00:00 26 Aprile 2006

FERRO negli oceani contro l’effetto serra?

Ferro negli oceani contro l’Effetto Serra?

Nuove ricerche ed esperimenti propongono possibili soluzioni per l’abbattimento delle concentrazioni in anidride carbonica nell’atmosfera.

Chi si occupa di clima, ed in generale di ambiente ed ecologia, sa benissimo che gli oceani svolgono un compito essenziale nel controllo del nostro clima.

Lo fanno in diversi modi, sia funzionando da termoregolatori inerziali (trattenendo e rilasciando il calore ricevuto dal Sole in modo molto più lento delle terre emerse), sia redistribuendo lo stesso calore e l’umidità in varie zone del nostro pianeta grazie alle correnti marine.

Ma il mare funziona anche da regolatore dei gas serra, e quindi del nostro clima, infatti gli oceani contengono, disciolte nelle loro acque, enormi quantità di anidride carbonica e di altri gas.

Ma gli oceani, senza altri meccanismi, raggiunto un livello di saturazione smetterebbero di assorbire questo gas.

Il ciclo del carbonio, non è soltanto un ciclo appartenente alle terre emerse, dove le piante assorbono CO2 e emettono O2, ma soprattutto un ciclo sottomarino.

La vita sottomarina da sempre, a partire dal fitoplancon (microscopici vegetali marini) e dal plancton (microscopici animali marini), trasforma enormi quantità di anidride carbonica in carbonati solidi che si depositano sui fondali oceanici (sia direttamente che sottoforma di altre forme viventi che si nutrono del plancton stesso).

Tutte le piante crescono assorbendo anidride carbonica dall’aria nel corso della fotosintesi, ma il fitoplancton è responsabile di quasi la metà del processo totale di fotosintesi del pianeta, quindi ha un’enorme influenza sulla quantità di anidride carbonica presente nell’atmosfera

I risultati di questa trasformazione sono ben visibili anche nelle più belle formazioni rocciose delle nostre montagne, che un tempo si trovavano nei fondali oceanici.

Preoccupati dall’aumento dei gas serra, ed in particolare dall’aumento delle concentrazioni di anidride carbonica presente nella nostra atmosfera, gli scienziati stanno studiando e sviluppando possibili meccanismi che ne permettano il riassorbimento.

Tra le varie proposte, oggi, si affaccia quella di una stimolazione tramite fertilizzanti a base di ferro della crescita del plancton marino.

In realtà l’idea non è nuova, da molto tempo gli scienziati che si occupano di biologia marina si sono accorti che i plancton e fitoplancton marini crescono e proliferano in presenza di sostanze quali azoto, fosforo e silicio, ma che anche in presenza di un eccesso di queste sostanze il plancton non cresce ulteriormente.

E’ la concentrazione di ferro, presente nelle acque, a limitare, generalmente, la crescita del fitoplancton.

Infatti, oggi, i risultati dei primi esperimenti su larga scala effettuati nell’Oceano meridionale che circonda l’Antartico, scelto perché non particolarmente influenzato dalla restante circolazione marina mondiale, confermano questa ipotesi..

I ricercatori del Southern Ocean Iron Release Experiment (Soiree) hanno distribuito oltre ottomilacinquecento chilogrammi di un composto ferroso (solfato di ferro) nell’Oceano Artico, in un’area vasta 8 chilometri e in un certo periodo di tempo, e ne hanno seguito gli effetti sulla crescita del fitoplancton.

In seguito hanno usato rilevatori galleggianti per registrare il flusso di carbonio. I risultati, pubblicati ora su Science, mostrano un aumento complessivo della biomassa depositata sul fondo dell’oceano, e quindi di CO2 sottratta all’atmosfera.

Le prime stime indicano che sperimentando solamente nell’Oceano Antartico questa nuova tecnica si potrebbe ridurre la quantità di anidride carbonica nell’atmosfera di circa un 15 per cento. A ogni atomo di ferro potrebbero infatti corrispondere dai 10.000 ai 100.000 atomi di carbonio sottratti dall’atmosfera.

Nel passato, alcuni cambiamenti nella quantità di ferro disponibile per il fitoplancton, hanno probabilmente causato grandi cambiamenti climatici sul nostro pianeta.

Come dimostrano le ricerche di Andrew Watson e dei suoi collaboratori dell’Università dell’East Anglia, in Gran Bretagna, i mutamenti climatici prima e dopo le epoche glaciali sarebbero strettamente legati alla disponibilità di pulviscolo ricco di ferro (il ferro è liberato nei mari come pulviscolo metallico trasportato dal vento).

Infatti uno studio effettuato sugli ultimi 400 mila anni (dedotti dalla misurazione del pulviscolo nell’antico ghiaccio antartico) evidenzierebbe una diminuzione di pulviscolo ricco di ferro alla fine delle ere glaciali, causata dalla crescente copertura di porzioni sempre maggiori di terra ferma ad opera del ghiaccio, che ne diminuiva quindi la sollevazione in atmosfera e che intrappolava nel ghiaccio stesso il pulviscolo sollevato.

Questo basterebbe a spiegare quasi la metà dell’incremento di anidride carbonica nell’atmosfera in quei periodi e la diminuzione di stratificazioni nei fondali marini.

Altri ricercatori, guidati dal biologo oceanografico Victor Smetacek, stanno però valutando i rischi di tale tecnica. Una proliferazione artificiale del plancton potrebbe infatti causare cambiamenti sostanziali dell’ecosistema marino..

Fonti: Nature e Science
Autore : Massimiliano Santini