00:00 17 Ottobre 2001

La neve: adesso come quando ero bambino

La neve regala emozioni davvero uniche, come quelle provate da uno dei nostri forumisti, che abbiamo pensato di pubblicare sul nostro giornale.

E’ autunno e più che naturale che un appassionato di meteorologia si arrovelli ad immaginare gli scenari dell’ inverno che verrà, analizzando e interpretando cartine, immagini satellitari d’archivio, fantasiose rappresentazioni delle masse d’aria di gennaio già presenti sui siti che ormai conosce benissimo. Ma non basta.

Appellandosi ai corsi e ricorsi storici, scava nella propria memoria alla ricerca di scenari simili più o meno modificati dal ricordo (un dramma, il ricordo e la realtà.

Per trovare un mese d’ottobre altrettanto caldo ma seguito, poi, a distanze variabili secondo il ricordo, da copiose nevicate che si ripetevano per giorni e che lasciavano sempre un manto corposo e duraturo al suolo. Ammetto di averlo fatto anch’io, e di ripetermi inguaribilmente ogni anno. Ricordo quand’ero piccolo (e mi occorreva la sedia per arrivare a veder fuori dalla finestra). Mi alzavo prima di tutti, se nevicava dalla sera prima, o se l’aveva detto “Berna!
cca”, alla tivù in bianco e nero coi suoi gessetti e la lavagna scolastica.

Prendevo la sedia, salivo quasi in punta di piedi e guardavo prima di tutto il lampione di fronte (che non c’è più) per vedere i fiocchetti cadere, poi tra il pino e il cespuglio, quell’ansa della strada per vedere se al suolo era acqua, o ghiaccio, o neve. E invariabilmente la neve restava al suolo per giorni, nei mucchietti grigiastri che poi la nuova neve provvedeva a ritoccare; il viale conservava fino a gennaio inoltrato la cornicetta ai bordi, che io bambino mi divertivo a saltare di qua e di là per lasciare frammenti di ghiaccio sparsi sul marciapiede. E quante volte ho fatto a palle di neve nel piazzale, per tornare a casa fradicio con la disperazione di mammà?

Inevitabilmente ogni inverno. I miei termometri ad alcool, che uscivo a guardare in pigiama quando la torcia dalla finestra non bastava, segnavano spesso minime che ora sono privilegio delle alte quote. Nei prati della vicina campagna si costruivano una specie di “igloo” durante i freddi pomeriggi che seguivano le abbondanti nevicate notturne, si scavava dentro e si mimava la vita degli Eschimesi. Erano i lontani anni settanta.

E per alcuni l’inverno, il vero inverno, rimane confinato entro quel decennio per rivivere poi di qualche fiammata (essenzialmente il 1985) nel decennio successivo, e lasciare a bocca asciutta i giovani meteoappassionati degli anni novanta.

E’ il mio ricordo, un ricordo che inevitabilmente agglomera anni distanti tra loro creando a volte una falsa continuità: neve, sempre neve, neve tutti gli anni, e neve che sempre partecipava dei divertimenti di noi fanciulli.

E questo rimane il mio desiderio: che cominci a nevicare presto, e che il freddo conservi lungamente al suolo il manto della dama bianca.

La configurazione barica più attesa rimane quella dell’afflusso di aria siberiana attraverso la porta più amata in questo senso, la Porta della Bora.

Però la magia irripetibile della neve che cadde la notte dell’ultimo Natale non entrò da quella porta. Quei fiocchi che cominciarono a cadere in perfetta sincronia col cuore di tutti, arrivarono dal tanto odiato flusso zonale in perfetta simbiosi con il cuscino freddo.

Ricordo la domenica precedente e le previsioni (tanto diverse da quelle in scala di grigio del Colonnello Bernacca!) che annunciavano venti da sud e tempo mite, e la mia rabbia per l’ennesima incursione delle perfide zonalità, e il Colonnello Giuliacci (e MeteoLive N.d.R)ad annunciare che, però, al suolo l’aria sarebbe stata assai diversa, più fredda, e che qualche sorpresa forse avrebbe accompagnato la settimana del Natale.

E lo dissi a mia moglie, a mio cognato, ai suoceri, alle cassiere del supermercato, sbilanciando a previsione quello che in realtà era un desiderio accarezzato da una (concreta?) speranza. Era martedì. E mi sono ritrovato, la vigilia, muto davanti ai primi fiocchi, incollato, quando potevo, alla vetrina del mio negozio, guardando la mia macchina imbiancarsi e poi le aiuole, la strada, e le prime tracce dei pneumatici, la gente frettolosa, i vapori dell’alito. La sera, nella casa a luci spente, mi ritrovavo a guardare con mia moglie quello spettacolo che ormai aveva dipinto il paesaggio, con il solo desiderio di uscire e camminare sui dieci centimetri di manto.

Le parlai delle ragioni scientifiche, del cuscino freddo, dell’afflusso di aria dai Balcani al suolo che aveva preparato il terreno alla nevicata. Ero colmo di gioia proprio come da bambino, e come un bambino mostravo a tutti il mio giocattolo. Mi disse di tacere, e continuò a guardare la neve che cadeva.

Per questo io vorrei che si ripetesse, quest’anno, e che quella porta (la Porta della Bora) restasse aperta in nome di un’altra vigilia imbiancata. Fu un sogno. E come tutti i sogni impallidì, fino a scomparire, con la luce del mattino.
Autore : Luka (Mi, Settala)