00:00 25 Marzo 2005

DA NON PERDERE: i prodromi del cambiamento climatico in Italia (parte prima)

teorie, analisi ed evoluzioni future. Pubblichiamo la prima parte del lavoro sul cambio climatico realizzato da Andrea Corigliano.

Il 2003 sarà ricordato come “l’anno degli opposti” in cui si è dimostrata plateale l’assenza del flusso zonale atlantico. Pesanti anomalie positive, nel campo termico, si sono susseguite per un periodo molto lungo su buona parte del nostro continente, seguite repentinamente da sbuffi di aria artica: netto, rispetto agli anni passati, è stato quindi lo scambio di masse d’aria lungo i meridiani. Ma già dall’ultimo decennio l’avvicendamento dei fenomeni atmosferici ha dato segni di pesante squilibrio, specie dal 1997.

Una nuova fase climatica è alle porte? E’ ancora presto per dirlo: per ora possiamo fare affidamento ai dati climatici del trentennio 1961-1990 ed alla statistica dell’ultimo decennio. Da questa analisi scopriremo lo stato attuale di salute del clima italiano e, nei limiti del possibile, valuteremo il suo probabile cambiamento e le sue possibili evoluzioni future…

Prima parte: presentazione e descrizione del fenomeno

Nel corso della sua lunghissima storia, il clima è sempre stato soggetto a frequenti e lenti cambiamenti. Le cause principali possono essere ricercate sia in una nuova disposizione del moto delle correnti atmosferiche, sia in ragioni strettamente astronomiche che, comunque, non tratteremo in questa sede.

Soffermandoci quindi solo sul primo motivo, questo nuovo aspetto dinamico delle masse d’aria che si è avvicendato nel tempo ha determinato così, in alcune occasioni, l’avvento di fenomeni meteorologici inconsueti e fuori dal comune che, talvolta, si sono susseguiti a più riprese mostrandosi intensi anche in periodi che si sono sempre distinti per un particolare andamento climatico e che non hanno mai conosciuto eventi rilevanti, degni di essere ricordati.

Solo in tali circostanze, però, ovvero con un plateale scombussolamento del normale andamento del tempo, è stato possibile rendersi conto di come il regolare flusso delle correnti avesse subìto una sostanziale modifica strutturale delle proprie linee guida.

Esistono comunque anche altre varianti meno incisive con cui il trend climatico si può manifestare. Sono infatti così numerosi i parametri meteorologici in gioco pronti a decretare, con uno scostamento dalla norma prolungato nel tempo, la fine di una fase climatica e l’inizio di una nuova che, considerando ad esempio solo l’aspetto termico, non ci si rende davvero conto delle variazioni impercettibili, costituite appena da qualche decimo di grado, alle quali si può andare incontro anno dopo anno: in questo caso non si riesce ad individuare ed a tracciare, almeno in una prima fase, quel limite oltre il quale possiamo tranquillamente affermare che, appunto, una perdurante anomalia termica può essere intesa come “campanello di allarme” di un guasto della nostra macchina atmosferica.

Gli stati di incertezza e di indeterminazione che, nel loro complesso, rendono in una prima fase vago ed imprevedibile l’andamento climatico stesso fanno parte di questo lungo e continuo processo di cambiamento delle condizioni atmosferiche generali: si tratta di una mutazione che si propone estremamente lenta, tanto che la sua consistenza diventa stimabile e quantificabile solo dopo un lungo periodo intercorso. In attesa, allora, che questi cambiamenti acquistino o meno sempre più corposità ed in attesa che riescano a superare quel valore di soglia critico tale che ci permetta di prenderli in esame ed analizzarli, rimane l’incertezza a farla da padrona assoluta.

Soltanto un domani tali variazioni contribuirebbero a definire e a dare forma a quel lento processo di evoluzione climatica iniziata in un preciso istante e con un particolare fenomeno che nell’immediato non riusciamo ad identificare.

Ma quanto vi è di giusto in questo altrettanto lungo processo di attesa volto a voler quantificare un possibile cambiamento climatico?
Qual è il limite temporale oltre il quale possiamo condurre una corretta analisi dei dati, confrontarli con le medie del passato e cominciare a gettare delle ipotesi su un probabile cambiamento in atto?
Un anno?
Cinque anni?
Di sicuro l’analisi di una quindicina di anni può già fornire all’incirca una linea di tendenza che, a mio avviso, possiamo definire sommariamente affidabile.

Ogni ciclo climatico, come sappiamo, presenta caratteristiche differenti nel proprio modo di manifestarsi e per questo motivo non si riuscirà mai a “normalizzare” tutti i cambiamenti climatici della storia della Terra ad un particolare e preciso processo di evoluzione del clima da considerarsi come standard: ogni evoluzione seguirà un preciso e particolare andamento, indipendente da tutti gli altri, perché saranno differenti quelle cause che ne hanno segnato l’inizio. Proprio per questo motivo, allora, va da sé che nelle occasioni che denotino un particolare spostamento delle masse d’aria in circolazione, magari duraturo e quindi decisamente anomalo rispetto ai canoni climatici riferiti al passato, si debbano cercare i motivi che hanno indotto l’atmosfera a seguire quel particolare andamento a discapito di un altro.

