00:00 19 Marzo 2019

L’orso: ICONA (sbagliata) del riscaldamento globale!

Icona del riscaldamento globale, è l’animale simbolo del polo nord, del freddo e della solitudine, ma in realtà è sconosciuto quanto l’ambiente in cui vive. Hanno già venduto la sua pelle sui mass media, ma non tutti sanno che la sua specie gode di buona salute.

È uno dei mammiferi più curiosi e controversi del pianeta, a cominciare dal suo nome scientifico, che è cambiato di recente dal genere Thalarctos (letteralmente: orso di mare) al più comune Ursus, fatto che lo associa definitivamente alla grande famiglia degli orsi dell’emisfero boreale. Pare infatti che sia una delle specie più recenti del genere Ursus, non più vecchia di un milione di anni, e pertanto figlia evolutiva delle ultime possenti glaciazioni come variante settentrionale, e glaciale, dell’orso bruno o dell’orso americano.
                             
 
Il nome specifico resta invece quello indicato da Phipps nel 1774, ovvero maritimus; pertanto il nome completo diventa Ursus maritimus: ovvero orso marittimo. Tale denominazione, così come prevedono le regole della nomenclatura scientifica, tiene conto di una delle principali caratteristiche della specie, ovvero quella di vivere gran parte della sua vita nei pressi del mare, vicino a questo e spesso anche dentro.
 
Già perché il nostro orso si nutre di foche, piccoli di cetacei (beluga, narvali ed altre specie che frequentano le gelide acque del nord), carogne spiaggiate, uccelli marini, ecc., e questi si trovano solo in mare, o poco sotto la fragile banchisa polare. Inutile immaginarsi un orso polare sulle montagne, disperso sulla calotta groenlandese, o nelle zone in cui la banchisa si ispessisce oltre il metro, né tantomeno nel buio della notte polare.
 
Quando lo vediamo transitare su un banco di ghiaccio galleggiante, non è affatto in pericolo, da esperto e abile nuotatore qual é. In pericolo sono invece le sue prede, che probabilmente sta seguendo con tutti i mezzi a sua disposizione, fiuto, alta sensibilità al tatto, velocità nello scatto, alta resistenza in apnea subacquea.
 
Il nostro orso frequenta le coste del Mar Glaciale Artico, in tutto il loro sviluppo, le isole artiche e i banchi di ghiaccio galleggianti, ma non si spinge all’interno, se non per qualche decina di km, nel Canada settentrionale e nella Siberia orientale, laddove le foci fluviali consentono ad altre specie di mammiferi di entrare nella sua dieta.
 
Ed è proprio in base alla sua dieta che esso abbonda di stranezze: mangia solo carne e prevalentemente pelle e grasso; il suo fegato è talmente ricco di vitamina A, che poco più di mezzo kg potrebbe uccidere un uomo; la sua pelle è nera come in pochi altri animali, per difendersi dalle radiazioni solari, in particolare quelle UV prolungate e impattanti, specie nei lunghi periodi di insolazione primaverile ed estiva, quando si svolge gran parte del periodo di caccia.
 
Negli ultimi anni stanno però diventando sempre più frequenti le razzie negli accampamenti e negli insediamenti umani, dal momento che gli avanzi e i rifiuti alimentari sono decisamente più semplici da sfruttare; fatto che rischia di accomunare l’orso polare alle tante specie che parassitano gli habitat umani.
 
Un tempo erano gli uomini (gli inuit) che davano la caccia agli orsi, li inseguivano per settimane o mesi, li braccavano e infine li trasformavano nella più grande dispensa invernale alla loro portata. Oggi, tutt’al più sono inseguiti da bracconieri, fotografi naturalisti o irriducibili ambientalisti.
 
Quanti sono gli orsi oggi è difficile dirlo, non esiste un censimento univoco, e lo stesso WWF ammette che è molto difficile il conteggio di animali bianchi su uno sfondo perennemente bianco come quello dell’Artico, specie se i rilevamenti vengono fatti da sorvoli aerei, sebbene a bassa quota.
 
Le stime ufficiali più affidabili sono quelle prodotte dall’agenzia governativa Canadese per l’ambiente (Environment Canada), con particolare riferimento alle popolazioni dell’Artico Canadese, della Groenlandia, dell’Alaska e del Mar Glaciale Artico. Meno affidabili le stime su tutto l’Artico Russo, sebbene le ultime scorribande documentate negli insediamenti umani delle isole della Novaja Zemlja, denunciano popolazioni tutt’altro che isolate e in difficoltà.
 
L’intero areale dell’orso polare viene suddiviso in 19 sub-popolazioni, di cui 10 nell’Artico Canadese, 4 nell’Artico Russo, 4 circostanti la Groenlandia e una in Alaska. Dalle ultime stime la popolazione è in crescita in almeno 3 settori, stabile in altri 3, e lievemente in declino nei due settori che circondano la Baia di Hudson e in Alaska. Per tutto l’Artico Russo non ci sono stime, né per il Mar Glaciale Artico e le Svalbard.
 
Ad oggi sono stati conteggiati quasi 30 mila orsi, negli anni ’90 erano meno di 25 mila, ma sempre più dei 18 mila stimati negli anni ’60. Purtroppo i conteggi non sono sempre affidabili, ma i dati catastrofici che emergono dagli articoli della stampa convenzionale non rendono giustizia di una situazione tutt’altro che compromessa.
 
E’ VERO che i pericoli principali per l’orso bianco sono i medesimi che affliggono molte altre specie, ovvero l’inquinamento, l’espansione delle attività umane, la riduzione dell’habitat naturale, MA.. l’impatto di questi fenomeni è però decisamente inferiore rispetto a quanto accade a migliaia di altre specie, con particolare riferimento a quelle delle regioni intertropicali e sovrappopolate, dall’America Latina, all’India, all’Africa sub sahariana, al sud-est asiatico, per le quali le attenzioni dei media non sono altrettanto morbose!
 
Niente da temere insomma, riguardo al riscaldamento globale, allo scioglimento dei ghiacci e quant’altro, dal momento che per l’orso polare tali variazioni sono sempre esistite, anche perché si ripetono tutti gli anni a livello stagionale, e che lo stesso non ha difficoltà a superare spostandosi per migliaia di km all’anno, tra i ghiacci galleggianti e quella indomita linea che, da milioni di anni, divide l’acqua dal ghiaccio.
 

 

Autore : Giuseppe Tito