00:00 31 Luglio 2009

“Uomo o non uomo” nel riscaldamento globale?

Sembra il gioco dell'amore con la margherita: "m'ama, non m'ama?". Fatevi un'idea leggendo questo sunto che raccoglie in sintesi decine e decine di articoli pubblicati su MeteoLive negli ultimi anni.

C’è un pianeta che molti danno per ammalato, altri addirittura per morente, altri ancora in salute e in continua trasformazione. In questo piccolo dossier cercheremo di fornire qualche risposta utile a comprendere meglio la situazione.

L’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera è dovuto principalmente dalla combustione degli idrocarburi, come carbone e petrolio, e parzialmente dalla distruzione delle foreste pluviali. Su Venere l’eccezionale concentrazione di anidride, fino a 97% della sua atmosfera, mantiene il pianeta ad una temperatura da forno di 400 gradi più elevata della nostra.

Quindi è sulla concentrazione che si gioca il pericolo per la Terra. Il metano ad esempio è 30 volte più efficace nel trattenere la radiazione solare, l’ossido di azoto 200 volte, i clorofluorocarburi sino a 20 mila volte di più, eppure le loro concentrazioni sono scarse in natura. Il clima sull’Italia è cambiato negli ultimi 25 anni, cosi come cambia da sempre.

Si parla tanto di meridianizzazione delle correnti, della parziale scomparsa in area mediterranea delle perturbazioni atlantiche, di innalzamento dello zero termico di 200m sulle Alpi, di piogge mal distribuite con fasi spesso siccitose che interessano soprattutto il nord-ovest, di ghiacciai che arretrano a vista d’occhio, di ondate di caldo sempre più intense e prolungate.

Si tratta probabilmente di un trend, che è andato in controtendenza rispetto a quanto accaduto nel ventennio precedente, 60-80, con la complicità dei solfati nebulizzati.

In altre parole drogavamo l’ambiente e pur inquinandolo riuscivamo a schermare parzialmente la radiazione solare, ora sembra che senza lo zolfo la radiazione ci arrivi molto più forte; è comunque probabile che entro 30 anni il sole attraversi una fase di minore attività, quindi teoricamente potremmo raffreddarci un po’, senza contare l’influenza del Nino e della Nina, la Corrente del Golfo che si inceppa, l’area di convergenza intertropicale che si è riposizionata verso nord lanciandoci addosso l’anticiclone africano: insomma, lo avete capito; ci sono troppi elementi in gioco per dire che siamo proprio noi a muoverli, tutto avviene ciclicamente; dire che senza i nostri gas tutto funzionerebbe a dovere e a norma (quale?) ci sembra francamente eccessivo.

Comunque vada mi sento di smentire in modo categorico uno dei luoghi comuni più drammatici che sono filtrati dai media diventando uno dei timori collettivi degli italiani: il rischio che si sviluppi un uragano nel Mediterraneo. La verità è che nel nostro mare non si formeranno uragani ancora per molto tempo.

Anche se le temperature superficiali del Mare Nostrum dovessero impennarsi, il riscaldamento non raggiungerà gli strati più profondi, condizione essenziale per la formazione di simili mostri.

Continueremo invece ad assistere alla formazione di forti temporali multicellulari, o anche insidiose "bombe" mediterranee, (depressioni molto intense), ma con buona probabilità passeranno parecchie generazioni prima che si possa assistere a fenomeni della portata di Mitch o Katrina sulle nostre spiagge. Inoltre l’anidride carbonica ha anche un ruolo benefico per la vegetazione, fungendo come una sorta di fertilizzante.

A questo si deve un aumento complessivo della vegetazione forestale pari al 5-6% registrato negli ultimi anni dalle osservazioni satellitari. Una parte del mondo scientifico ritiene che l’aumento dell’anidride possa aiutare le foreste a recuperare alcune zone desertiche del pianeta.

Diverse oasi verdi piantate ai margini del deserto, invece di seccare, negli ultimi anni si sono espanse, sia grazie ad un regime pluviometrico più fortunato, sia appunto all’aumentata concentrazione di anidride.

E’ innegabile però che non tutta l’anidride produce verde: il riscaldamento globale contribuisce infatti probabilmente a modificare il regime delle correnti atmosferiche, portando ad una graduale ridistribuzione delle piogge, in misura tale da rendere aride alcune zone e verdi altre. Un altro tormentone degli ultimi anni è quello che riguarda lo scioglimento dell’artico.

Innanzitutto è assai improbabile che l’artico si sciolga completamente senza che intervenga un meccanismo uguale e contrario che riporti la situazione alla stabilità, ad esempio con l’inceppamento della Corrente del Golfo. Anche se dovesse accadere non tutto il male verrebbe per nuocere: l’artico conterrà sicuramente metano, petrolio, diamanti. Il turismo artico ne subirebbe un vasto impulso.