Anche in questa occasione sono necessarie continue osservazioni ed analisi, al fine di non sottovalutare ad esempio l’entità di fenomenologie particolari, anche diametralmente opposte, che verrebbero a manifestarsi sempre più frequentemente in una particolare regione. Questo aspetto, estremamente interessante, rischia di essere sottovalutato per un motivo che vado ora a spiegare e che intende avvalersi del concetto di “estremizzazione dei fenomeni”: vediamone innanzitutto il significato.

Con questo termine si indica la tendenza, da parte dell’atmosfera, a preferire la genesi di eventi meteorologici particolarmente incisivi, duraturi e consistenti tali da essere iscritti sugli annali della climatologia per l’intensità con cui si sono manifestati. Il concetto di estremizzazione, però, richiede ulteriori delucidazioni in merito perché considera, in sostanza, l’avvicendamento di fenomeni meteorologici con caratteristiche diametralmente opposte. Il susseguirsi di eventi atmosferici legati sempre più spesso ad eccessi di caldo e di freddo o di siccità e di piogge a carattere alluvionale costituisce, infatti, le fondamenta di questo interessante concetto climatico che, erroneamente, il più delle volte è identificato con la “tropicalizzazione” senza sapere che, se vogliamo, questa ne può rappresentare solo il limite superiore: in altre parole la “tropicalizzazione” è una estremizzazione alquanto limitata nelle sue caratteristiche e mira ad esaltare solo gli eccessi positivi (ondate di caldo, alluvioni) a discapito di quelli negativi (ondate di freddo, siccità).

Ma nel tracciare un quadro generale dell’evoluzione che faccia una media tra tutti gli eventi che si sono susseguiti da un eccesso all’altro, l’aspetto legato a queste ampie oscillazioni, come ho già affermato in precedenza, sarebbe inizialmente trascurato anche se ci si dovesse accorgere che un’anomalia positiva o negativa tende a prolungarsi troppo nel tempo. A rafforzare questa errata convinzione la consuetudine nel dire, ad esempio, che le medie pluviometriche annue di una regione si calcolano facendo la semisomma delle alluvioni e delle siccità che hanno interessato quella particolare regione.

In realtà il mio discorso non vuole prendere in esame una pura questione di media climatica costituita solo da uno sterile numero ma intende avvalersi delle ragioni che spieghino in modo esaustivo i motivi che hanno indotto il clima ad intraprendere una strada particolare per raggiungere questa media.

Per capire meglio se è corretto già fin d’ora parlare di “possibile cambiamento climatico in atto” possiamo partire da alcune semplici considerazioni. Ritengo giusto, a mio avviso, considerare il clima come un ipotetico “sistema fisico” che muta nel tempo: queste sue variazioni tenderebbero ad esaltare le sue caratteristiche di “non conservatività” nel lungo termine, ma di “conservatività” nel breve termine. Estendere il concetto di “conservatività” al lungo termine, infatti, significherebbe ammettere che il clima non cambia; ma la storia ci ha sempre dimostrato il contrario! Le infinitesime variazioni annuali che dovrebbero registrarsi nel breve periodo (parlo di un decennio al massimo) e che rientrano tutto sommato all’interno di quell’intervallo consentito, per nulla apprezzabili quantitativamente da parte di noi umani ma quantificabili dalla sensibilità del “motore clima”, permetterebbero di affermare in tutta sicurezza che le linee generali del tempo non sono cambiate: in questa circostanza possiamo affermare, infatti, che la macchina climatica è la sintesi di un corretto processo meteorologico che si è avvicendato nel corso del decennio considerato e che è stato costituito da un susseguirsi di eventi atmosferici regolari e caratteristici di ciascuna fase del periodo analizzato.

In questo caso si potrà parlare di clima come “sistema conservativo” poiché ha mantenuto praticamente costanti i parametri con cui si è esplicato. Nel breve periodo, infatti, un’infinitesima variazione annuale, ad esempio, del parametro “temperatura” rientrerebbe assolutamente all’interno di un normale andamento evolutivo, volto a mantenersi all’incirca stazionario ed oscillante ragionevolmente attorno a quel valore medio caratteristico.

Sommando però i bilanci di più decenni e valutando successivamente l’andamento climatico sul lungo termine (e qui ci spostiamo, ad esempio, fino al secolo), si potrebbe osservare tendenzialmente un aumento della divergenza dei valori rispetto a quella “media termica” presa come riferimento e facente capo, proprio in qualità di valore normale, al secolo passato. Varie cause ora contribuirebbero ad ampliare le oscillazioni sempre attorno al medesimo valore, con un aumento delle anomalie positive e/o negative che sarebbero la dimostrazione di un nuovo ciclo climatico in atto.

