00:00 18 Maggio 2007

Global Warming: un problema mal posto

Tre ragioni per dubitare ed un denominatore comune: eterogeneità.

Riscaldamento globale, Effetto serra antropico, Pianeta surriscaldato: quanto c’è di vero?

Vorrei subito fugare ogni possibile fraintendimento: non credo di vivere nel migliore dei mondi possibili, non credo che tutto vada per il meglio sotto l’egida del progresso tecnologico e soprattutto non credo che l’uomo non abbia modificato in modo spesso catastrofico l’ecosistema.

Ma da qui ad inventarsi un problema e soprattutto a sfruttarlo fino a farne la madre di tutte le calamità, una sorta di capro espiatorio globalizzato, ce ne passa.

Come si può negare l’esistenza del riscaldamento globale, dato che ogni anno viene annoverato tra i più caldi degli ultimi 20, 50 o 100?

Cercherò di esporre nel modo più chiaro possibile le mie argomentazioni (che poi tanto mie non sono, in quanto tratte e rielaborate da numerosi interventi, letture, testi, dati e statistiche) dividendole in tre parti, caratterizzate da un denominatore comune: *l’eterogeneità o meglio la disomogeneità.*

*1. Eterogeneità cronologica: * sarebbe veramente opportuno che si iniziasse finalmente a spiegare che questo supposto riscaldamento della Terra riguarda un periodo temporale di soli 125 anni. Perché è dal 1880 (al massimo si potrebbe risalire a qualche decennio prima) che si sono iniziati ad avere dati scientificamente attendibili e soprattutto abbastanza capillari da poter diventare oggetto di un’analisi statisticamente interessante. Ora si capirà benissimo che parlare di un aumento do 0,6 gradi per un periodo di circa 125 anni, avendo a che fare con un pianeta che di anni ne ha qualche miliardo, è cosa veramente grottesca. O almeno fin che non si chiarisce la reale portata di tale supposto aumento termico globale. Affermazioni del tipo, molto frequenti in tutti i media e purtroppo a volte anche in luoghi di scienza, “stiamo vivendo l’epoca più calda della storia della Terra”, “il pianeta ha la febbre” e simili sono veramente ridicole.

Nessuno mai ricorda il periodo dal X al XIV secolo denominato *“Optimum Climatico Medievale”* ( offuscato dalla più affascinante *Piccola Era Glaciale*) in cui molto probabilmente le temperature erano molto superiori a quelle attuali: la vite era coltivata in Inghilterra, i Vichinghi scorazzavano per il Nord Atlantico e colonizzavano senza eccessivi problemi la Groenlandia, l’Europa intera gratificata da un lungo periodo mite usciva dalle tenebre dell’ Alto Medioevo dando vita a quella vera e propria rinascita economica, culturale, demografica che venne definita anche Età delle Cattedrali.

*Eterogeneità dei dati:* ma come si calcola questa benedetta temperatura del pianeta? Chiaramente sommando tutte le temperature annuali locali e poi facendo una precisa media matematica. E se le fonti che forniscono i dati fossero distribuite in modo del tutto disomogeneo? Se l’Europa, l’America Settentrionale, il Giappone, l’Australia disponessero di una copertura capillare mentre l’Africa, l’America Latina e buona parte dell’Asia disponessero invece di reti molto più “allargate” e imprecise?

E soprattutto se non viene tenuta nella giusta considerazione (se non negli ultimi anni) la temperatura degli Oceani, che costituiscono quasi il 70% della superficie del pianeta?

Significherebbe che tale media termica del pianeta sarebbe priva di ogni fondamento scientifico.

*Eterogeneità delle fonti strumentali:* e infine veniamo alla critica forse più pregnante. Non solo la rete delle rilevazioni è assolutamente disomogenea, ma gli stessi strumenti utilizzati spesso non presentano la necessaria omogeneità tecnologica per poter veramente calcolare rigorosamente una media termica mondiale. Spesso i Paesi del Terzo Mondo dispongono di strumenti desueti e poco precisi, ma anche i Paesi più ricchi non hanno negli ultimi tempi investito somme capitali per migliorare o aggiornare la strumentazione scientifica. I rischi sono quindi di avere dati sballati per inaffidabilità della strumentazione a causa di problemi tecnici.

Senza contare che spesso le centraline di rilevamento meteo nel giro di qualche anno si sono ritrovate dall’essere poste in aperta campagna allo scoprirsi ormai collocate nelle periferie di città che sono vere e proprie *isole di calore*: come fare a confrontare dati che provengono sì dallo stesso luogo, ma in condizioni completamente mutate?
Autore : Aldo Meschiari