutte le piccole croci di legno che la pietà dei vivi vi aveva piantato. Sarà esso capace di ricevere tutte insieme le nuove salme?! Se tutti i nuovi morti di Dezzo d’Azzone e Dezzo di Colere, Comuni separati ma parrocchia unita, dovessero aspirare a questo loro povero caro camposanto, dove tante volte già pregarono e dove tutti i loro vecchi attraverso le varie e età riposano, temo che noi. Ma molti, troppi, forse, non è ritorneranno più mai neanche morti alla loro valle e dormiranno il sonno eterno – sperduti, frantumati in 100 posti diversi.
Poveri cari morti! Su di essi stasera cade la prima bianca neve…
G. B. Pesenti

Il Popolo d’Italia martedì 4 dicembre 1923

Fra le rovine di Valle di Scalve e di Valcamonica
Il Re sui luoghi del disastro – La fraterna opera dell’Esercito e della Milizia Nazionale
(Per telegrafo e per telefono dai nostri inviati speciali)

Un’infinita tristezza ci attanaglia l’animo innanzi alla sciagura che a funestato una vallata lombarda, mietendo vittime a centinaia, distruggendo ricchezze, riducendo paesi industriosi in ammassi di rovine sulle quali i detriti delle norme valanga si appesantiscono in una desolazione senza conforto. L’acqua, il mirabile elemento che l’uomo aveva raccolto nell’alta montagna per l’utilizzazione misurata della sua forza imponente e per la creazione della ricchezza, ha rotto le dighe ed è precipitata a valle con la violenza sorda delle forze primordiali della natura.
Il flagello ha gli atroci caratteri di una vendetta della natura sulle opere dell’uomo che tenta di imprigionarla. Sarà compito di domani quello di identificare i possibili errori dell’uomo nella difficile scienza.
Oggi il pensiero di tutti gli italiani si rivolge commosso alle vittime del feroce destino e ai superstiti per i quali il dovere della solidarietà umana si manifesta già in una gara generosa.
Il compito dei forti abitanti delle province di Bergamo e di Brescia è segnato in una parola sola: ricostruire!

Contrasti di luci e divisioni
(…) Al valico della Cantoniera, a 1200 metri sul mare, dove il confine della provincia di Bergamo tocca quello di Brescia, si ha la prima visione dei luoghi del disastro. La strada, con fantastici tourniquets scende verso dove sino all’altro ieri sorgeva Dezzo di Colere. La valle è angustissima. Non è una valle, non è una forra, è uno spacco, un canion profondissimo. Sulla faccia della parete di destra sono intagliate nella roccia due strade arditissime. L’una da sud a nord scende verso Dezzo, risalendo il corso del fiume; l’altra da Dezzo andava a (…), e correva nel basso, ove non ” luce mai il sole ” ed era detta la “Via Mala” italiana. Là giù, in quel solco, sono passati 8 milioni di metri cubi d’acqua, con fanghi, materiali e cadaveri umani, alla velocità di oltre 60 chilometri all’ora, dopo la distruzione di due centrali e di una intera ridente borgata. Pare un sogno.

Lungo la via del dolore
Le nuvole violacee che nel primo mattino ricoprono come un drappeggio funebre il tragico anfiteatro dei monti sono dileguate ad un tratto – come per incanto – sotto la forza di un vento invisibile.
E il primo sole di dicembre è sceso tiepido e carezzevole sulle creste ferrigne, ad illuminare stranamente la distruzione compiuta dal fiume micidiale…

Impressionanti episodi
Un povero mutilato di guerra – certo Pellegrinetti – riuscito a salvarsi dal fiume – è poi morto impazzito per lo spavento, invocando la moglie, morta nel crollo della casa.
Certo Aguzzi – impiegato alle Ferrovie – è riuscito a salvarsi in modo miracoloso, aggrappandosi a dei galleggianti: sì è quindi afferrato ad un albero, e trascinato nuovamente nelle acque, è riuscito a portarsi carponi a riva.
Decresciute le acque e fu raccolto svenuto presso il cimitero di Darfo. Un altro – certo Lambertenghi, salumiere – è rimasto impigliato lungo tempo ai ganci della sua bottega, e questo ha costituito la sua salvezza. Ma gli episodi sono infiniti ed è impossibile esercitare un controllo su quanto ci viene riferito.
Il sindaco di Darfo, cavalier Romagnolo, è stato testimonio oculare della calata – fra rombi e tuoni – della grande valanga. Si trovava sul ponte, e ha fatto appena in tempo a mettersi in salvo e a salvare alcuni bambini, che si recavano a scuola. È stato – ci dice il sindaco – una cosa mostruosa. In cinque minuti tutta una parte della frazione di Corna è crollata.
Le case si sono staccate ad un tratto come fuscelli, in balìa dell’orrenda corrente.
Il rigurgito dell’Oglio ha fatto rifluire contro il corso del fiume alcuni cadaveri che sono andati ad arenarsi lontano. La popolazione superstite è fuggita. Una grande squallore subentrò poi in tutto il paese. Per tutta la giornata di sabato gli abitanti del capoluogo si rinchiusero nelle loro case istupiditi dal terrore. Pioveva, i primi soccorsi giunsero nel pomeriggio e nella serata.
I volontari della Milizia Nazionale – accorsi da Lovere e da Breno -, i pompieri e gli alpini continuarono tutta la notte ad esplorare, sotto la pioggia, con torce a vento, la desolata frazione, per recare aiuto ai superstiti.
Nella serata sono stati fatti piantonare per precauzione i locali dell’Unione Bancaria e della succursale della Banca mutua popolare di Bergamo.

