00:00 17 Ottobre 2012

Quando il “cuscino” non basta a far nevicare

Le avventure del "cuscino freddo" padano.

Grazie alla sua posizione incastrata tra Alpi ed Appennino, la Valpadana beneficia spesso in inverno (nell’ultimo decennio più spesso che in quello precedente) di episodi nevosi sino in pianura. Il merito va al famoso cuscino d’aria gelida che viene formandosi in seguito ad afflussi più o meno intensi di correnti fredde di origine artica o polare continentale.

A questo cuscino va poi sovrapponendosi l’aria umida e più mite che giunge dall’Atlantico o dal Mediterraneo favorendo le classiche nevicate di addolcimento di cui abbiamo già ampiamente parlato su MeteoLive in questi anni. In questa occasione vogliamo aggiungere qualche osservazione in più per stimolare i lettori alla riflessione. Naturalmente più è intensa e duratura l’avvezione fredda, più ci si aspetta che le precipitazioni rimangano nevose per tutta la durata dell’episodio perturbato di addolcimento o perlomeno per gran parte di esso, invece non sempre è così. Tutto dipende se la massa d’aria mite è accompagnata da correnti deboli o intense, se il cuscino viene rovinato prima in quota o prima al suolo. Insomma la letteratura sull’argomento potrebbe arricchirsi di molti interessanti episodi, alcuni anche molto diversi gli uni dagli altri.

Illustriamo allora brevemente due casi, uno più classico, l’altro solo un po’ meno:

1 l’avvezione calda può intervenire rapidamente al suolo quando il gradiente barico è significativo: isobare fitte che sottendono il passaggio di un minimo di pressione, richiamo sciroccale vigoroso che penetra nei bassi strati su gran parte della Valpadana erodendo il cuscino da est verso ovest, fine a lasciare il solo Piemonte occidentale ancora sotto la neve in poco meno di 24 ore dall’inizio dell’episodio.

Una situazione simile ma più difficile da cogliere riguarda il cedimento subdolo di uno strato d’aria a livello collinare con propagazione del riscaldamento graduale agli strati inferiore in virtù di una corrente di ritorno debole da nord, leggermente foehnizzata. E’ il caso della sciroccata sulla pedemontana che si mangia via il freddo anche negli strati bassi con il passare delle ore, usufruendo proprio del meccanismo descritto

2 al suolo il gradiente barico risulta abbastanza modesto, il minimo di pressione che accompagna il passaggio frontale è blando, l’aria al suolo rimane fredda, alla media quota c’è Libeccio, nei bassi strati un debole ed innocuo scirocco. Ovviamente in questi casi i fenomeni si sviluppano preferibilmente lungo un asse Liguria centro-orientale, Piemonte orientale, Lombardia, Emilia-Triveneto, e tutta la colonna d’aria sembra tenere. In quota però la corrente prevalente è da ovest e da ovest affluisce sempre aria molto mite. La colonna d’aria viene allora intaccata negli strati medio-alti, in genere proprio all’altezza della superficie isobarica degli 850hPa, cioè attorno ai 1500m, dove si passa rapidamente da valori sotto lo zero a valori prossimi allo zero.

Se si è fortunati si realizza un lungo e delicato strato verticale isotermico che va dal suolo a 1500m e la neve continua a cadere al suolo, se invece in quota l’avvezione mite prosegue cattiva il destino è quello della trasformazione in pioggia che, in presenza di basse temperature nei bassi strati, può ovviamente congelare al suolo, ma che non diventerà mai più un fiocco di neve.

Statisticamente e oggettivamente la colonna d’aria resiste comunque meglio tra Piemonte ed ovest Lombardia, con l’Adda spesso a fare da spartineve. Qui però entriamo in un campo minato che esula dall’argomento che volevamo trattare in questa occasione. Dunque le correnti da ovest tese in quota sono decisamente antipatiche e possono compromettere anche alle quote superiori l’integrità del manto nevoso appena accumulatosi, per questo le stazioni sciistiche poste alle quote inferiori le temono particolarmente, alla pari delle sciroccate più tremende, che piegano facilmente la resistenza di tutta la fascia prealpina centro-orientale.

Ben diverso il discorso nelle vallate alpine superiori, che godono di un microclima particolare lungo tutto il profilo verticale dell’atmosfera che va da 1000-1200m a 2000m e passa metri, e in definitiva, pur con qualche patema, lì si riesce a "portare a casa" la neve dal primo all’ultimo minuto dell’episodio perturbato. Badate bene però: se la corrente mite è veramente sadica la pioggia può cadere anche a quote molto alte.

Autore : Alessio Grosso