Ci sono tante nazioni che possono rivendicare diritti sull’artico, tra cui anche le tre scandinave e l’Islanda, ma anche Canada e Russia. Certo potrebbe diventare difficile vivere alle basse latitudini, ma stiamo parlando di fantascienza per ora. non si può negare comunque che dal 1980 i ghiacci artici si siano ridotti di ben il 38%.

Abbiamo già evidenziato che l’enorme quantità di acqua dolce scaricata in mare dalla fusione dei ghiacci potrebbe bloccare la corrente del Golfo con due conseguenze: provocare più freddo nel nord Europa e un gran caldo nella zona dei Caraibi con rischio di incremento del numero di uragani di forte intensità. Il 2005 ha stabilito un primato dal secondo dopoguerra ad oggi in fatto di tempeste tropicali: ben 26 contro le 21 del 1933 e le 19 registratesi nel 95.

Nel 2006 però, quasi incredibilmente, gli uragani sono quasi completamente mancati. Alcuni esperti hanno fatto una considerazione di tipo statistico. Sembra che gli uragani presentino un ciclo multidecadale, una sorta di oscillazione che si ripete ogni 25 anni, in cui si assiste ad una fase parossistica seguita poi da una più tranquilla. Un altro tormentone degli ultimi anni è quello legato alle conseguenze dell’esplosione demografica: l’idea che l’aumento della popolazione possa esaurire le risorse non ha trovato fondamento.

Negli ultimi vent’anni siamo passati da una popolazione di 4 miliardi ad oltre sei miliardi e mezzo ma le risorse non sono affatto diminuite. E’ bene che si sappia che oggi solo il 3% del territorio è urbanizzato e all’intera popolazione per vivere basterebbe occupare meno del 17% del territorio degli Stati Uniti d’America.

Chi vive nelle grandi città ha un orizzonte ristretto e pensa che il mondo finisca lì, intrappolato nella sua giungla d’asfalto, invece non è così. Perché allora ci vogliono convincere che siamo i registi di tutto ciò che accade sulla Terra? Perché nessuno ci ha mai detto che costituiamo circa l’uno per cento delle forme di vita che compongono il Pianeta, il vero padrone qui è il regno vegetale con oltre il 97% di materia vivente, poi vengono gli animali con il 2%. Rispetto ai miliardi di batteri esistenti noi praticamente non esistiamo.

E’ anche ridicolo pensare che la presenza e il comportamento dell’uomo possa nuocere a molte specie viventi. Il pianeta si è sempre rigenerato nella sua lunga storia. Molte specie hanno vissuto, si sono estinte e poi magari si sono ripresentate sotto un’altra forma. In nessuna delle catastrofi che hanno colpito la Terra c’è mai stato lo zampino dell’uomo, le estinzioni più grandi sono 5 e risalgono all’ORDOVICIANO, 450 milioni di anni fa, DEVONIANO, 365 milioni di anni fa, PERMIANO, 250 milioni di anni fa, TRIASSICO, 205 milioni di anni fa, CRETACEO, 65 milioni di anni fa, in cui scomparvero i dinosauri.

Tra asteroidi e vulcani ne abbiamo per tutti i gusti, l’uomo non c’era! Che dire allora del monito lanciato dall’IPCC circa il rischio di un aumento di ben 5°C della temperatura globale entro il 2100? La base scientifica di tale scelta è ovvia: modelli climatici sofisticati stanno lavorando da vent’anni e più e non riescono a condurre gli scienziati a concordare su qualcosa di più che sul possibile legame fra gas serra e lieve aumento delle temperature medie globali osservato.

Il numero di nodi che debbono essere sciolti nelle parametrizzazioni del bilancio radiativo è grande, anche se risultati apparentemente realistici possono essere ottenuti senza grande forzo intellettuale. Inoltre i modelli non considerano il feed-back fra variazioni nell’uso e nella gestione del suolo e la circolazione atmosferica ed è in parte per questa ragione che essi non concordano sui campi di precipitazione previsti.

E per la produzione mondiale di cibo è molto più importante la variabilità delle precipitazioni che un lieve aumento della temperatura. Perché così difficile prevedere con 50 anni d’anticipo le precipitazioni? Gran parte delle precipitazioni delle medie latitudini sono associate a sistemi depressionari che si muovono lungo traiettorie imposte della correnti a getto. I mutevolissimi meandri delle correnti a getto si sviluppano al limite esterno della grande calotta d’aria fredda che è centrata sui poli.

Gli specialisti chiamano questa calotta con il nome di Vortice Polare ed hanno chiamato Oscillazione Artica il comportamento sinuoso delle correnti a getto nell’emisfero Nord. Purtroppo la linea di ricerca principale in meteorologia dinamica rifiuta di studiare l’evoluzione lenta della circolazione generale.

E’ infatti divenuto talmente facile far girare i Modelli Globali su supercomputers che molti scienziati stanno alla larga da argomenti come lo studio di dettaglio delle interazioni fra vortice polare e oscillazione artica. Se dunque non esiste ancora una rudimentale teoria che descriva l’evoluzione nello spazio e nel tempo del vortice polare ed ancora meno una relazione definita fra concentrazioni crescenti di gas serra e variabilità nell’oscillazione artica, non esiste la possibilità di fare previsioni circa l’evoluzione futura dei campi di precipitazione.

