00:00 26 Gennaio 2003

La Primavera “della merla”

La statistica ci dice che, almeno per il Centro-Nord, la fine di gennaio rappresenti un momento di stasi invernale, in attesa del freddo e la neve di febbraio

Questo periodo dell’anno, coincidente con i cosiddetti “giorni della merla” dovrebbe essere secondo molti il periodo più freddo dell’anno. Per qualche zona dell’Italia come l’Appennino Meridionale questo discorso può essere certamente valido, ma per le pianure e le vallate del Centro-Nord non tanto. E’ un dato di fatto che statisticamente la terza decade di gennaio rappresenti al contrario il primo vero momento di crisi dell’inverno.

La radiazione solare dopo il 20-25 gennaio cresce inesorabilmente. Le giornate si allungano molto più rapidamente rispetto alle prime decadi del mese e il disco solare sale sull’orizzonte. A fine gennaio il sole di mezzodì ha già riguadagnato quasi 6° di inclinazione e non sono pochi: praticamente al Brennero intorno al 30-31 gennaio il sole raggiunge un’altezza pari a quella che era stata raggiunta a Napoli il 21 dicembre, giorno del solstizio di inverno, ma con una durata del dì maggiore di una trentina di minuti (rispetto alla durata del dì riferita a Napoli il 21 dicembre).

Le massime al Nord lievitano in tutte le località di pianura e dai 4-5 gradi di massima si arriva tranquillamente agli 8-9 (anche molto di più se intervengono episodi favonici che a fine gennaio sono più frequenti). Al Centro questa crescita è molto meno evidente perché comunque le massime sono ben più elevate già all’inizio di gennaio. All’estremo Sud invece la temperatura continua a calare per raggiungere il minimo ai primi di febbraio (praticamente con un mese di ritardo rispetto alle pianure del Nord) causa il ritardo del raffreddamento delle acque marine quindi una minore influenza mitigatrice dei mari. Forse il detto sui “giorni della merla” si riferisce a qualche zona dell’Appennino Meridionale?

In questo periodo predominano spesso fasi anticicloniche subtropicali su tutta Italia. La luminosità aumenta e l’atmosfera magica del vero inverno sembra degradare verso squallidi e noiosi anticipi di primavera (almeno per chi ama l’inverno come la maggior parte degli appassionati di meteorologia).
La radiazione solare è la stessa di quella che c’è a metà novembre anche se si ha l’impressione che le giornate siano molto più lunghe perché il mezzogiorno locale ritarda notevolmente rispetto all’autunno. Il vero inverno, quello con le giornate corte e il sole basso sembra dunque essere quasi un lontano ricordo.

Termina il cosiddetto inverno di serie A ed ha inizio l’inverno di serie B? Non sempre. Infatti a fine gennaio non sono ancora avvenuti quegli importanti “sconvolgimenti climatici” propri della seconda parte dell’inverno o della primavera per cui la situazione barica risulta ancora statica e l’aumento della temperatura, molto più riscontrabile sulle pianure continentali del Nord, è una conseguenza della sola situazione astronomica.

La seconda fase dell’inverno, a mio parere, è completamente diversa dalla prima: molti anni fa lessi un articolo di Edmondo Bernacca in cui si diceva che con l’aumento della radiazione solare il fronte polare subiva molte più oscillazioni meridiane e conseguentemente aumentavano di più gli scambi di calore fra le alte e le basse latitudini. Il freddo di febbraio, quando si verifica, è notevole ed è dovuto soprattutto al fatto che le masse di aria di origine artica sono particolarmente fredde, più che in dicembre e inizio gennaio. Non si tratta dunque di un freddo che si forma sul posto semplicemente per scarso apporto di radiazione solare. Tuttavia i mesi di febbraio statici e caratterizzati da persistenza di anticicloni purtroppo non sono stati rari negli ultimi venti anni e il caldissimo e malsano febbraio 1990 (per il Nord) è l’esempio più evidente: in quell’inverno da dimenticare, dopo la primavera natalizia del dicembre ’89 e un gennaio mite atlantico la persistenza di un anticiclone sul Centro-Nord fece superare i 20° in quasi tutte le località del Centro-Nord.

Il passaggio dalla staticità di fine gennaio alla dinamicità di febbraio, quando si verifica, avviene durante la prima quindicina di giorni del mese: se predomina l’Atlantico il flusso zonale tende ad ondularsi e si hanno calate di freddo dalla valle del Rodano e conseguenti invorticamenti sull’Alto Tirreno. In altri casi, sempre tra febbraio e inizio marzo un promontorio anticiclonico può fondersi con le alte pressioni che stazionano sulla Russia o ad Est della Scandinavia tirando giù aria artica in grado di formare ed alimentare nuclei depressionari sul bacino del Mediterraneo con abbondantissime nevicate sui rilievi appenninici. A parte le annate memorabili come il 1929 e 1956, episodi di questo genere si sono verificati varie volte in febbraio, come nel 1986, 1991, 1999 e all’inizio di marzo, nel 1971.

Si fatica invece a trovare periodi di freddo eccezionale durante la terza decade di gennaio, eccezion fatta per il 1963 e per il 1999, anno in cui si ebbe un anticipo del “freddo di seconda fase” già durante gli ultimi giorni di gennaio.

Per concludere, la data delle nevicate in pianura nelle località del Centro-Sud può essere un indice di queste irruzioni fredde. La maggior parte delle nevicate di un certo rilievo su Roma negli ultimi 100 anni (per una località dove la neve è rara bisogna considerare intervalli di tempo molto lunghi) è avvenuta in febbraio, a fine dicembre o la prima metà di gennaio ma mai alla terza decade di gennaio: è solo un caso?
Autore : Alberto Bulgarelli