La deposizione di di particolato di carbone ha avuto il suo massimo tra il 1906 e il 1910, raggiungendo un valore otto volte più elevato di quello che caratterizzava l'era preindustriale.
Scienziati del Desert Research Institute (DRI) hanno stimato che l’inquinamento atmosferico prodotto dalle industrie nell’emisfero boreale ha prodotto un aumento di sette volte della fuliggine che si è depositata sulle nevi dell’Artico durante gli ultimi decenni del XIX secolo e i primi decenni del ventesimo secolo.
Lo studio è stato pubblicato sulla versione on-line della rivista "Science" e firmato da Joe McConnell e Ross Edwards del DRI.
Esso è basato su un nuovo metodo per misurare la fuliggine presente in una carota estratta dalla coltre glaciale della Groenlandia, un parametro che documenta i cambiamenti storici nelle concentrazioni di questa sostanza.
Dall’analisi dei dati raccolti risulta che l’influenza della superficie sul clima estivo della regione, dovuto alla deposizione di particolato di carbone, ha avuto appunto il suo massimo all'inizio del secolo scorso.
La fuliggine trasportata dai venti fino alle più basse latitudini e depositatasi al suolo riduce la riflessione della radiazione solare – un fenomeno noto come albedo - da parte della superficie ghiacciata, permettendole di assorbire una maggiore quantità di energia solare.
I cambiamenti evidenziati dallo studio, hanno prodotto con tutta probabilità , una maggiore fusione del ghiaccio con la conseguente esposizione del suolo sottostante e un conseguente riscaldamento di tutta la regione a cavallo tra l’800 e il 900.
L’annerimento della superficie da parte della fuliggine, sia di origine naturale, che originata dalla combustione di biomasse e di combustibili fossili, accelera la fusione della copertura di ghiaccio aumentando la sensibilità delle regioni artiche al riscaldamento.