00:00 1 Aprile 2009

GHIACCIAI ai raggi X; è normale che arretrino? Si fonderanno? Potrebbero tornare ad avanzare?

Definizione di un ghiacciaio. La sua storia. Il passato, il presente, ul futuro. Un lavoro di Marco Bonatti. Adattamento di Alessio Grosso.

COS’E’ E UN GHIACCIAIO. Dare un definizione di “ghiacciaio” non è difficile. Ad elevate latitudini od altitudini, si può innescare un processo per il quale la neve accumulata durante l’inverno permane per tutta l’estate seguente. Ecco dunque che inizia un accumulo che, se si protrae per un tempo sufficiente, dà vita al ghiacciaio. La massa di neve, gradualmente, viene pressata a tal punto da subire una trasformazione simile al metamorfismo di alcune rocce. Nel ghiacciaio distinguiamo una zona di accumulo ed una di ablazione (scioglimento).

Con il passaggio della massa glaciale vengono impresse sul paesaggio tracce inconfondibili. Tra le morfologie caratteristiche ricordiamo:
-le MORENE frontali o laterali.
Composte da una grande massa di materiale di diversa granulometria, dalla sabbia ai grossi frammenti rocciosi.

-i CIRCHI glaciali
luoghi ad elevate altitudini modellati a forma di catino che ospitano la zona di accumulo,

-le TORBIERE
zone umide residuo di antichi specchi d’acqua lasciati da un ghiacciaio in ritiro

-le ROCCE MONTONATE levigate dall’azione abrasiva dell’acqua di scioglimento mista a sabbia.

Da notare che praticamente tutte le valli alpine, anche a bassa quota, presentano più o meno accentuate le morfologie descritte; va concluso che evidentemente in passato i ghiacciai hanno avuto estensione ben maggiore di quella attuale.

Estrema testimonianza di un ghiacciaio, quando esso tende a scomparire per l’aumento della temperatura, è un rock glacier, ovvero una pietraia dotata di una certa mobilità per l’azione gravitativa, sotto la quale resiste del ghiaccio residuo.

Forme di origine glaciale: da sinistra un piccolo lago, una morena laterale ed una parete rocciosa montonata. In alto il circo glaciale. Ghiacciaio dei Forni, Gruppo del Cevedale. Fonte: Comitato Glacialogico Italiano, autore: Maurizio Santilli

I ghiacciai possono possono essere considerati veri e propri archivi naturali dove vengono registrate le variazioni climatiche verificatesi in passato. Grazie all’estrazione di vere e proprie “carote” di ghiaccio (da qui il termine “carotaggi”) mediante lunghi tubi di metallo cavi, gli scienziati possono accedere a questo ricchissimo archivio ottenendo importantissime informazioni sul pianeta Terra delle ultime migliaia di anni.

Esistono due grandi tipi di ghiacciai: le calotte ed i ghiacciai locali. I primi si formano ad elevate latitudini, anche in zone pianeggianti.

E’ il caso della calotta antartica, grande 43 volte l’Italia, e di quella groenlandese. Il secondo tipo è quello presente nelle nostre Alpi.

Nonostante questi ultimi rappresentino solo il 4% della criosfera terrestre (lo scioglimento di tutti i ghiacciai locali non avrebbe grande influenza sul livello del mare), essi sono un prezioso serbatoio di acqua dolce non solo per gli ambienti limitrofi posti ad altitudini inferiori, ma anche per zone di pianura situate a grande distanza. Senza di essi i grandi fiumi padani presenterebbero un regime ben diverso, di tipo stagionale, e l’intero sistema agricolo ne risulterebbe ben presto compromesso.

