00:00 24 Aprile 2009

Il TORMENTONE del clima che cambia, cosa quadra e cosa non quadra? Quanto c’è di vero? Cosa fare? Cosa non fare?

Riflessioni di Alessio Grosso su modelli climatici, global warming, allarmismo e business.

Che dire del monito lanciato dall’IPCC circa il rischio di un aumento di ben 5°C della temperatura globale entro il 2100?

La base scientifica di tale scelta è ovvia: modelli climatici sofisticati stanno lavorando da vent’anni e più e non riescono a condurre gli scienziati a concordare su qualcosa di più che sul possibile legame fra gas serra e lieve aumento delle temperature medie globali osservato.

Il numero di nodi che debbono essere sciolti nelle parametrizzazioni del bilancio radiativo è grande, anche se risultati apparentemente realistici possono essere ottenuti senza grande forzo intellettuale.

Inoltre i modelli non considerano il feed-back fra variazioni nell’uso e nella gestione del suolo e la circolazione atmosferica ed è in parte per questa ragione che essi non concordano sui campi di precipitazione previsti. E per la produzione mondiale di cibo è molto più importante la variabilità delle precipitazioni che un lieve aumento della temperatura.

Perché così difficile prevedere con 50 anni d’anticipo le precipitazioni? Gran parte delle precipitazioni delle medie latitudini sono associate a sistemi depressionari che si muovono lungo traiettorie imposte della correnti a getto. I mutevolissimi meandri delle correnti a getto si sviluppano al limite esterno della grande calotta d’aria fredda che è centrata sui poli.

Gli specialisti chiamano questa calotta con il nome di Vortice Polare ed hanno chiamato Oscillazione Artica il comportamento sinuoso delle correnti a getto nell’emisfero Nord. Purtroppo la linea di ricerca principale in meteorologia dinamica rifiuta di studiare l’evoluzione lenta della circolazione generale. E’ infatti divenuto talmente facile far girare i Modelli Globali su supercomputers che molti scienziati stanno alla larga da argomenti come lo studio di dettaglio delle interazioni fra vortice polare e oscillazione artica.

Se dunque non esiste ancora una rudimentale teoria che descriva l’evoluzione nello spazio e nel tempo del vortice polare ed ancora meno una relazione definita fra concentrazioni crescenti di gas serra e variabilità nell’oscillazione artica, non esiste la possibilità di fare previsioni circa l’evoluzione futura dei campi di precipitazione.

E’ appena il caso di ricordare che non vi sono studi approfonditi circa il modo in cui piccoli errori nel software agiscano sui valori medi di alcune variabili di output fra 50 anni. A qualcuno gli allarmi sul clima fanno decisamente bene, agli assicuratori ad esempio. Lo si ricava dai bilanci Sigma, resi noti dal riassicuratore zurighese Swiss Re (la riassicurazione consiste nell’assicurare altre società assicurative).

Gli ultimi 3 anni hanno infatti visto un notevole calo in danni e vittime provocati da catastrofi naturali. Agli assicuratori le calamità naturali sono costate 11,8 miliardi di dollari, ma considerando gli ultimi venti anni, gli ultimi tre anni sono risultati i MENO COSTOSI in termini di sinistri assicurati, scrive Swiss Re.

Il livello relativamente basso degli oneri sostenuti per i sinistri è attribuito in primo luogo a stagioni abbastanza tranquille sul fronte degli uragani negli Usa e all’assenza di grossi sinistri in Europa. Il colosso zurighese ha ammesso che buona parte di questo aumento lo si deve proprio alla diminuzione delle catastrofi naturali.

Certamente sarà importante mantenere alta l’aspettativa di un aumento delle calamità dovute al riscaldamento globale così da spingere più cittadini e società ad assicurarsi e contemporaneamente giustificare l’aumento dei premi assicurativi. Gli allarmismi servono anche a questo.

Vorrei aggiungere alcuni dati su cui riflettere e far riflettere chi associa sempre e comunque tempeste ed uragani al riscaldamento globale su base antropica: l’anno con il maggior numero di uragani fu il 1886; l’uragano più “precoce” risale al 7 marzo 1908 e l’uragano con la maggior depressione: 892 mb è ancora quello del “Labour Day” 1935. Il numero di uragani per anno a partire dall’anno 1900 è stato più o meno costante, ma a partire dalla fine degli anni ’50, questo numero è calato progressivamente. Oggi si registrano (per anno) solo i tre quarti degli uragani che si verificavano agli inizi del secolo scorso e ben il 30% in meno (per anno) toccano terra.

