00:00 12 Giugno 2010

Golfo del Messico…fate presto! Sta per partire la stagione degli uragani

Il disastro ecologico nel Golfo del Messico potrebbe aggravarsi ulteriormente e in maniera incontrollabile con l’arrivo degli uragani. Stagione per fortuna in ritardo, come ormai avviene da diversi anni; ma un nuovo Katrina potrebbe rivelarsi un tragedia senza precedenti.

 
La stagione degli uragani ha un inizio ufficiale con la prima tempesta tropicale, in genere tra fine aprile e maggio. Quest’anno, come ormai avviene da diversi anni, tutto tace, almeno nell’oceano Atlantico; complice anche un’anomalia negativa delle acque oceaniche nella sua parte centro-occidentale.
 
Le acque prospicienti i Caraibi settentrionali e il Nordamerica hanno infatti mostrato finora valori anche di 1 – 1,5 gradi sotto la media; ma adesso quest’anomalia si sta lentamente colmando e alle latitudini tropicali le acque sono già decisamente più calde. Il prossimo mese, grazie anche alla maggiore insolazione, potrebbe garantire valori anche sopra la media, con alto rischio che si inneschino i temutissimi uragani.
 
Sul lato Pacifico del Nordamerica, favorite anche ad un Nino moribondo, le acque si sono mantenute leggermente più calde del normale e appena la stagione lo ha consentito, ecco farsi avanti la prima tempesta tropicale: Agatha.
 
Venti che solo in qualche occasione hanno superato i 50 km/h, tutt’altro insomma che un uragano; ma precipitazioni davvero intense e consistenti che hanno flagellato per 3-4 giorni i paesi più poveri dell’America Latina: Guatemala, Honduras ed El Salvador, trascinando via oltre 300 anime.
 
In queste zone, a causa anche della particolare orografia e geologia delle catene montuose, alte, strette e di origine vulcanica, le piogge intense possono essere davvero devastanti, con alto rischio di smottamenti e frane. I depositi vulcanici sono infatti spesso recenti e poco coesi, ed insieme alla forti pendenze diventano un cocktail micidiale di fango, acqua e detriti. Le povere ed improvvisate abitazioni sono quindi spazzate via come foglie secche in seno a un forte temporale.
 
Ma con la stagione degli uragani in arrivo la vera catastrofe incombe invece nel Golfo del Messico. L’intero ecosistema della costa meridionale degli Stati Uniti, nonché le strutture produttive e turistiche della zona, sono già state messe a dura prova dalla fuga di petrolio del pozzo sottomarino della BP. Perdita che tutt’oggi è in corso e stimata a ritmi di 40 mila barili al giorno.
 
Si tratta di una quantità immane che ha già fatto vedere e sentire i suoi effetti a tratti lungo le coste. A poco sono valsi finora gli interventi per tamponare, da un lato la falla, dall’altro gli effetti delle maree di oli e catrame lungo le spiagge.
 
Bisogna però fare presto; più presto e con più convinzione di quanto fatto finora. Rimandiamo a dopo le ricerche sulle responsabilità e gli studi sull’entità dei danni; la situazione ecologica, produttiva ed ambientale in genere potrebbe precipitare all’arrivo del primo uragano della stagione.
 
Più che i venti e le intense precipitazioni, bisognerà temere le forti mareggiate e soprattutto il fenomeno dello Storm Surge, ossia il sollevamento delle acque del mare al passaggio della depressione, che potrebbe portare il livello del mare ad alzarsi fino a 6-7m all’interno degli stretti estuari del Mississippi e dell’Alabama; ma anche fino a 3-4m lungo tutte le coste settentrionali.
 
Dal momento che in media un terzo degli uragani va a “morire” nell’interno del continente, è presumibile che durante il suo percorso la perturbazione possa trascinare gli oli e le sostanze bituminose galleggianti per diversi km nell’entroterra, specie dove questo è strutturato in paludi e acquitrini, stagni ed estuari.
 
Tutto dipenderà poi dalla direzione dell’uragano e dai venti in seno alla tempesta che potrebbero veicolare i residui galleggianti anche in zone non ancora interessate, oltre che vaporizzarle fino a renderle più o meno volatili e capaci di espandersi per molti km nell’entroterra.
 
Insomma per molte zone, finora protette da barriere litoranee artificiali o naturali, benché esili e provvisorie, potrebbe essere davvero una strage ambientale ed economica, più di quanto si sia calcolato finora.
 
Se poi dovesse verificarsi un nuovo uragano tipo “Katrina”, sarebbe davvero una catastrofe di proporzioni immani, con conseguenze ecologiche senza precedenti che richiederanno decenni prima di essere riassimilate. Le conseguenze economiche, in questo periodo di crisi, potrebbero rivelarsi cruciali, non solo per il destino della BP, ma anche delle centinaia di piattaforme di estrazione presenti nel Golfo del Messico.
 
Se gli Stati Uniti e la politica internazionale lo volessero, sarebbe l’occasione di una svolta per l’era del petrolio. Non ci resta che attendere gli sviluppi e sperare che fermino al più presto questa falla.  

Autore : Dott. Giuseppe Tito