00:00 24 Dicembre 2009

Copenhagen: un summit davvero catastrofico

Dopo 12 giorni di urli, strepiti, scene di isteria, riunioni notturne, catastrofi annunciate, manifestazioni con toni apocalittici e disperati, conferenze stampa e presentazioni cancellate, il vertice sul clima di Copenaghen si è concluso con un accordo così piccolo da essere insufficiente a coprire la vergogna dei tanti fondi spesi e della tanta anidride carbonica generata durante il Summit mondiale.

Secondo gli organizzatori il vertice ha visto la partecipazione di 15.000 delegati in rappresentanza di 192 Paesi nonché di 103 tra capi di stato e premier. 1200 auto con autista, 140 jet privati, un carcere temporaneo per ospitare, all’occorrenza, 4.000 detenuti. 5.000 giornalisti a cui si aggiunge un imprecisato numero di curiosi, ong, manifestanti verdi, no global, ecc. che ha determinato il rilascio in atmosfera di 41.000 tonnellate di CO2. L’equivalente della produzione in un anno di una città di 150 mila abitanti. E tutto questo spreco per un documento che nella quasi totalità dei pareri è stata definita “aria fritta”.

In effetti il documento finale è poco più che una dichiarazione di intenti in cui si pone come obiettivo il contenimento dell’aumento della temperatura mondiale entro i due gradi centigradi, si chiede ai Paesi ricchi una riduzione non quantificata delle emissioni di CO2. Sempre i Paesi ricchi dovrebbero mettere a disposizione 30 miliardi di dollari per il biennio 2011-2012. I Paesi in via di sviluppo si impegnano ad attuare misure di mitigazione ma senza nessun vincolo, ed è previsto un più celere meccanismo di trasferimento di tecnologia tra Nord e Sud.

Al di là del deludente documento finale, in realtà al vertice di Copenaghen si è assistito ad una lotta feroce tra coloro (Unione europea e USA) che intendono alimentare una bolla speculativa verde con un accordo mondiale fatto di carbon tax e mercato di carbon credits, e Paesi come Cina, India, Brasile, Sudafrica che non hanno nessuna intenzione di sacrificare la crescita demografica ed economica sull’altare pagano di una divinità vendicativa di nome Gaia.

I Paesi in via di sviluppo hanno resistito alle pressioni politiche ed hanno respinto le offerte di denaro per accettare un gravoso accordo. Secondo i calcoli fatti dall’Agenzia Internazionale dell’Energia infatti, il costo per limitare il surriscaldamento di due gradi centigradi ammonterebbe almeno a 10.500 miliardi di dollari. Quasi il triplo delle stime fatte dal Fondo Monetario Internazionale. La difesa del diritto allo sviluppo insieme all’evidenza sempre più manifesta che non sono certo le attività antropiche a determinare le variazioni climatiche, ha consolidato il fronte dei Paesi in via di sviluppo e indebolito ulteriormente la politica di carattere speculativa e malthusiana sostenuta dai Paesi ricchi.

In questo contesto si è levata forte e chiara la voce del Pontefice Benedetto XVI, il quale nel messaggio per la pace (che verrà diffuso nel mondo il primo gennaio del 2010) ha respinto l’ideologia che porta a considerare l’essere umano come tale un pericolo per l’ambiente e che propugna il controllo della popolazione come misura per difendere la natura. Dopo aver messo in guardia da «un nuovo panteismo con accenti neopagani», caratteristica di una certa ideologia verde, il Papa ha spiegato che «la vera protezione della natura è collegata al rispetto della dignità della persona». Illustrando l’“ecologia umana” Benedetto XVI ha sottolineato che «non si può domandare ai giovani di rispettare l’ambiente, se non vengono aiutati in famiglia e nella società a rispettare se stessi» per cui «quando l’ecologia umana è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio».
Autore : Antonio Gaspari