Visto sotto quest’ottica, invece, al contrario di quanto detto in precedenza, il sistema climatico osservato a lungo periodo sarebbe “non conservativo”, in quanto una sommatoria di variazioni infinitesime che sono state approssimate “conservative” nel breve periodo diventerebbe ora quantificabile e, sul lungo termine, farebbe perdere al sistema stesso la caratteristica quasi intrinseca di conservatività iniziale, proprio perché adesso quel limite fatidico sarebbe oltrepassato. Le considerazioni appena esposte dovrebbero descrivere un esatto processo di cambiamento climatico in procinto di realizzarsi nei secoli: partendo da variazioni impercettibili appartenenti ad intervalli limitati ai decenni si passerebbe a variazioni realmente quantificabili e appartenenti a periodi più ampi.

Nell’ultimo decennio, però, ed in particolare a partire dalla fine degli anni Novanta, pesanti anomalie prevalentemente positive (valori di gran lunga superiori alla soglia critica) hanno caratterizzato il campo termico dell’Italia. A questo punto, allora, sembrerebbe che la caratteristica di “non conservatività” che spetta esclusivamente al lungo termine si sia adesso, almeno per questo decennio, spostata anche nel breve.

Troppo evidente e marcato, infatti, sarebbe il salto termico verso l’alto iniziato all’incirca a partire dal 1997 per essere considerato come una normale oscillazione all’interno di quell’intervallo di valori compatibili di cui ho parlato. Un salto che sarà quantificato in seguito attraverso lo studio dei dati relativi all’intero territorio nazionale.

Sfruttando ora il concetto di “conservatività” dal punto di vista fisico, possiamo arrivare a dimostrare che, tutto sommato, è giusto parlare già da adesso di “cambiamento climatico” per gli ultimi tredici anni o perlomeno, mantenendo ancora la dovuta cautela sul caso che mai come in questo campo di analisi è d’obbligo, tenere in seria considerazione l’ipotesi di come l’avvicendamento dei fenomeni almeno negli ultimi 5 – 10 anni dimostri un vero e proprio disorientamento rispetto alle linee guida che si rifanno alla normale evoluzione climatica del trentennio precedente.

Se apriamo, infatti, una piccola parentesi sul vero significato di “conservatività di una forza”, ad esempio, scopriamo che questa è detta conservativa se… il lavoro svolto per spostare un corpo da una posizione iniziale A ad una finale B non dipende dal cammino percorso congiungente A con B ma solo dalle due posizioni da cui il corpo parte ed in cui il corpo arriva. Quindi, in sintesi, il concetto di “forza conservativa” è indipendente dal cammino scelto per raggiungere le due posizioni. Ragionando ora sempre in termini di “cammini percorsi” ma spostando il nostro interesse sui movimenti delle masse d’aria nella libera atmosfera possiamo notare che, negli ultimi anni, ad un cammino prevalentemente zonale delle medesime sia subentrato, sul nostro continente, un cammino prevalentemente meridiano, con scambi termici del tipo polo – equatore sempre più numerosi e frequenti.

A questo radicale cambiamento di circolazione si associano anomalie termiche annuali che superano notevolmente quel range di variazione infinitesima cui dovrebbero sottostare, in un sistema climatico ideale, nel breve periodo: si tratta di un intervallo che, in modulo, dovrebbe essere contenuto entro i 0.2 – 0.3 °C per decennio. Vedremo in seguito con l’analisi dei dati che questo valore, che può essere considerato come limite, in Italia è stato in media abbondantemente superato negli ultimi tredici anni su quasi tutte le località.

Questo perché, in fin dei conti, alla mitezza delle correnti atlantiche non corrisponderebbe la nuova equazione “caldo + freddo = mite” (si parlerebbe ancora di sistema conservativo in quanto il risultato termico non cambierebbe seppure siano cambiati i cammini percorsi dalle masse d’aria), ma subentrerebbe per la nostra penisola una nuova equazione del tipo “caldo + freddo = caldo”, dal momento che alle nostre latitudini sembrano, al momento, sempre più prevalere le influenze subtropicali su quelle artiche: questo è un dato di fatto che abbiamo appurato in modo particolare dopo il 1997.

In questo caso, allora, ecco spiegata la “non conservatività” del sistema a breve termine: cambiando i cammini percorsi dalle masse d’aria (e quindi cambiando la loro zona di provenienza), cambia anche il risultato termico: aumentano le anomalie positive e/o negative oltre il limite consentito con la conseguenza che la caratteristica di “non conservatività” del sistema climatico che prima interessava solo il lungo termine si estende adesso anche nel breve. Possiamo quindi riporre, a questo punto, le prime certezze sul fatto che una sempre più marcata ondulazione della “corrente a getto”, indice di maggiore energia in gioco (l’energia di un’onda va con il quadrato della sua ampiezza) accompagnata simultaneamente alla genesi ed alla maggior durata nel tempo di un “blocking euro-atlantico” possono essere intesi come un forte e chiaro sintomo verso un possibile cambiamento climatico.

Fine prima parte
Autore : Andrea Corigliano