00:00 10 Novembre 2014

Cicloni nel Mediterraneo: come si formano?

Sono i fratelli minori di quelli veri e propri che si scatenano ai tropici. Se ne formano in media due o tre all'anno e, in alcuni casi, arrivano a sprigionare la potenza di un vero e proprio uragano della categoria 1.

La stagione degli uragani non è prerogativa solo delle regioni tropicali. Anche il Mediterraneo può diventare sede di queste impressionanti strutture, seppur decisamente più modeste, sia nelle dimensioni che nella potenza. La loro classificazione, analoga a quella dei sistemi oceanici, include diversi gradi di forza e di conseguenza diverse denominazioni: si va dalla depressione tropicale mediterranea, la meno forte, alla tempesta tropicale mediterranea e, infine, all’uragano tropicale mediterraneo, altresì noto come Medicane (Mediterranean Hurricane) il più potente; la cui magnitudo può sprigionare venti superiori a 120 km/h, pari alla categoria 1 della scala Saffir-Simpson.

Come si sviluppano questi piccoli mostri? La fase iniziale prevede l’approfondimento di un normale centro depressionario delle medie latitudini con meccanismo baroclino (scontro tra aria calda e fredda), spesso esaltato nei bassi strati atmosferici dall’azione imposta dalle catene montuose che cingono il Mare Nostrum e che ne favoriscono l’ulteriore sviluppo. Concorrono poi anche la vorticità, che si prende cura del tiraggio verticale su indicazioni della corrente a getto, e lo squilibrio termodinamico tra i flussi caldi che vi entrano dai bassi strati sul lato anteriore e quelli freddi che si sovrappongono in quota da quello posteriore.

L’evoluzione successiva prevede il distacco del vortice dalla saccatura madre e il suo isolamento sulle acque del mare. A questo punto ci troviamo però di fronte ad un normalissimo cut-off, una generica "goccia di aria fredda" come tante. E’ vero, ma non abbiamo ancora introdotto in fattore scatenante, la marcia in più che questo sistema potrebbe acquisire. Se ci troviamo tra agosto e dicembre come avviene di norma per tutti gli altri uragani, ma soprattutto nel periodo autunnale, le temperature del nostro mare sono potenzialmente determinanti per la successiva eventuale degenerazione del sistema.

Secondo i diversi studi condotti in materia, e pubblicati da svariati autori, acque con temperature superficiali comprese tra 23 e 27°C è condizione necessaria ma non sufficiente affinche il vortice inizi ad auto-alimentarsi. Questo avviene grazie a due meccanismi: il primo prevede che i flussi di calore sensibile e latente in ingresso nel cono vorticoso prendano il sopravvento sulle altre correnti; il secondo prevede che il processo di convezione profonda (formazione di temporali)  attorno al minimo, con pescaggio caldo-umido diretto dalla superficie calda del mare, contribuisca a iniettare una ulteriore quantità di energia sotto forma di calore, il calore latente di condensazione. E’ lo stesso identico meccanismo dei cicloni tropicali, noto come barotropico. Ecco dunque che il nostro mostricciattolo è degenerato diventando un TLC, ossia un Tropical Like Cyclone, un ciclone mediterraneo simil-tropicale. Ne vediamo un esempio al largo dello Ionio nell’immagine satellitare qui a fianco, relativa al 15 gennaio 1995.

Nel comparto italiano, le zone più battute sono i Canali di Sardegna e di Sicilia, il medio-basso Tirreno e lo Ionio. Se visto dal cielo la nostra trottola, come tutti i cicloni che si rispettino, si mostra in tutta la sua simmetria spiraliforme che ruota minacciosamente in senso antiorario; laddove la potenza della struttura sia massima, si potrebbe addirittura individuare il classico "occhio" centrale attorno al quale ruotano le masse nuvolose. Ora il suo cuore, inizialmente colmo di aria fredda, è diventato caldo, soprattutto alle quote medio basse della troposfera.

Le dimensioni di queste autentiche bombe mediterranee non superano i 250-300km di diametro. Tutto sopravvive fintanto che la trottola non finisce per impattare la terraferma, dove le temperature improvvisamente più basse, tagliano i vitali rifornimenti marittimi di energia e calore. Le zone interessate subiscono pesanti nubifragi, alluvioni lampo e, a volte, anche venti tempestosi. L’attrito però mina inevitabilmente la sua struttura. La spirale cede di schianto. E ‘ la fine del nostro ciclone mediterraneo.

Che paura, ma anche che spettacolo!

Autore : Luca Angelini