00:00 17 Febbraio 2010

Cerchiamo di essere precisi quando parliamo di sole…

Devo una risposta a chi legittimamente ha avanzato dubbi sulla nostra posizione abbastanza radicale circa l'influenza solare sull'attuale caotico periodo meteorologico europeo.

Premesso che non esiste uno studio universalmente approvato dalla comunutà scientifica sulla reale influenza del sole sul clima del Pianeta, ma cento teorie e supposizioni, in taluni casi anche contraddittorie, resta il fatto che la massima parte degli scienziati attribuisce comunque un ruolo al sole nell’economia del clima.

Chiari indicatori del livello di attività solare, oltre alle macchie e alle aurore, è la concentrazione di Carbonio 14 presente negli anelli di accrescimento degli alberi; il loro spessore varia in sintonia con il ciclo undecennale delle macchie solari.
E’ il bombardamento degli atomi di azoto da parte dei raggi cosmici, un flusso di particelle cariche che proviene dallo spazio a determinarne l’accumulo negli anelli e questo avviene solo in fasi di limitata attività solare, cioè quando i raggi cosmici riescono a raggiungerà la Terra in modo più cospicuo. Durante il minimo di Maunder ad esempio la concentrazione di Carbonio 14 è da considerarsi notevole ed è in linea con la fase della piccola era glaciale.

Esistono poi molti altri cicli, oltre a quello più comune di Schwabe, c’è quello di Hall (tenuto in forte considerazione nell’ambiente), di Gleissberg che rivisita il ciclo di Schwabe, quello di Suess, di Hallstattzeit. Come vedete rischiamo di addentrarci in un ginepraio, errore da cui un divulgatore dovrebbe tenersi alla larga parlando ad un gruppo di lettori così eterogeneo.

Certo l’intervallo tra il valore minimo e massimo di irraggiamento solare è modestissimo ed è stimato nello 0,1%.
Sommando l’inerzia termica degli oceani, alle sollecitazioni inquinanti dell’uomo in termini di aumento di CO2 molti si chiedono come sia possibile che due anni con sole in relativa letargia, abbiano un ruolo nella modifica palese della circolazione atmosferica sull’Europa.

Eppure per i due inverni consecutivi in cui il sole ha dormicchiato, l’alta pressione è praticamente scomparsa dal palcoscenico del Vecchio Continente, il vortice polare è andato incontro ad una tale debolezza da cancellare per alcune settimana la depressione d’Islanda, si è rivisto, dopo la fugace comparsa del dicembre 2001, in grande stile l’anticiclone russo-scandinavo in grande spolvero e il freddo non ha scherzato, colpendo in modo severo molte zone dell’Emisfero Boreale.

Nel Mediterraneo è transitato in due anni un numero esagerato di perturbazioni, fino a superare il record dell’ultimo decennio appartenente alla stagione 2000-2001, due strat-warming di notevole interesse scientifico si sono riscontrati a distanza di un anno e le zone a rischio desertificazione del nostro territorio sono quelle che più di tutte hanno ricevuto pioggia, mettendo a nudo la già nota fragilità del nostro territorio. Certo nell’artico i ghiacci stentano, ma qui per trovarne la causa occorre leggere la “risposta” dell’amtmosfera alla combinazione tra l’attuale negatività della quasi biennale oscillazione dei venti stratosferici subtropicali e la debolezza solare: si è riscontrato che anche in passato una simile congiuntura ha determinato temperature molto miti al polo e basse alle nostre latitudini.

Più sconvolgente di così direi che la situazione non poteva essere, se pensiamo solo a che tipo di inverno ci aveva abituati il biennio precedente.

Molti scienziati concordano sul fatto che un minimo del ciclo di Schwabe si accompagni ad un regime pressorio mediamente più basso e dunque mediamente più freddo.

Un basso flusso solare potrebbe anche innescare blocking atlantici tali da paralizzare per il gelo mezza Europa, lo dicono gli studi comparati di molte Università.

Incredibile invece la contraddittorietà degli studi circa l’influenza sul fenomeno dell’Enso. C’è chi vede favorita la Nina in momenti di forte attività solare per una ragione legata ad una maggiore iniezione di umidità dell’aria, chi invece (e noi sposiamo questa teoria) in una fase del genere propende per un Nino più forte.

Inoltre quando sono presenti intensi brillamenti solari infatti i raggi UV aumentano anche di oltre il 15 per cento, con possibile influenza sulla temperatura e le configurazioni bariche in sede troposferica, con modifiche delle posizioni della circolazione a celle.

Altissima in particolare sarebbe l’interazione tra NAO e raggi cosmici. Rilevante poi l’influenza del ciclo magnetico del sole sulla PDO, nonostante cicli caldi e freddi che hanno una durata media di circa 25 anni. Se la letargia dovesse continuare, pur interrotta brevemente dal nuovo ciclo solare, è possibile che Nina e PDO negativa diventino più frequenti degli episodi opposti, con conseguente tendenza ad un lieve ma costante raffreddamento climatico.
Autore : Alessio Grosso