Ritengo utile citare le parole del direttore del National Hurricane Center americano, Max Mayfield, “è vero che l’Oceano Atlantico sta vivendo un ciclo di accresciuta attività per quanto riguarda gli uragani, simile al ciclo vissuto nel ventennio tra gli Anni Quaranta e i Sessanta. Si tratta però di un ciclo naturale in cui si alternano fasi di intensa attività con altre di maggiore quiete e dunque rifiuto la tesi secondo cui l’aumento degli uragani sia da collegare al surriscaldamento del pianeta”.

Anche la letteratura in un certo senso ci consegna scritti rassicuranti: grandi personaggi che raccontano di condizioni climatiche estreme già in tempi non sospetti, prima della rivoluzione industriale, caldo, freddo, sole, neve, le lamentele sul tempo ci sono sempre state.

Ci sono oltretutto molte incertezze sul rilevamento dei dati di temperatura: molte stazioni rurali sono diventate cittadine o sono state chiuse, nel passato i dati raccolti non avevano certamente l’affidabilità di quelli attuali.

Il politecnico di Zurigo ha inoltre sentenziato, quello che già si sospettava: è la diminuzione delle nevicate sulle Alpi, dovuta soprattutto ad una sostanziale mutazione delle configurazioni bariche sull’Europa, più che l’aumento generale delle temperature medie, a provocare l’arretramento dei ghiacciai.

Si dice che la maggioranza della comunità scientifica giudichi importante il contributo dell’uomo nel riscaldamento antropico. Si dice che il riscaldamento attuale potrebbe essere senza fine portando il mondo sull’orlo di migrazioni di massa, guerra, carestia. Si dice che l’Oceano si solleverà di oltre un metro, non si dice però che i risultati della scienza non si conquistano a maggioranza e che la minoranza è costituita da migliaia di altri scienziati molto vicini numericamente alla maggioranza, non si dice che i satelliti che registrano la temperatura dell’aria senza essere influenzata dagli ambienti “urbani” non mostrano alcun importante aumento termico negli ultimi anni.

Non si dice che l’aumento termico dalla fine della piccola era glaciale, nel 1850, è di soli 0.8°C e che è bastata la sola irruzione del vulcano Pinatubo per abbassare la temperatura di 0.2°C. Non si dice che nell’ultimo decennio la temperatura è calata di circa un decimo di grado su scala globale.
Non si dice che le glaciazioni hanno comunque un ciclo di 100.000 anni, non si dice nemmeno che le temperature più alte mai registrate in Spagna, Finlandia, Usa, Alaska e Argentina furono registrate tutte in data anteriore al 1915 e la temperatura più alta mai registrata al mondo risale al 1922 in Libia.

Non si dice che in Germania la temperatura più bassa è stata registrata nel 2001! Non si dice che è stato dimostrato che il freddo ha un’incidenza doppia di mortalità rispetto alle condizioni di caldo estremo. Non si dice che l’innalzamento degli oceani potrebbe trovare l’uomo già preparato come accade in Olanda, certo in Bangladesh non sarà così, ma qui c’è un problema di povertà che va affrontato alla radice.

Dall’ultima glaciazione è vero che l’oceano si è sollevato di 100 metri ma ora potremmo anche essere vicini ad una inversione di tendenza se solo si instaurasse un processo di retroazione con conseguente aumento della quantità di neve che cadrà nelle zone artiche. Non si dice inoltre che il Mediterraneo negli ultimi anni è calato di oltre 2 centimetri. Si dice che in atmosfera sono presenti 3000miliardi di tonnellate di CO2, che l’uomo ne immette ogni anno 20 miliardi, ma non si dice ch l’applicazione del Protocollo di Kyoto equivarrebbe a ridurle solo di 0.5 miliardi. Molti dicono è un primo passo: ma, citando il Prof Battaglia potremmo dire che “anche salire su uno sgabello è il primo passo per avvicinarsi alla luna”.

Non si dice che i costi del famoso Protocollo sono di 150 miliardi di dollari all’anno: con metà di quella cifra potremmo garantire acqua potabile ed assistenza sanitaria e istruzione a milioni di persone. Le variazioni di temperatura non sono l’unico evento che preoccupa oggi. Negli ultimi 20 anni i fiumi dell’Europa centrale sono stati interessati da molte piene, tra cui quella dell’agosto del 2002 che, a causa del restringimento dell’alveo, hanno portato a danni per 10 milioni di euro. I risultati di una ricerca sulla frequenza delle alluvioni provocate dai fiumi Elba ed Oder, pubblicati su Nature, confermano comunque ancora una volta la scarsa affidabilità dei modelli di previsione sul clima futuro.

