00:00 25 Marzo 2010

I “black smokers” (camini neri) e gli “HOT SPOTS” (punti caldi) sottomarini influiscono sul clima?

Le correnti marine sempre più al centro del dibattito sul riscaldamento globale.

Gli oceani registi del film: “il clima del Pianeta”?
Magari proprio registi no, ma attori protagonisti certamente si.

E’ quanto stanno cercando di farci capire a più riprese decine di scienziati coraggiosi, che trascorrono le giornate a studiare non solo a cercare di comprendere come le anomalie di temperatura superficiali dell’Oceano possano influenzare la formazione o meno di depressioni o zone anticicloniche, e come di conseguenza vada mutando il regime pluviometrico o termico delle diverse fasce climatiche, non solo come avvengano i meccanismi di accumulo e rilascio di CO2, ma anche come certi fattori, ingiustamente trascurati, possano incidere in misura determinante sui comportamenti del clima.

Nonostante i moderni e sofisticati metodi di ricerca oggi a disposizione, gli immensi fondali marini sono considerati l’ultima terra sconosciuta del Pianeta. I satelliti forniscono immagini globali degli oceani, purtroppo distorte dallo spessore dello strato d’acqua. Però, imbarcazioni da ricerca dotate di sonar, sommergibili con equipaggio, apparecchi robotizzati e sistemi di perforazione che raggiungono grandi profondità, contribuiscono a limitare sempre più l’estensione delle superfici ancora sconosciute.

Gran parte delle eruzioni vulcaniche sul nostro Pianeta si verificano al di sotto del livello del mare; ben il 75% del magma pare sia prodotto da vulcani sottomarini.

Generalmente non lontano dai vulcani sottomarini, negli abissi oceanici, si trovano i cosiddetti camini neri, black smokers, strutture cilindriche, alte meno di un metro, da esse fuoriescono vapori molto caldi, zone di vivace attività biologica. Attorno a queste emissioni idrotermali si sviluppano infatti particolari ecosistemi abissali, in grado di sopravvivere in condizioni avverse e in assenza totale di luce.

Fu nel 79 che il sommergibile americano Alvin scoprì lo spettacolo dei camini sottomarini che eruttano come locomotive, potenti getti di acqua nera, ricchi di solfuro, facendo fondere tutti i sondini inviati per misurarne la temperatura. Si scoprì che i black smokers possono raggiungere temperature di 350 gradi e il colore dipende dalla precipitazione di solfuri, quando i fluidi idrotermali si diluiscono nell’acqua di mare.

A temperature più basse si formano delle particelle bianche di solfuro di bario, noti come “camini bianchi”.

I batteri, particolarmente abbondanti nei fluidi idrotermali con temperature inferiori ai 100 gradi, sono capaci di sfruttare l’energia prodotta dall’ossidazione di composti inorganici, come l’idrogeno solforato, per convertire il carbonio minerale dell’anidride carbonica in carbonio organico. Questi batteri, quindi svolgono una funzione analoga a quella delle piante, che utilizzano l’energia solare per la fotosintesi, fornendo così una spiegazione plausibile all’origine della vita in ambienti privi di luce.

Un primo censimento dei “camini neri” è stato definito solo un modesto passo per comprendere quanto questi sorgenti di “calore sottomarino” siano in grado di influenzare anche i “contatti” tra correnti profonde, intermedie e quelle di superficie e probabilmente interagire con la macchina climatica.

Tanto per fare qualche esempio, muovendosi verso l’equatore l’acqua di fondo diminuisce la sua densità interagendo con le altre acque e tende a risalire, in particolare a sud dell’oceano indiano.

E’ ben noto peraltro il fenomeno dell’upwelling, cioè della risalita di acque profonde, che favorisce la produttività biologica, inducendo la risalita di nutrienti minerali. Le masse d’acqua coinvolte nella circolazione termoalina trasportano sia calore che sostanze e gas.

Dunque non è affatto escluso, anzi qualcuno lo ritiene probabile, pur non sapendo quantificarne gli effetti, che anche i camini neri, oltre ai vulcani, abbiano un ruolo nell’evoluzione climatica del Pianeta.

Discorso analogo è da intendersi anche per gli HOT SPOTS, punto della superficie terrestre che presenta attività vulcanica da un lunghissimo periodo di tempo. Abbiamo già parlato su Meteolive, attraverso un articolo del Dott.Tito di quanto la fusione dei ghiacci in area artica (e nell’area della Penisola Antartica) possa trovare una spiegazione anche e soprattutto nell’intensa attività vulcanica sottomarina presente in zona.

Interessante e controcorrente anche lo studio di Anthony Koppers e Hubert Staudigel, che contraddice l´ipotesi che gli “hot spots” sottomarini si trovino in posizioni fisse. Per loro le catene degli hot spots possono cambiare direzione come risultato di processi non legati al moto delle placche.

I punti caldi censiti e attivi nell’arco degli ultimi 10.000 anni al momento sono circa 120.
Figurarsi dunque quante teleconnessioni si possono ipotizzare dalla presenza sia di questi camini naturali che dai comignoli dei black smokers.
Autore : Alessio Grosso