00:00 4 Marzo 2010

A grande richiesta: DIOSSINA dai caminetti delle case di montagna?

Il camino delle seconde case in montagna sprigiona diossina?

Fuori nevica, è sera, noi siamo al caldo nella quiete di una baita di montagna, con il caminetto acceso. Il profumo della legna che arde è inebriante. Molti altri camini sono accesi nella valle. Il tempo è buono, il cielo è stellato, fa molto freddo, l’aria è ferma. Dal camino si sprigiona qualche picogrammo di diossina. Ci fa male? Quanta se ne disperde nell’aria? Dobbiamo preoccuparci?

Facciamo un passo indietro e vediamo di chiarire meglio di cosa stiamo parlando.
La convenzione di Stoccolma del 22-23 Maggio 2001 è un accordo che prevede la riduzione o l’eliminazione di tutte le fonti di diossine.

I livelli di tossicità delle diossine sono valutabili in ng/kg, risultando tra i più potenti veleni conosciuti.
Hanno un elevato peso molecolare, risultando dunque poco volatili. Non sono praticamente solubili ma si accumulano nei grassi.

Per l’uomo un’esposizione prolungata, anche a livelli minimi, può recare danni. Come ricorderete, dalle tristi immagini di Seveso, le diossine causano una forma persistente di acne, nota come cloracne; anche sugli animali hanno effetti cancerogeni ed interferiscono con il normale sviluppo fisico.

Come entra la diossina nel nostro organismo?
Innanzitutto con l’esposizione agli impianti industriali, primi fra tutti gli inceneritori, poi attraverso gli alimenti (in particolare i grassi animali).

Perchè l’incenitore?

La fase iniziale della combustione dei rifiuti è quella più pericolosa. La presenza di cloro e di metalli nel materiale di rifiuto pone le due principali condizioni per la formazione delle diossine. Gli impianti in cui la combustione può portare alla formazione delle diossine funzionano a temperature elevate per evitare il più possibile emissioni. E questo è positivo.

Se in Italia però si passerà dall’attuale 16% ad incenerire il 65% dei rifiuti prodotti, è inevitabile che la quantità di diossine immessa nel nostro ambiente da questa specifica fonte aumenti, nonostante il minor impatto ambientale dei nuovi inceneritori.

Possiamo comunque ritrovare emissioni di diossina in:
-industrie chimiche
-siderurgiche
-metallurgiche
-industrie del vetro e della ceramica
-nel fumo di sigaretta
-nelle combustioni di legno e carbone, camini, stufe e barbecue, -nella combustione di rifiuti solidi urbani avviati in discarica o domestici
-nella combustione di rifiuti speciali, esempio quelli ospedalieri -nei fumi delle cremazioni

Si ritrovano diossine anche nei processi di sbiancatura della carta e dei tessuti.

L’arretratezza degli impianti favorisce ovviamente una dispersione notevole di diossina. Impianti all’avanguardia hanno invece ridotto le emissioni in molti Paesi dal 1990 ad oggi, anche del 50, 70% e forse più.

La combustione non controllata di legna, rifiuti e biomasse varie resta comunque molto pericolosa.

Le emissioni più rilevanti di diossina si riscontrano però nel terreno; sotto accusa i pesticidi.

E veniamo al dunque. Torniamo al nostro caminetto. Se la legna è di buona qualità i rischi che corriamo sono molto modesti, diremmo insignificanti, anche perchè non teniamo acceso il camino 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno. Il problema è che molti non ci bruciano solo un pezzo di pino cembro, ma ci infilano i rifiuti, la carta, la plastica nel proprio caminetto, producendo DIOSSINA. Costa fatica divivere i rifiuti e portarli in discarica? Allora faccio prima, li brucio nel camino o li butto nel fiume, qualcuno nei paesi di montagna purtroppo ragiona anche così.

Le analisi peraltro sono eloquenti: la combustione di rifiuti in caminetti o in stufe a legna, libera nell’aria una quantità di diossina 1000 volte superiore rispetto a quanto avverrebbe negli impianti di incenerimento dedicati.

Ma se sono onesto e ci brucio legna normale e fa così tutto il paesino di montagna in cui mi trovo a soggiornare e a vivere scopro che in un metro cubo di fumi si ritrovano da 2 a 25 picogrammi di diossine.
Nello stesso spazio i fumi prodotti da un moderno inceneritore contengono 100 picogrammi picogrammi di diossina, da 50 a quattro volte di più di un caminetto.

I caminetti dunque non sono immuni da emissioni, ma paragonati a quelle di un inceneritore non destano molta preoccupazione, se si brucia con criterio, lo ribadiamo.

I dati giornalieri poi confortano ancor più i possessori di camini: un inceneritore, a fronte di 800 tonnellate al giorno di rifiuti bruciati emette 5 milioni di metri cubi, con una emissione di diossine pari a 500 milioni di picogrammi.

Un caminetto, tenuto acceso per 24 ore, non consuma più di 35-40 chili di legna, con una produzione di fumi pari a 280 metri cubi, il cui contenuto massimo di diossine è di 11.200 picogrammi.

In conclusione, un inceneritore dell’ultima generazione inquina circa 45.000 volte più di un caminetto che non funziona al meglio delle sue prestazioni.

Se la legna è di prima scelta e il caminetto è costruito per ottenere la massima efficienza termica e la minima produzione di incombusti (fumi), la quantità giornaliera di diossine che si possono produrre per riscaldare la casa, scende a 560 picogrammi. In un paese come Madonna di Campiglio ad esempio occorrerebbero circa 890.000 caminetti per produrre la stessa quantità di diossine di un termovalorizzatore.

Un termovalorizzatore infine è in funzione per circa 350 giorni all’anno, un caminetto si tiene acceso per un massimo di 150 giorni.

Certo se tutti gli abitanti di Trento installassero un caminetto e lo facessero funzionare senza sosta, facendo dipendere il loro riscaldamento esclusivamente da questo, è chiaro che nuocerebbe alla salute, ma le normative vietano di usare nelle aree urbane il caminetto come unica o principale fonte di calore.

Fonti in rete: il Caminetto, questo sconosciuto. Termovalorizzatori e diossina, Italia nostra. Vivere con la diossina.
Autore : Report di Alessio Grosso