Lo studio mostra come la frequenza delle alluvioni prodotte da questi due fiumi negli ultimi 100 anni è in DIMINUZIONE, oppure non dà tendenze particolari. Questi risultati sono perfettamente compatibili con la frequenza degli eventi severi di pioggia nell’Europa centrale, eventi che non mostrano nessuna tendenza. Il risultato è molto interessante se si considera che si riferisce alla regione che fu investita da un’alluvione catastrofica nel 2002.

Dunque non è necessariamente vero che in un mondo più caldo aumenterebbero gli eventi estremi. La diminuzione della frequenza delle piene viene attribuita al fatto che gli inverni sono diventati più miti e questo comporta che i fiumi gelino più raramente così come il terreno sottostante. In effetti l’assenza di qualunque tendenza nei mesi estivi è ben correlata con il fatto che la frequenza delle piogge intense non è cambiata negli ultimi 100 anni.

Un altro risultato interessante è un aumento della frequenza delle alluvioni tra il 1500 ed il 1800, cioè in piena PEG, piccola età glaciale! Gli allarmi lanciati in occasione della piena disastrosa dell’Elba nell’agosto del 2002 non vanno quindi attribuiti ai cambiamenti climatici.

C’è però anche un grande climatologo, il Prof. RUDDIMAN che afferma: “guardate che l’influenza antropica sul clima non è un’esclusiva degli anni più recenti, l’uomo interagisce con il sistema clima da secoli”. Come forse molti di voi sanno le glaciazioni si ripetono a cicli di circa 100.000 anni e di pari passo con il freddo, in modo direttamente proporzionale diminuiscono anche le concentrazioni dei gas serra. Finita la glaciazione anche i livelli dei gas risalgono.

Secondo RUDDIMAN 20.000 anni fa, quando è terminata la glaciazione Wurmiana è accaduto un fatto strano, il processo di crescita dell’anidride questa volta non si ferma e negli anni successivi, a partire dal 5000 aumenta anche il metano. Secondo il climatologo tutto è dovuto all’attività agricola dell’uomo che ha provocato intense deforestazioni e quando l’uomo si è messo a coltivare il riso ha favorito anche l’aumento della concentrazione di metano (gas appunto delle paludi). L’aumento della temperatura indotto dalle attività agricole sarebbe così importante da scongiurare anche una piccola fase glaciale in Canada (4000 anni fa)…Secondo RUDDIMAN la diminuzione dell’attività agricola dovuta a forti pestilenze ha accentuato gli effetti della PEG, piccola era glaciale verificatasi tra il 1450 ed il 1850.

A questo punto dovremmo chiederci: dove vogliamo arrivare? Va bene ridurre i gas inquinanti, va bene non deforestare in eccesso, ma la popolazione aumenta e anche ammettendo (follia) di riuscire a limitare le nascite ad un figlio per coppia, di dimezzare i bovini e i suini, cosa dovremmo fare per vivere? La Terra ci è stata affidata affinché traessimo da lei con fatica dei frutti per il nostro sostentamento. Ammesso e concesso, ma i dubbi sono molti, come abbiamo visto, che l’uomo sia in grado di limitare gli effetti di una glaciazione c’è quasi da esserne soddisfatti. Dubbi si diceva. Beh, innanzitutto RUDDIMAN involontariamente ammette che esista un ciclo naturale del clima, e questo già ci conforta, ma diventa comunque piuttosto difficile credere che solo 100 milioni di persone 8000 anni fa siano state in grado di influenzare il clima di un intero pianeta. Possibile, si chiede una parte del mondo scientifico, che invece di vedere la regia di ogni cambiamento nell’uomo, non si cerchi di concentrare le energie sulla circolazione profonda dell’Oceano? Lo Younger Dryas ne è la prova più stupefacente.

Di colpo, quasi all’improvviso, si assiste al ritorno di un regime glaciale. E qui si chiama in causa il Nastro Trasportatore, più nota dalla gente comune come la Corrente del Golfo. Una grande quantità di acqua dolce riversata nell’Oceano ha la capacità di inceppare la corrente, perché non aumenta l’accumulo di sale e non si verifica alcuno sprofondamento.Un evento accidentale sembra aver grandemente influito in questo processo di bloccaggio: il riversamento nell’oceano di una grande quantità di acqua dolce dal Lago Agassiz, proprio per l’aumento delle temperature che ha fuso la diga naturale che lo conteneva.

Pensate se a questo evento si fosse sommato anche una scarsa attività solare, cioè una semplice diminuzione del 3% dell’intensità dell’insolazione e qualche eruzione vulcanica colossale. Vedete bene come questo ed altri mutamenti climatici improvvisi gettino dubbi sull’importanza del ruolo dell’uomo nei cambiamenti climatici.
Autore : Alessio Grosso