E’ appena il caso di ricordare che non vi sono studi approfonditi circa il modo in cui piccoli errori nel software agiscano sui valori medi di alcune variabili di output fra 50 anni. A qualcuno gli allarmi sul clima fanno decisamente bene, agli assicuratori ad esempio. Lo si ricava dal bilancio Sigma, reso noto l’8 marzo dal riassicuratore zurighese Swiss Re (la riassicurazione consiste nell’assicurare altre società assicurative). Il 2006 infatti ha visto un notevole calo in danni e vittime provocati da catastrofi naturali.

Agli assicuratori le calamità naturali sono costate 11,8 miliardi di dollari, ma considerando gli ultimi venti anni, il 2006 si colloca al TERZO POSTO fra gli anni MENO COSTOSI in termini di sinistri assicurati, scrive Swiss Re. Il livello relativamente basso degli oneri sostenuti per i sinistri è attribuito in primo luogo a una stagione abbastanza tranquilla sul fronte degli uragani negli Usa e all’assenza di grossi sinistri in Europa.

La Swiss Re aveva presentato il primo marzo il proprio bilancio con un utile record di 4,6 miliardi di franchi svizzeri, ben sopra le attese di mercato e con un incremento rispetto al 2005 addirittura del 98%. Lo stesso colosso zurighese aveva ammesso che buona parte di questo aumento lo si deve proprio alla diminuzione delle catastrofi naturali. Certamente sarà importante mantenere alta l’aspettativa di un aumento delle calamità dovute al riscaldamento globale così da spingere più cittadini e società ad assicurarsi e contemporaneamente giustificare l’aumento dei premi assicurativi.

Gli allarmismi servono anche a questo. Vorrei aggiungere alcuni dati su cui riflettere e far riflettere chi associa sempre e comunque tempeste ed uragani al riscaldamento globale su base antropica: l’anno con il maggior numero di uragani fu il 1886;l’uragano più "precoce" risale al 7 marzo 1908 e l’uragano con la maggior depressione: 892 mb è ancora quello del "Labour Day" 1935. Il numero di uragani per anno a partire dall’anno 1900 è stato più o meno costante, ma a partire dalla fine degli anni ’50, questo numero è calato progressivamente.

Oggi si registrano (per anno) solo i tre quarti degli uragani che si verificavano agli inizi del secolo scorso e ben il 30% in meno (per anno) toccano terra. Si parla tanto di Katrina e delle conseguenze devastanti che ha provocato su New Orleans ma essa non è una delle prime vittime dell’effetto serra, come qualcuno vuole far credere e sventola in trasmissioni pseudo-scientifiche, (altri uragani ben più potenti l’anno sferzata nei secoli passati), bensì l’ennesima vittima dell’incuria, della testardaggine e dell’irriverenza umana nei confronti della natura che, proprio nelle aree più delicate, instabili e vulnerabili dal punto di vista ecologico (come le foci fluviali appunto) manifesta tutta la sua potente imprevedibilità.

Ritengo utile citare le parole del direttore del National Hurricane Center americano, Max Mayfield, “è vero che l’Oceano Atlantico sta vivendo un ciclo di accresciuta attività per quanto riguarda gli uragani, simile al ciclo vissuto nel ventennio tra gli Anni Quaranta e i Sessanta. Si tratta però di un ciclo naturale in cui si alternano fasi di intensa attività con altre di maggiore quiete e dunque rifiuto la tesi secondo cui l’aumento degli uragani sia da collegare al surriscaldamento del pianeta”.

Anche la letteratura in un certo senso ci consegna scritti rassicuranti: grandi personaggi che raccontano di condizioni climatiche estreme già in tempi non sospetti, prima della rivoluzione industriale, caldo, freddo, sole, neve, le lamentele sul tempo ci sono sempre state.

Ci sono oltretutto molte incertezze sul rilevamento dei dati di temperatura: molte stazioni rurali sono diventate cittadine o sono state chiuse, nel passato i dati raccolti non avevano certamente l’affidabilità di quelli attuali.

Il politecnico di Zurigo ha inoltre sentenziato, quello che già si sospettava: è la diminuzione delle nevicate sulle Alpi, dovuta soprattutto ad una sostanziale mutazione delle configurazioni bariche sull’Europa, più che l’aumento generale delle temperature medie, a provocare l’arretramento dei ghiacciai.

In conclusione immettere veleni nell’aria, trasformare le nostre città in una caldaia, gettare in mare sostanze cancerogene ed altre nefandezze è certamente un crimine; solo per questo va combattuta tenacemente la battaglia sull’ambiente, che poi l’anidride carbonica possa incidere in scarsa o notevole misura sul cambio climatico è quasi un problema "secondario"; preparare un mondo più pulito e meno cancerogeno per le nuove generazioni dovrebbe essere un compito fondamentale della nostra società, freddo o caldo che sia.

Autore : Report di Alessio Grosso