Le responsabilità
Le autorità per ora si occupano del riconoscimento e della tumulazione delle vittime, del ripristino dei servizi pubblici, dei soccorsi più urgenti ai superstiti, ma in un secondo momento raglieranno e accerteranno le eventuali responsabilità.
Fra qualche giorno il Commissario di P. S. di Breno, entro la cui giurisdizione è avvenuto il disastro, raccoglierà elementi in proposito.
Circola la voce che la diga avesse già presentato, in passato, crepe pericolose, per cui fu necessario ripararla, con migliaia e migliaia di sacchi di cemento, e che il sorvegliante delle paratie si fosse nuovamente accorto di recente della sua poca la solidità.
Ad Angolo un ponte vecchissimo presenta intatta l’armatura centrale.
La strada è completamente diroccata per sei chilometri circa, nel confine tra Bergamo e Brescia, fino ai prati di Angolo. La popolazione di questi paesi – come ci diceva il sindaco di Darfo – si può dividere in due elementi: agricoli e industriali.
Occorreranno diversi anni per la sistemazione delle campagne distrutte e per la creazione e riattivazione di nuove industrie.
Famiglie ricchissime sono state gettate nella miseria.

La visita del Re
Bergamo, 3.
Il treno reale è giunto stamane alle 10.45 nella stazione di Pisogne posta di contro a Lovere. Il Re era accompagnato da S.E. Carnazza, ministro dei LL. PP. e da S. E. Finzi, sottosegretario agli Interni. Fra le autorità riunite a riceverlo è accorso S. E. Bonardi, sottosegretario alla Guerra e deputato della circoscrizione bresciano-bergamasca, comandante le legioni lombarde, l’onorevole Farinacci ed il console Turati di Brescia.
S. M. il Re in automobile è venuto sino a Darfo. Disceso dove cominciano le rovine di Corna, frazione di Darfo, ha percorso a piedi tutta la plaga danneggiata. Davanti alla Ferriera di Voltri sono ad attenderlo i dirigenti. L’onorevole Bonardi presenta a S. M. il direttore che accompagna il Re a traverso lo stabilimento nella visita delle parti più danneggiate. Il Re sosta dov’erano i due ponti sul Dezzo e con il sussidio di alcune fotografie precedenti al disastro ricostruisce mentalmente tutta la portata della fasciamento. Impressionante è la posizione degli enormi macigni di (…) dal monte e rotolati sulle case de La Corna schiacciandole. S. M. elogia l’opera dei fascisti di Lovere primi nel soccorrere e nel ricostruire.
Dopo la visita, senza una sosta di riposo, risale in auto, si dirige su Lovere passando sul versante bresciano. Lovere è tutta inbandierata a lutto. Sul lungo lago stanno schierati fascisti e alunni di scuole e convitti con la popolazione. Le automobili reali attraversano la città e si dirigono su per Val Borlezza. S. M. Il Re ha voluto recare lo stimolo della sua presenza in tutti i luoghi colpiti dal cataclisma idrico.
Il tempo è grigio. Prima di Clusone comincia a piovere. Sotto Castione della Presolana la pioggia si trasforma in neve. Il Re seguita a restare nella auto scoperta.
Prima della Cantoniera della Presolana, su una macera, una monta amara con due bambini, un maschio ed una femmina (…) la neve per sventolare due bandiere (…) fatte alla bene e meglio con la carta colorata, e per mostrare all’augusto ospite un pezzo di carta sul quale la bimba, la maggiore dei due, ha scritto, e lo mostra orgogliosa, ” Evviva al Nostro Re “. Cara e brava bimba della montagna, quel tuo errore di ortografia ci dice la spontaneità del tuo augurio. Noi sappiamo che tutti i bimbi e le bimbe d’Italia sentono come te, specialmente in montagna, e mentalmente corriamo dai bimbi di quel lontano Abruzzo che amano il Re e l’Italia con la schiettezza di tutti i montanari. Ma la giù la Natura punto (…) di disastri, non dà a quei i bimbi e ai loro padri la ricchezza di pascoli e l’eternità di verde di questi monti bergamaschi bresciani.
Autore : Redazione