00:00 8 Marzo 2011

La NEBBIA e la NEVE, è proprio un rapporto così difficile?

Spesso la nebbia invernale che giace in pianura può dare una percezione errata della reale temperatura della massa d'aria a causa dell'inversione termica che si viene a creare nei bassi strati. Con l'arrivo di una perturbazione l'inversione si smantella e i termometri possono salire allontanando le probabilità di avere neve al suolo. Non sempre però è così, vediamo cos'altro può accadere.

Solitamente la neve, quella bella, asciutta, quella che imbianca come farina e non soffre al contatto con il suolo, è quella che arriva dopo un pregresso afflusso di aria fredda e secca di origine settentrionale, polare o artica che sia. In questa situazione la colonna d’aria che ci sovrasta mostra un profilo termico verticale che scende piuttosto rapidamente e in modo regolare (profilo adiabatico).

Orbene, se l’atmosfera secca è prerogativa delle masse d’aria fredda, quella umida si ricollega ad afflussi di aria più mite o al ristagno di masse inerti appoggiate ai bassi strati, come quelle che giacciono sulle grandi pianure. Lo spessore verticale di questo cuscino inerte varia da caso a caso e può precedere o meno un successivo evento nevoso; in generale si può affermare che, laddove l’inversione nebbiosa abbia tratto origine dalla precedente presenza di un anticiclone di robuste proporzioni, tale strato assume caratteristiche lamellari dal suolo fino a poche decine di metri, mentre al di sopra l’inversione dinamica dovuta alla compressione anticiclonica scalda la massa d’aria con forte sbalzo termico e temperature che aumentano fortemente salendo di quota.

E il caso della "nebbia calda"; in questo frangente al suolo le temperature possono anche mantenersi prossime allo zero nelle prime ore del mattino, poi il rimescolamento dovuto alla radiazione solare tende a distruggere il blocco miscelando l’aria e facendo alzare anche notevolmente le temperature al suolo nelle ore diurne, per poi ricostituirsi la notte successiva ripetendo il ciclo. In questo caso, qualora intervenisse la copertura nuvolosa legata ad una perturbazione, la nebbia presente negli strati immediatamente prossimi al suolo non garantirà la tenuta del cuscino freddo, anzi molto probabilmente l’inversione verrà smantellata e le temperature al momento opportuno saliranno portandoci la pioggia.

C’è però un altro caso, nel quale la pregressa presenza di strati nebbiosi può preludere ad una prossima nevicata. E’ il caso della "nebbia fredda". Ciò avviene allorquando l’inversione termica prende il sopravvento su quella dinamica, ossia quando una precedente avvezione fredda, non schiacciata al suolo dalla presenza di un potente anticiclone, tende a far ristagnare inerte sulla nostra pianura un notevole spessore d’aria.

Questa poi, con il passare dei giorni, tende a umidificarsi creando strati nebbiosi o nuvolosi con limite verticale anche di oltre 1000 metri. In queste condizioni neanche il sole riuscirà a penetrarvi e a volte può anche presentarsi il fenomeno della galaverna. Il profilo verticale dell’atmosfera ci mostrerà allora una colonna d’aria interamente al di sotto dello zero dal suolo fino al limite superiore dell’inversione. Al di sopra di tale limite la temperatura dell’aria tornerà a scendere secondo il normale andamento adiabatico con valori, naturalmente, sempre al di sotto dello zero termico. In questo caso il nostro strato di "nebbia fredda" potrà quindi fare il miracolo: nel caso una perturbazione venga a transitare sulla zona di nostro interesse andrà a smantellare l’inversione ma l’intera colonna d’aria risulterà comunque con valori al di sotto dello zero permettendo alla neve di arrivare sana e salva fino al suolo.

Autore : Luca Angelini