Eppure non si può pretendere che nulla cambi, per l’eternità…

UN PIANETA IN CONTINUO DIVENIRE! Parlare a sproposito dell’effetto serra è ormai uno sport nazionale. Programmi televisivi di ogni genere, da quelli di cucina ai talk-show pomeridiani, giornali d’ogni spessore ed orientamento politico, personaggi dello spettacolo e pseudoscienziati, ognuno è pronto a sputare la propria sentenza, fondata di solito su di un bel po’ di luoghi comuni infarciti da qualche rozzo concetto di meteorologia recuperato chissà dove. C’è chi si lancia in assurdi ultracatastrofismi affermando che in breve tempo gli oceani raggiungeranno la temperatura di ebollizione per poi evaporare completamente, che si limita più prudentemente a prevedere uno spostamento della fascia subtropicale verso nord, fino ad inglobare l’attuale Italia settentrionale.

In questo marasma, in cui di scientifico c’è davvero poco, chi la spara più grossa ha le migliori possibilità di “farsi vedere” e quindi di guadagnarsi attenzioni, interviste, apparizioni televisive, in sostanza… soldi. Così, tra la gente comune, la confusione regna sovrana.

Gravissima è in questo caso la colpa della classe giornalistica, quotidianamente impegnata in un’opera di mistificazione che deriva in parte da una abissale ignoranza ed in parte, come detto, dalla necessità di mantenere alta la tensione del telespettatore in funzione degli ascolti. Così una normalissima diminuzione delle temperature in pieno inverno si trasforma in una ondata di freddo senza precedenti, e cinque gradi sotto lo zero a Milano vengono spacciati come valori tipici delle zone polari. Allo stesso modo, il sia pur anomalo perdurare di un anticiclone subtropicale in pieno Mediterraneo nel periodo estivo dà il via ad esilaranti considerazioni sullo spostamento dei tropici in Italia, supportate dal parere “autorevole” di qualche scienziato di serie B, il cui unico scopo è quello di guadagnarsi l’attenzione dei media.

Con un po’ di sincerità, invece, andrebbe detta l’unica cosa che al momento è assodata: nessuno ha in mano la verità assoluta. Tra gli studiosi esiste una miriade di correnti di pensiero, chi propende per una tendenza ad un riscaldamento inarrestabile dovuto ai gas serra, che invece invoca “effetti di retroazione” che farebbero sprofondare le temperature medie in Europa Occidentale di dieci gradi centigradi. C’è anche chi nega ancor oggi un riscaldamento a livello planetario, chiamando in causa il fatto che molte delle stazioni di rilevamento, a causa dell’espansione delle città, sono state inglobate nella cinta urbana, massicciamente cementificata, che presenta temperature medie ben più elevate della preesistente campagna. Oppure si fa ricorso ad eventi accaduti in periodi più o meno remoti, che sembrano essere stati interessati da repentini sbalzi termici in un senso o nell’altro, anche senza l’intervento dell’uomo.

Le certezze, dunque, sono poche, e vanno ricercate in contesti dove gli sterili allarmismi dei media non arrivano. Esiste uno stuolo di scienziati ed appassionati che, svolgendo un certosino lavoro di rilevamenti e raffronti, sta gradualmente dipanando la matassa. Ciò che ne sta scaturendo è un pianeta in cui i meccanismi che regolano le oscillazioni climatiche vanno ben al di là delle figurine di alta e bassa pressione che qualche ochetta televisiva in minigonna ci presenta.

Già nei secoli scorsi era apparso evidente agli scienziati che il clima terrestre fosse in continuo divenire. Alcune semplici osservazioni, la forma a truogolo di molte vallate, la presenza di massi erratici sparsi un po’ ovunque, le tracce di fiumi, laghi o foreste ora scomparsi, il ritrovamento di resti fossili di animali adatti a climi particolari, li portarono a concludere che nel passato si erano succeduti periodi caratterizzati da temperature ed umidità assai diverse.

Nonostante i limitati strumenti di ricerca a disposizione, già alla fine dell’Ottocento si stabilì che una fase fredda aveva interessato gran parte dell’Europa, imprimendo sulle rocce alcuni tratti caratteristici visibili ancor oggi.

