00:00 23 Gennaio 2012

Lasciateci chiamare “chimica” la neve dalla nebbia, almeno quella della Valpadana

Poveri italiani: sbagliano sempre. La verità scientifica deve essere necessariamente in mano ad un ristretto gruppo di persone.

Devo ringraziare Climalteranti perchè in passato mi hanno fatto pubblicità addirittura dedicandomi un capitolo di un saggio. Ora tornano all’attacco, capitanati in questo caso dal signor Luca Lombroso, che grida allo scandalo perchè, a suo dire, sarebbe stato usato impropriamente e in maniera fuorviante il termine di nevicata chimica, per motivare i fiocchi padani dalla nebbia riscontratisi negli scorsi giorni, peraltro un vago ricordo ormai per quasi tutta la popolazione, che ha ben altro da pensare che a 4 fiocchi di neve in croce, per giunta industriale. 

Si lamentano nel pezzo che l’espressione sia errata, soprattutto perchè a pronunciarla non è stato qualche guru, ma è arrivata dal basso, dai siti etichettati in maniera spregiativa come "commerciali" o addirittura "amatoriali". I fatto che non si trovi nulla di simile in Francia, in Spagna o nel nobile Regno Unito non ci spaventa affatto. Nessuno ha un inquinamento pari a quello della Valpadana in Europa.

Che la neve derivante da nebbia sia composta prevalentemente da acqua non mette assolutamente in discussione il termine "industriale o chimico" che gli è stato attribuito. Certo, sono gli stessi inquinanti che piombano al suolo con la pioggia, infatti per mangiare un’insalata coltivata in Valpadana occorre coraggio.

In presenza di nebbia fredda, sappiamo benissimo che il rimescolamento indotto da una lieve ventilazione produce lievi moti verticali in grado di provocare la breve caduta di fiocchi di neve, ma ogni qualvolta il fenomeno si verifica nei pressi di una fabbrica (celebre il caso di Paullo-Melegnano del gennaio 89) il quantitativo di neve è assai superiore, sino a raggiungere accumuli anche di 5-10 centimetri e a questo sicuramente contribuiscono i nuclei di condensazione offerti dai vapori e dalle polveri emesse dai siti industriali, che favoriscono un incremento della coltre nebbiosa.

E’ la nebbia in sè dunque ad essere "malata", "inquinata", prima ancora che la precipitazione naturale che si genera in essa.  Il processo di Bergeron-Findeisen è certamente ben noto, con le particelle di ghiaccio che si ingrossano a spese di quelle di acqua e, con l’effetto di turbolenza già descritto, collidono tra loro e formano fiocchi di neve, ma è la densità, la compattezza dello strato nebbioso che insiste vicino alle fabbriche ad esaltarne il fenomeno.  E chi se ne importa se "l’Accademia della Crusca del meteo" definisce il termine improprio, diamo spazio al libero pensiero scientifico.

La nebbia congelante precipitante è composta in prevalenza da aghi di ghiaccio e molto più raramente si osservano veri e propri fiocchi ramificati o dendritici, cosa che invece avviene molto più facilmente vicino alle fabbriche, in presenza di temperature molto basse.  

 

Autore : Alessio Grosso