00:00 23 Agosto 2008

Il suicidio della scienza

Quale è lo "stato naturale" delle cose? Qual è il comportamento "naturale" di una persona? Quali i capelli al "naturale"? Quali gli animali allo "stato naturale"? Con naturale generalmente s'intende quando le cose avvengono senza che l'uomo si sforzi per di aiutarle o impedirle volontariamente, ma tutto avviene "spontaneamente" e "da solo".

Tutto ciò che ci circonda è in un sorprendente continuo divenire, in cui ogni sua parte, anche non vivente, è libera di cercar di seguire la “propria natura”. Siamo di fronte ad un sistema complesso in cui ogni parte accorda il suo cambiamento ed il suo comportamento al cambiamento ed al comportamento delle altre. La natura, proprio per questo suo presentarsi come un tutto in continuo divenire
mantenendo un ordine, spesso ha indotto molti a pensare che la stessa fosse dotata di una “mente” e/o “volontà”.

Purtroppo tale caratteristica del divenire spontaneo della natura è spesso trascurato nei programmi per il clima e/o ambientali, in rari casi esplicitamente e quasi sempre implicitamente. Un piano ambientale e/o sul clima dovrebbe prevedere i seguenti passi da svolgere con un ordine ciclico:

1. Osservare e documentare i cambiamenti nell’ambiente e/o sul clima;
2. Analizzare i dati ed estrapolare l’effetto dovuto all’azione umana;
3. Prevedere gli scenari futuri e valutare l’affidabilità dei vari scenari;
4. Valutare ed analizzare le conseguenze del cambiamento previsto su ecosistemi terrestri e marini, sugli aspetti economici, sociali, sanitari, sulla popolazione, etc;
5. Valutare con prudenza le eventuali Azioni di Risposta e Strategie di mitigazione rispetto ai cambiamenti;
6. Verificare oggettivamente i risultati delle azioni ed eventualmente correggere le politiche messe in atto al punto 5 ripartendo dal punto 1.

I punti 1, 3 e 4 sono quelli che dovrebbero essere sempre svolti da enti di ricerca autorevoli, affidabili ed indipendenti. Il punto 6 quasi sempre è trascurato. Il punto 5 riguarda le azioni di mitigazione, ad esempio il “protocollo di Kyoto”.

Interessante soffermarsi sul punto 2, che è quasi sempre ignorato. Ormai siamo assuefatti a prendere come dimostrazione scientifica della crisi ambientale il semplice mostrare un cambiamento avvenuto a distanza di tempo. Della variazione del livello di un
lago o mare in un anno, quanta parte è naturale? Dell’erosione di una costa in un decennio, quanta parte è naturale? Dell’avanzamento o restringimento di un ghiacciaio in un secolo , quanta parte è naturale? Dei presunti 0,6°C/secolo di riscaldamento globale, perché ormai è normale non domandarsi quanta parte è naturale?

E’ grazie a questa idea di “natura morta” che i mass-media ci stanno trasmettendo, che Fulco Pratesi può far credere: “L’aumento di un solo grado della temperatura dell’Atlantico sta mettendo in moto quelle energie spaventose i cui effetti si vedono nelle foto che ci giungono da tutto il mondo”. Non si parla più di studi, ricerche, dati, ma bastano le foto. Per molti ecologisti si fa scienza mostrando due immagini (satellitari o “terrestri”) a distanza di anni dello stesso posto. Queste sono necessarie e sufficienti a dimostrare che a causa dell’azione umana la costa si è erosa, il ghiacciaio si è spostato, i poli sono ormai spacciati, la foresta è cambiata, è arrivata la siccità a causa dell’incremento della
concentrazione di anidride carbonica, etc.

In realtà sarebbe un caso raro, direi unico, quello in cui a distanza di decenni la situazione di un luogo fosse identica: la “fisiologia” del pianeta è il cambiamento continuo.

Si deve tornare ad essere consapevoli che non tutti i cambiamenti sono sintomi di “patologie” del pianeta (anzi la stragrande maggioranza non lo sono), solo alcuni possono esserlo e per capirlo occorre ricorrere alla scienza e non alle foto o alle semplici correlazioni statistiche/grafiche.
Per capire cosa accade ai poli occorre finanziare un serio progetto
nazionale di ricerca e non i “fotografi ecologisti”. Non si può far credere, come in modo silente si sta facendo, che i fiumi ed i laghi una volta erano sempre allo stesso livello, le coste sabbiose immobili, il clima seguiva esattamente il calendario, i fiumi non esondavano, la siccità non esisteva, etc.

Saltando il punto 2, come avviene troppo spesso, senza discuterne
approfonditamente i motivi, si rischia di vivere continuamente “nel panico”, di non poter più cogliere con meraviglia la bellezza della variabilità ed unicità della natura, di essere portati a voler mitigare la normale variabilità naturale, di far divenire l’adattamento un dispendioso e continuo rifacimento in cui l’uomo tenta inutilmente di trasformare la natura “viva” in apparentemente natura “morta”, di voler trasformare la casa dell’uomo in un museo.

Il trascurare implicitamente il punto 2 senza che nessuno apra una seria discussione, è possibile perché è diffusa la convinzione che la natura vari solo per colpa delle azioni umane. Ma come disse Thomas H. Huxley (1825-1895): “La scienza compie suicidio quando adotta un credo”.
Autore : Fabio Malaspina, a cura di Svipop