00:00 5 Maggio 2015

Blixen: “un anno le piogge non vennero…”

La letteratura ospita spesso descrizioni meteorologiche che lasciano con il fiato sospeso, ma non deve stupire che uno scrittore sappia raccontare il tempo meglio del più bravo meteorologo del mondo.

La meteorologia è prima di tutto poesia; descrivere una nuvola, un temporale, significa elevarsi, isolarsi dalla mediocrità che ci offre la vita quotidiana e contemplare la profondità di una natura che vorremmo a tutti i costi "antropizzare" ma che è quanto di più selvaggio e pulsante Dio abbia saputo creare per avvicinarci a lui.

Leggiamo da Karen Blixen nel suo famoso libro "La Mia Africa" come il tempo scandisse ogni ora della sua giornata con sfumature e sorprese sempre diverse. Leggetelo bene, con calma, riassaporando frase per frase. Il tempo dell’Africa offre spettacoli sublimi.

IL VENTO E LA SICCITA’
" un anno le grandi piogge non vennero. E’ un’esperienza tremenda, spaventosa. Il coltivatore che l’ha vissuta non la dimentica. Dopo anni, lontano dall’Africa, nel clima umido dei paesi del nord, al rumore di uno scroscio improvviso di pioggia, la notte, ha un soprassalto improvviso, l’impulso di gridare: "Finalmente, finalmente!"

Di solito le piogge cominciavano l’ultima settimana di marzo e continuavano per tutta la prima metà di giugno. (…) Quell’anno le piogge non vennero. Tutto diventava più secco e duro, faceva fresco, a volte anche freddo, eppure non c’era traccia di umidità nell’atmosfera, non era bel tempo o cattivo tempo, ma una negazione del tempo.

Un vento squallido vagava sopra di noi. I colori svanivano da tutte le cose, gli odori abbandonavano i campi e le foreste. Nubi gigantesche si ammassavano per poi dissolversi: un acquazzone tracciava all’orizzonte una striscia obliqua di azzurro e niente più.

Poi, un pomeriggio, poco prima del tramonto, pareva che il paesaggio ci si stringesse attorno, le colline si avvicinavano, vigorose e piene di significato col loro verde e il loro azzurro limpido e penetrante. Due ore dopo, uscendo, ci si accorgeva che le stelle erano scomparse e l’aria della notte, morbida e fonda, era gravida di benessere.

Il rombo precipitoso che cresceva lassù sulle nostre teste, era il vento fra gli alti alberi della foresta e non la pioggia, quello che correva strisciando lungo la terra era il vento tra gli arbusti e l’erba folta e non la pioggia
. Quello che frusciava e tambureggiava contro la terra era il vento nei campi di mais e non la pioggia.

LA PIOGGIA
" ma quando la terra rispondeva con un ruggito fertile e profondo e il mondo cantava intorno a noi in tutte le sue dimensioni, quella era la pioggia. Era come tornare al mare dopo tanto tempo, come l’abbraccio di un amante."

UN EFFETTO FAVONICO
"Il massiccio del Ngong, è coronato da quattro vette e sale a 2400 m dal mare. Il vento soffia incessante da ENE. E’ lo stesso vento che sulla costa araba e africana chiamano il monsone, il vento di Levante che era il cavallo preferito di Re Salomone. Qui, sugli altipiani, pare solo una resistenza dell’aria di fronte allo slancio con cui la terra si scaglia nello spazio. Picchia dritto contro il Ngong.

Le nuvole, in viaggio con il vento, urtavano contro la parete restando sospese la’ intorno. Ma quelle più alte veleggiavano al di sopra del massiccio, si dissolvevano ad ovest, nel deserto infiammato della valle del Rift. Tante volte guardavo quelle maestose processioni avanzare, osservavo quasi con stupore le loro orgogliose masse fluttuanti, appena superate le colline, sciogliersi nell’azzurro e sparire. Non ci sono parole, non ci sono parole.

Autore : Alessio Grosso