Quello che le successive generazioni di studiosi sono riusciti a stabilire è che sensibili oscillazioni climatiche interessarono la Terra fin dai primordi, tanto che esistono tracce (“tilliti”) di morene glaciali risalenti addirittura a centinaia di milioni di anni fa, in pieno Paleozoico. Anche considerando solo gli ultimi due milioni di anni, che corrispondono all’Era Quaternaria con i periodi Pleistocene ed Olocene, si è riusciti ad identificare ben sei distinte ere glaciali (Biber, Donau, Günz, Mindel, Riss, Würm), durante i quali più del 10% dell’acqua del pianeta si trovava allo stato solido.

Tra la fine di una glaciazione e l’inizio della successiva (periodi interglaciali) trascorrevano decine di migliaia di anni, durante i quali il clima poteva essere anche più caldo dell’attuale. Ma sono i progressi degli ultimi due decenni che hanno rivoluzionato il modo di considerare la macchina climatica terrestre. E’ stato appurato che accanto alle vistose oscillazioni climatiche appena citate ve ne sono di minori, la cui durata è misurabile talvolta in migliaia, altre volte addirittura in centinaia di anni.

A turbare il complicatissimo equilibrio climatico del nostro pianeta entrano infatti in gioco una miriade di fattori, alcuni individuati da pochissimo. Oltre alle già note cause astronomiche (variazione della distanza Terra-Sole e dell’inclinazione dell’asse terrestre) sono state chiamate in causa le grandi correnti oceaniche, in grado di influenzare temperatura e piovosità di vaste aree emerse, l’attività solare, che presenta una serie di alti e bassi sia sulla grande che sulla piccola scala temporale, le eruzioni vulcaniche, fonti di una gran quantità di polveri che vengono disseminate nell’atmosfera e riducono la radiazione solare in superficie, ed i movimenti delle placche continentali, in seguito ai quali si hanno la formazione di grandi catene montuose e spostamenti in latitudine di vaste aree emerse.

Perché questa lunga introduzione?
Per dimostrare che, se la temperatura del pianeta è da sempre soggetta ad oscillazioni, questo non può che valere anche per i ghiacciai.
I GHIACCIAI NON SONO ETERNI!
Non hanno dunque molto senso gli allarmismi di chi pretende che lo “status quo” vada mantenuto, ora e sempre. Vi fu un periodo, chiamato dell’optimum climatico, risalente ad alcune migliaia di anni prima di Cristo, durante il quale i i ghiacciai, si trovavano in condizioni ben più critiche delle attuali.

Vi furono invece, all’acme delle glaciazioni pleistoceniche, fiumi di ghiaccio che percorrevano tutte le principali valli alpine fino a traboccare in Pianura Padana. Non si può dunque pensare al ghiacciaio come ad una sorta di entità immutabile, da mantenere ad ogni costo, anche violando le leggi della natura. L’approccio corretto è quello di constatare e quindi correggere quelli che sono le influenze deleterie dell’uomo sul clima e sui ghiacciai, e cercare di contenerne le conseguenze.

Che esse esistano, è fuor di dubbio. Quale possa essere il loro peso sulle vicende climatiche del prossimo futuro non è invece ancora chiaro. Anche qui i pareri si sprecano, ed è difficile saper distinguere le voci “disinteressate” da quelle di chi è pagato dalle grandi multinazionali del petrolio per negare l’evidenza o cerca solo di farsi pubblicità. L’impressione è che l’azione dell’uomo non possa impostare un vero e proprio punto di svolta; può, piuttosto, agevolare ed accelerare processi naturali in corso. Questo non giustifica in nessun modo le ingiurie che l’uomo sta infliggendo alla Natura. Ma è necessario che alcuni aspetti siano chiari.

L’ARRETRAMENTO E’ INCONFUTABILE. Appurato che il pianeta è soggetto a variazioni cicliche del tutto naturali, andiamo ora ad esaminare le prove dell’arretramento dei ghiacciai, fenomeno che sta avvenendo un po’ in tutto il mondo, e che è diretta conseguenza dell’aumento di temperatura a livello globale. Nulla più di una documentazione iconografica potrà servire a sottolineare alcuni punti punti fermi.

L’Ortles nel1911…

…e nel 2003. Fonte: gletscherarchiv.de
Autore : Marco Bonatti