00:00 29 Novembre 2006

Speciale: la CATASTROFE della DIGA DEL GLENO

Una tragedia datata 1923 quando la diga, mal costruita, crollò pochi mesi dopo il suo completamento, uccidendo centinaia di persone.

La diga del Gleno, o meglio quanto resta della diga tragicamente crollata all’inizio del XX secolo, si trova in Valle di Scalve, nelle Prealpi Orobie in provincia di Bergamo.
Questa tragedia avvenuta il 1° dicembre 1923 si può senz’altro paragonare a quanto successo nella tristemente famosa valle del Vajont ma, mentre la diga del Vajont è rimasta praticamente intatta, e oggi chi si reca in visita può solo immaginare ciò che accadde, al Gleno non occorre immaginare nulla: basta guardare i resti dello sbarramento alti una quarantina di metri per rimanere sgomenti.

Ma come si arrivò ad una simile tragedia che costò la vita a centinaia di persone?
La diga del Gleno era stata ideata per raccogliere in un bacino alla quota di 1548 m le acque dei torrenti Povo, Nembo e affluenti. L’immenso sbarramento era lungo 260 m, aveva una profondità variabile, una capacità di 5-6 milioni di metri cubi di acqua al massimo invaso e una caratteristica che lo rendeva unico al mondo: era l’ esempio esistente di diga mista gravità e ad archi multipli.

I lavori dello sbarramento iniziarono il 5 luglio 1917 e all’inizio
il progetto prevedeva la costruzione di una diga a gravità con un muro dello spessore di 30-40 m ma poi il progetto subì una radicale modifica: si pensò infatti di costruire una diga mista, cioè composta da una parte a gravità e una parte formata da 25 archi di calcestruzzo.

Una tipologia costruttiva unica al mondo con un tampone centrale che chiudeva la stretta del torrente e una serie di 25 archi in calcestruzzo armato, alcuni centrali, altri laterali, infissi nella roccia viva dei due fianchi della vallata.

La ragione di tale variazione, oltre a quella di aumetare l’altezza della diga era senz’altro economica: la nuova struttura infatti prevedeva un notevole risparmio essendo molto più leggera e “snella”. La costruzione proseguì in maniera spedita tanto che le autorizzazioni e i controlli seguivano i lavori invece di precederli.

La costruzione di quest’opera richiese il lavoro di gran parte della popolazione locali, donne e bambini compresi; venne ultimata alla fine dell’estate del 1923. Immediatamente dopo il termine dei lavori iniziò il graduale riempimento del bacino, accompagnato da inequivocabili segnali premonitori di gravi problemi strutturali e di tenuta della diga, in primo luogo cospicue perdite di acqua attraverso la muratura. Incredibilmente non vennero in alcun modo presi in considerazione.

Il 1° dicembre 1923 alle 7.15 del mattino il guardiano che si trova ai piedi della diga nella parte centrale sente un rumore come di precipitare di sassi…è l’inizio del crollo. Fortunatamente riesce a rifugiarsi sul tratto di diga costruito sulla roccia (l’unico a restare intatto) quando da uno degli speroni centrali si apre una vasta spaccatura verticale: crolla il pilone centrale. Si riversano così da una altezza di 60 m cinque milioni di metri cubi di acqua nella valle sottostante svuotando il bacino in meno di un quarto d’ora.

In pochi attimi vengono cancellate persone, case e le comunicazioni con la valle. La massa d’acqua, dopo il primo boato, prosegue la sua corsa fatale radendo al suolo le frazioni di Dezzo e Bueggio, si incanala nell’orrido della via Mala sfociando con rinnovata forza nella bassa Val Camonica. La furia dell’immane fiumana si placò solo nel lago d’Iseo a 30 Km di distanza, dove vennero recuperate 48 delle oltre 500 vittime.

A seguito delle indagini svolte per chiarire le cause della tragedia, una perizia stabilì che le cause del crollo erano riconducibili a tre fattori concomitanti: ossia all’insufficienza statica della muratura di fondazione, all’insufficiente dimensione e resistenza della compagine muraria rispetto agli sforzi di sollecitazione cui era sottoposta, alle incerte superfici di appoggio sulla roccia. In poche parole, il tampone, costruito con un impasto di malta era fatto male e presentava perdite di acqua in continuo aumento, mentre la muratura fatta in calce locale “dolce” oltre a non offrire alcuna presa con la sua porosità assorbì una quantità d’acqua tale da crollare su se stessa.

Le indagini e il processo, concluso con la condanna del progettista e del costruttore, non lasciarono adito i dubbi:il crollo fu provocato, come si può leggere dalla sentenza del 4 luglio 1927, da “(..)negligenza e imperizia…(…) procedendo alla costruzione medesima in modo affrettato, usando materiali inadatti per se stessi o per ragioni di economia male manipolati(…)”

Si ringrazia il sito www.scalve.it
Autore : Sofia Fabbri (Geologa)